Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro I/Capitolo III

Illustrazioni al Libro I - Capitolo III

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Illustrazioni al Libro I - Capitolo III
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Capitolo III.


Dante distingue le creature in modo simile a questo di Brunetto:

Nè pur le creature che son fuore
     D’intelligenza...1
     Ma quelle ch’ànno intelletto ed amore (Par. I).
     Quanto per mente e per occhio si gira (Par. X).


cioè il mondo delle idee e il mondo reale.

Ciò che non muore, e ciò che può morire (Par. XIII).

Il traduttore fa l’astrologia, da Brunetto chiamata nel Tesoretto storlomia, sinonimo di astronomia, come per etimologia dovrebbe essere. Ma nè dell’astrologia propriamente detta, quantunque fosse allora comune, e creduta perfino da quegli sciaurati che non credevano in Dio, nè dell’alchimia Brunetto ragiona, forse perchè scienze parziali, che in tal qual modo facevano parte da sè. Dall’Allighieri fu condannato all’inferno [p. 157 modifica]solamente chi di esse abusò. Credette anch’egli alla sua stella.

Credette, ed anzi si fa predire appunto dal maestro Brunetto:

               Se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a glorioso porto,
Se ben m’accorsi nella vita bella (Inf. XV).

Ed il Petrarca:

Non mio voler, ma mia stella seguendo.
     Il dì che costei nacque, eran le stelle
     Che producon fra noi felici effetti,
     L’una ver l’altra con amor converse (Canz. XV. 5).

Dante nel XXII del Paradiso si congratula colla costellazione dei Gemini, dalla quale, come da causa seconda, riconosce il suo ingegno:

     O gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, il mio ingegno;
     Con voi nasceva, e s’ascondeva vosco
Quegli, ch’è padre d’ogni mortal vita;
Quand’i’ sentii da prima l’aër tosco.

L’amanuense, e tutti i tipografi, non furono paghi che Brunetto accennasse alla ricerca della distanza dal cielo alla terra: ricerca vana, quando non sia scientificamente determinato che cosa si voglia dire col nome di cielo2. Vi aggiunsero senza più la [p. 158 modifica]precisa ricerca dell’altezza del cielo, ricordando per avventura il faceto racconto del Novellino, col quale dal volgo si beffano tali ricerche (Nov. XXIX), colla conclusione dei savi di Parigi: «Matto è colui, che è sì ardito, che la mente mette di fuor del tondo!» Altre novelle ciò pure proverbiano. Ricordiamo quella di Franco Sacchetti, nella quale il mugnajo diviene abbate appunto per questa scoperta.

La grandezza e l’altezza del cielo, i sette pianeti, l’influenza delle stelle sul calore, sui venti, sulle meteore, sono errori e pregiudizii dell’epoca, dei quali non dobbiamo ghignare, se non vogliamo accaparrare il ghigno dei nostri nepoti sui nostri. Ebbe questi ed altri pregiudizii ed errori anche Dante.


Note

  1. Fuore d’intelligenza, cioè senza intelligenza, ricorda il fors (hors) che nel medesimo senso è in ogni pagina del Tesoro.
  2. Cielo coelum, χὂιλον, cóncavo.