Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/VII
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VII.
Che Dio fece lo giorno,
E la luce gioconda,
E cielo, e terra, et onda:
E l’aere creao
E li Angeli formao,
Ciascun partitamente,
E tutto di nïente.
Poi la seconda dia
Per la sua gran balìa
Stabilì ’l firmamento,
E ’l suo ordinamento.
Il terzo (ciò mi pare)
Specificò lo mare,
E la terra divise:
E ’n ella fece, e mise
Ogne cosa barbata,
Ch’è ’n terra radicata.
Al quarto die presente
Fece compitamente
Tutte le luminarie;
Stelle diverse, e varie.
Si fue da lui creata
Ciascuna creatura,
Che nuota in acqua pura.
Lo siesso die fue tale,
Che fece ogne animale:
E fece Adamo, et Eva,
Che poi ruppe la treva
Del suo comandamento.
Per quel trapassamento
Mantenente fu miso
Fora del Paradiso,
Dov’era ogne diletto,
Senza niuno eccetto
Di freddo, o di calore,
D’ira, nè di dolore.
E per quello peccato
Lo loco fue vietato
Mai sempre a tutta gente;
Così fue l’uom perdente.
D’esto peccato tale
Divenne l’uom mortale,
Et ha lo male, e ’l danno,
E lo gravoso affanno,
Quì, e ne l’altro mondo.
Di questo grave pondo
Son gli uomini gravati,
E venuti in peccati.
Perche ’l serpente antico,
Ched è nostro nemico,
Sedusse a ria manera
Quella prima muliera.
Ma per lo mio sermone
Intendi la cagione,
Perchè fu’ ella fatta,
E da la costa tratta.
Perch’ella l’uomo atasse;
Poi, che moltiplicasse;
E ciascun si guardasse,
Con altra non fallasse.
Se mai ’l cominciamento,
E ’l primo nascimento
Di tutte creature,
Ch’ho detto, se ne cure.
Ma sacci, che ’n due guise
Lo Fattor le divise;
Che tutte veramente
Son fatte di nïente.
Ciò son l’anime, e ’l mondo
E gli Angeli secondo.
Ma tutte l’altre cose,
Quantunque dicer’ose,
Son d’alcuna manera
Fatte per lor matera.