Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/XVI

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XV XVII
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XVI.


Ma tutta via ti guarda

     D’una cosa, che ’mbarda
La gente più, che ’l grado;
     Cioè giuoco di dado:
Che non è di mia parte
     Chi si getta ’n tal’arte:
Egli è disvïamento,
     E grande struggimento.
Ma tanto dico bene,
     Se talor si convene.
Giuocar per far onore
     Ad amico, o signore;

Che tu giuochi al più grosso,
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     E non dire: i’ non posso.
Non abbi ’n ciò vilezza,
     Ma lieta gagliardezza:
E se tu prendi posta,
     Paja, che non ii costa:
Non dicer villania,
     Nè mal motto, che sia.
Ancor, chi s’abbandona
     Per astio di persona,
O per sua vanagloria
     Esce da la memoria,
A spender malamente,
     Non m’aggrada neente.
E molto m’è rubello
     Chi dispende ’n bordello,
E va perdendo ’l giorno
     In femine d’intorno.
Ma chi di suo buon core
     Amasse per amore
Una donna valente,
     Se tal’or largamente
Dispendesse, o donasse,
     Non sì, che folleasse,
Ben lo sì puote fare:
     Ma nol voglio approvare.
E tengo a grande scherna
     Che dispende ’n taverna;
E chi in ghiottornìa
     Si gitta, e ’n beverìa:
Et è peggio, ch’uom morto,
     E ’l suo distrugge a torto.
Et ho visto persone,
     Che a comperar cappone,
Perdice, o grosso pesce,

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     Lo spender non incresce:
Come vuole sian cari,
     Pur trovinsi danari,
Si paga immantenente.
     E credon, che la gente
Gli le ponga a larghezza;
     Ma ben è gran vilezza
Ingollar tanta cosa,
     (Che già fare non osa
Conviti, nè presenti)
     Ma con li propri denti
Mangia, e divora tutto,
     Seco ha costume brutto.
Ma se io m’avvedesse,
     Ch’egli altro ben facesse,
Unque di ben mangiare
     Nol dovria biasimare.
Ma chi ’l nasconde, e fugge
     E consuma, e distrugge:
Solo, chi ben si pasce,
     Certo ’n mal punto nasce.
Acci gente di corte,
     Che sono usate a corte
A sollazzar la gente:
     Domandonti sovente
Danari, e vestimenti.
     Certo se tu non senti
Lo poder di donare,
     Ben dèi corteseggiare:
Guardando d’ogne lato
     Di ciascun luoco, e stato
Mangia, non ebbriare:
     Se tu puoi megliorare
Lo dono in alto luoco,

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     Non ti vinca per giuoco
Lusinga di buffone.
     Guarda luoco, e stagione,
Secondo, che s’avviene:
     Ch’al presentar ritiene
Amore, et onoranza,
     Compagnia, et usanza.
E sai, ch’io molto lodo,
     Che tu ad ogne modo
Abbi di belli arnesi
     E privati, e palesi;
Sì, che ’n casa, e di fuore
     Si paja il tuo onore.
E se tu fai convito,
     O corredo bandito,
Fa ’l provvedutamente,
     Che non falli neente.
Di tutto innanzi pensa,
     E quando siedi a mensa
Non fare un laido piglio,
     Non chiamare a consiglio
Seniscalco, e sargente;
     Che da tutta la gente
Sarai scarso tenuto,
     O non ben provveduto.
Omai t’ho detto assai:
     Però ti partirai,
E dritto per la via
     Ne va a Cortesia.
Pregala da mia parte,
     Che ti mostri sua arte;
Ch’i’ già non veggio lume
     Sanza suo buon costume.