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XIV XVI
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XV.


E s’io contar volesse,

     Ciò, che ben vidi d’esse
Insieme, et in divise;
     Non credo ’n mille guise,
Che ’n scrittura capesse,
     Nè che lingua potesse
Divisar lor grandore
     Nel bene, e nel malore.
Però più non vi dico,
     Ma sì pensai con mico,
Che quattro van con loro,
     Cüi credo, et adoro
Assai più coralmente:

     Perchè lor convenente
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Mi par più grazïuso,

     E de la gente in uso.
Cortesìa, e Larghezza,
     Lealtà, e Prodezza.
Di tutte quattro queste
     Il puro sanza veste
Dirò ’n questo libretto,
     De l’altre non prometto
Di dir, nè di rimare;
     Ma chi le vuol trovare,
Cerchi nel gran Tesoro,
     Ch’è fatto per coloro,
Ch’hanno lo cor più alto.
     Là farò grande salto
Per dirle più distese
     Ne la lingua Franzese.
Ond’io ritorno omai
     Per dir, com’i’ trovai
Le altre a gran letizia
     In casa di Giustizia;
Che son sue descendenti,
     E nate di sue genti.
Et io n’andai da canto,
     E dimoravi tanto,
Ched io vidi Larghezza
     Mostrar con gran pianezza
Ad un bel Cavaliero,
     Come nel suo mestiero
Si dovesse portare:
     E dicea (ciò mi pare)
Se tu vuoli esser mio,
     Di tanto t’addisio;
Che nullo tempo mai

     Di me mal non avrai;
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Anzi sarai tutt’ore

     In grandezze, e ’n riccore:
Che mai uom per Larghezza
     Non venne ’n poverezza.
Ver è, ch’assai persone
     Dicon, ch’a mia cagione
Hanno l’aver perduto;
     E ch’è lor divenuto,
Perchè son larghi stati.
     Ma molto sono errati:
Che com’è largo quelli,
     Che par, che s’accapelli
Per una poca cosa,
     Ove onor ha gran posa?
Et un altro a bruttezza
     Farà si gran larghezza,
Che fia ismisuranza.
     Ma tu sappi ’n certanza,
Ch’ null’ora, che sia,
     Venir non ti porria
La tua ricchezza meno,
     Se t’attieni al mio freno,
Nel modo, ch’i’ diraggio.
     Che quelli è largo, e saggio,
Che spende lo danaro
     Per salvar l’agostaro.
Però in ogne lato
     Rimembri di tuo stato,
E spendi allegramente:
     E non vo’, che sgomente
Se più, che sia ragione.
     Dispendi a la stagione.
Anzi è di mio volere,

     Che tu di non vedere
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T’infingi a le fïate.

     De’ denari, o derrate,
Che vanno per onore,
     Pensa, che sia migliore;
E se cos’addivenga,
     Che spender ti convenga,
Guarda, che sia ’ntento,
     Sì, che non paje lento:
Che dare tostamente
     È donar doppiamente;
E dar come sforzato,
     Perde lo dono e ’l grato.
Che molto più risplende
     Lo poco, chi lo spende
Tosto, e con larga mano,
     Che quel, che di lontano

Dispendi con larghezza.