Il Sofista e l'Uomo politico/Il Sofista/XXII

Il Sofista - XXII

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Platone - Il Sofista e l'Uomo politico (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Giuseppe Fraccaroli (1911)
Il Sofista - XXII
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XXII.


For. Di colui dunque che professa esser capace di fare con un’arte sola qualsiasi cosa, noi sappiamo, per esempio, questo1, che, eseguendo per mezzo dell’arte grafica imitazioni omonime delle cose, sarà capace, mostrando i disegni da lontano2, di dare ad intendere ai nuovi giovinetti inesperti, che qualunque cosa si metta in Cmente di fare, egli è più che sufficente a farla davvero.

Teet. E come no?

For. E che poi? E per i discorsi non abbiamo sospetto che ci sia alcun’altra arte dello stesso genere, per la quale torni possibile3 i giovani che sono ancora lontani dalle cose della verità, attraverso le orecchie incantarli coi discorsi stessi, [p. 154 modifica]mostrando immagini di che che sia, fatte di parole, così da far parere che dicano il vero e Dche colui che lo dice sia su ogni cosa il più sapiente di tutti?

Teet. Perchè non ci dovrebbe essere un’altra arte sì fatta?

For. E non è necessario pertanto, o Teeteto, che poi la maggior parte degli ascoltatori d’allora, come sia passato del tempo sufficente e sian più innanzi negli anni, accostandosi vicino alla realtà e costretti da triste esperienza a toccare apertamente la verità delle cose, cambino Ele opinioni che prima si erano fatte, così da apparir loro piccolo ciò che 〈era〉 grande, difficile ciò che facile, e da essere rovesciate interamente tutte le parvenze, che erano state nei discorsi, per opera dei fatti che son sopraggiunti nella realtà?

Teet. Sì, per quanto posso giudicarne alla mia età: poichè credo di essere anch’io uno di quelli che stanno ancora a distanza.

For. Perciò noi tutti, quanti siamo qui, tenteremo e già tentiamo di tirarti senza quei 225travagli più vicino. A proposito dunque del sofista dimmi questo: non è egli già chiaro che sia uno degli incantatori, poichè è imitatore della realtà? o siamo ancora incerti, se là ove par capace di contraddire4, di ciò sia proprio vero ch’egli abbia anche la scienza?

[p. 155 modifica]Teet. E come potrebbe essere, o forestiero? Ma si può dire che sia già chiaro da ciò che si è detto, ch’egli è uno di quei tanti che esercitano l’arte degli scherzi5.

For. Una specie d’incantatore e di imitatore lo riterremo dunque?

Teet. E come non ritenerlo?

Note

  1. Οὐκοῦν τόν γ' ὑπισχνούμενον δυνατὸν εἶναι μιᾷ τέχνῃ πάντα ποιεῖν γιγνώσκομέν που τοῦτο, ὅτι κτλ. Così tutti i codici migliori: certo τοῦτον sarebbe più grammaticale, ma anche un anacoluto non è qui più intollerabile che altrove: non so quindi disapprovare la prudenza del Burnet, che torna alla lezione tradizionale.
  2. Cfr. de Rep. X p. 598 C.
  3. I codd. hanno ἠ οὐ δυνατὸν αὖ τυγχάνειν e son tutti d’accordo in correggere ᾗ e τυγχάνει, quest’ultimo non assolutamente necessario. L’οὐ chi lo sopprime (Apelt), chi lo muta in αὖ (Burnet, che legge: ᾗ αὖ δυνατὸν 〈ὂν〉 [αὖ] τυγχάνει), chi in ὂν (Madvig, Advers. Crit. I p. 380). Il senso è certo.
  4. ἀντιλέγειν. C’è una piccola incongruenza con p. 26 A, dove l’arte del sofista non è l’ἀντιλογική ma una sua sottodivisione, τὸ χρηματιστικὸν γένος τῆς ἐριστικῆς: ad ogni modo nell’ἀντιλογική essa è sempre compresa.
  5. A difesa della lezione τις εἷς egregiamente ricostituita dall’Apelt e accolta dal Burnet, che ho seguito, veggasi quanto contemporaneamente al primo scrisse K. L. Liebhold in “Neue Jahrbb.„ (1897) p. 204.