Il Sofista e l'Uomo politico/Il Sofista/XX

Il Sofista - XX

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Platone - Il Sofista e l'Uomo politico (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Giuseppe Fraccaroli (1911)
Il Sofista - XX
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XX.


For. Che non ci tocchi dunque anche a noi nella nostra indagine questo malanno per la nostra pigrizia. Ma ripigliamo in esame dapprima una delle nostre affermazioni intorno al sofista. Poichè una mi parve che lo indicasse meglio delle altre.

Teet. Quale?

For. Dicevamo ch’egli aveva l’arte del contraddire1.

Teet. Sì.

For. E poi? Non anche ch’egli sia maestro di questo agli altri?

[p. 148 modifica]Teet. Non c’è dubbio.

For. Vediamo dunque intorno a che cosa anche affermano costoro di rendere capaci gli altri a contraddire. E il nostro esame si rifaccia Cda capo a questo modo: su via, intorno alle cose divine, quante ve n’ha di oscure per i più, forse che essi rendono capaci di far ciò?2

Teet. Si dice infatti di loro anche questo.

For. E su quelle che pur son manifeste3 della terra e del cielo e altre cose di questo genere?

Teet. Come no?

For. Così pure nelle conversazioni private, quando si dica qualche cosa in generale intorno al divenire ed all’essere, lo vediamo bene che nel contraddire e sono forti e sanno far capaci anche gli altri di fare ciò che essi fanno.

Teet. Senza alcun dubbio.

DFor. E sulle leggi e su tutte le altre cose politiche, o che non promettono essi di farci buoni ad agitar controversie?

Teet. Infatti nessuno per così dire discorrerebbe con loro, se non promettessero questo.

For. E così intorno a tutte le altre arti e a ciascuna, che cosa l’artefice stesso deva [p. 149 modifica]rispondere su ciascun punto4, è là scritto e pubblicato per chi lo voglia imparare.

Teet. Mi pare che tu accenni agli scritti di EProtagora sulla lotta e sulle altre arti5.

For. E di molti altri, caro mio. Ma poi in sostanza l’arte del contraddire non sembra ella essere una certa capacità sufficente a sostenere la discussione intorno a qualsiasi cosa?

Teet. Pare infatti ch’essa non si lasci indietro presso che niente.

For. Ma, in nome di Dio, tu, figliuolo, credi questo possibile? Chi sa che voi giovani forse [p. 150 modifica]non vediate in ciò più acutamente e noi più debolmente.

233Teet. Cosa vuoi dire? e a che proposito? Perocchè non capisco ciò che ora mi domandi.

For. 〈Ti domando〉 se è possibile che un uomo sappia tutto.

Teet. Una razza ben fortunata, o forestiero, sarebbe allora la nostra.

For. E come potrebbe dunque, contro chi sappia, uno che sia ignorante disputare senza dir cose insensate?

Teet. In nessun modo.

For. E che cosa allora potrebbe esser mai questo miracolo della potenza sofistica?

Teet. Miracolo di che?

BFor. In che modo riescano a predispor nei giovani l’opinione che son loro su tutto i più sapienti di tutti. Perocchè è chiaro che se nè disputassero rettamente, nè paressero a costoro 〈ciò fare〉, o pur parendo non guadagnassero punto per il loro discutere maggior opinione di esperti in cosa alcuna6, come dicevi tu, dovrebbero aspettare un bel pezzo che altri volesse dar loro denari per farsi loro scolaro di codeste cose.

Teet. Un bel pezzo davvero.

For. Ma ora invece vogliono?

Teet. E come!

CFor. Perchè, credo, essi hanno l’apparenza di intendersi appunto di ciò su cui disputano.

Teet. E come no?

[p. 151 modifica]For. E disputano su ogni cosa, abbiamo detto?

Teet. Sì.

For. Di tutto dunque essi pajono dotti agli scolari?

Teet. Perchè no?

For. Ma non lo sono: poichè ciò s’è veduto che è impossibile.

Note

  1. Cfr. p. 225 B, e Proleg. cap. II p. 23 nota 1.
  2. Cioè di disputare e contraddire. Protagora, Trasimaco, Critia, Diagora Melio sono i nomi più segnalati tra quanti combatterono la religione tradizionale.
  3. φανερά, cioè che si percepiscono, in opposizione alle cose più propriamente divine, o religiose, che sono oscure (ἀφανῆ).
  4. ἃ δεῖ πρὸς ἕκαστον αὐτὸν τὸν δημιουργὸν ἀντειπεῖν. A cominciare dall’Heindorf per finire con l’Apelt e con l’Horn (Platonstudien, N. F. p. 311) i più intendono: “che cosa convenga opporre in contrario a ciascun artefice„, cioè come si possa contraddire l’artefice nella sua stessa arte. E ciò non torna nè per il costrutto nè per il senso. Qui si parla di una competenza tecnica che i sofisti, come i nostri avvocati, presumevano di avere per disputare di qualsiasi cosa: essi insegnavano l’arte agli artefici, come quell’imbecille lor discendente che tenne lezione sull’arte della guerra alla presenza di Annibale. E questo era ciò che poteva esser messo in iscritto, come si fa con la retorica nei nostri manuali. Contraddire all’artista nella sua arte non era di ciò che una conseguenza occasionale, di cui qui non può esser menzione: questa menzione infatti qui sposterebbe la questione dal punto di vista della vanità della sofistica, che si vuol chiarire, a quella dell’inganno deliberato e della falsità consapevole. L’interpretazione che ho preferito è quella data anche dal Campbell, dal Jowett, e dal Gomperz.
  5. Anche Diog. Laerzio IX. 8. 55 cita un libro di Protagora περὶ πάλης.
  6. La stessa osservazione in Theaet. p. 179 A.