Il Quadriregio/Libro secondo/I
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CAPITOLO I
Come la dea Pallade appare all'autore
e gli descrive la sedia e signoria di Satanasso.
Febo la notte addovagliava al giorno
ed era in compagnia col dolce segno,
che prima fa di fiori il mondo adorno,
quando a cercar mi misi il nobil regno
5di dea Palla Minerva, per comando
d’un mio signor magnanimo e benegno.
E come alcun che parla seco, quando
va pel cammin soletto, faceva io,
e questo dicea meco ragionando:
10— O alto re, monarca, o sommo Dio,
non vedi tu che ’l mondo va sí male
e quanto egli è perverso e fatto rio?
Non vedi il vizio che la virtú assale?
E da che questo da te si comporta,
15o tu nol vedi o dell’uom non ti cale.
Giá l’avarizia ha ogni pietá morta
ed ogni parentela ed ogni fede:
il vizio alla virtú serra ogni porta.
Non vedi che superbia sotto il piede
20tien la giustizia e con orgoglio e pompe
s’è posta armata su nella sua sede?
Non vedi tu che la lussuria rompe
le leggi di natura e che ’l corrotto
quel di novella etá poscia corrompe?
25Signor e Dio, se Abraam o Lotto
in Sodoma e Gomorra tu non trovi,
cioè nel mondo a tanto mal condotto,
perché tu ’l foco e ’l zolfo giú non piovi?
e se tu odi tante a te biasteme,
30perché a fulminar Vulcan non movi?
perché tu non disfai il crudel seme,
peggior che Licaon e che i giganti,
se non che lor fortezze son piú sceme?—
Minerva in questo venne a me davanti,
35e non la conoscea che fosse quella;
ed una dea pareva alli sembianti.
Come che saggia e vergine donzella,
d’oliva e d’òr portava due corone,
talché mai ’mperator l’ebbe sí bella.
40Scolpito avea l’orribile Gorgone
nel bello scudo, ch’ella ha cristallino,
il quale porta e contro i mostri oppone.
Quando a lei fui e reverente e chino,
ella mi disse:— Dove andar intende
45l’animo tuo per questo aspro cammino?—
Risposi a lei:— Tra belli monti scende
Topino in Umbria, ed in quel bel paese,
sinché al Tevere l’acqua e il nome rende,
regna un signor magnanimo e cortese:
50egli mi manda a cercar un reame,
al qual Minerva m’invitò e richiese.
Ma, perché allor Cupido di tre dame
colle saette sue m’avea invaghito,
con quali e’ fa che fortemente s’ame,
55non accettai da quella dea l’invito,
ma dietro al folle amor con molti affanni,
sí come cieco, andato son smarrito.
Or ch’io mi so’ avveduto de’ suo’ inganni
e che ogni cosa si può dir niente,
60la qual vien men per correre degli anni,
che non andai con Palla il cor si pente;
e ’l detto mio signore anco sen duole,
ch’io non fu’ al suo comando ubbidiente.
Però mi ha detto in espresse parole
65ch’io cerchi infin che truovi ov’ella regna,
ch’egli al suo regno poi venir vi vuole.
Però ti prego, donzella benegna,
o tu m’insegna il loco, ove la trovi,
o di guidarmi infino a lei ti degna.
70E s’al mio basso prego non ti movi,
mòvati quel signor, il qual mi manda,
e li congiunti suoi antichi e nuovi.—
Minerva, poiché ’ntese mia dimanda,
sorrise alquanto e fece lieta cèra,
75mostrando faccia dilettosa e blanda.
Rispose poi:— Virtú e fede vera
del prince, che tu dici, e suoi passati,
e che ne’ figli e nepoti si spera,
lui e suo’ amici a me fatt’han sí grati,
80ch’io son venuta a te, e son colei
che t’invitai a’ mie’ regni beati.—
Allora la conobber gli occhi miei,
ond’io m’inginocchiai e mia persona
prostrai in terra innanti alli suoi pièi,
85dicendo:— O dea Minerva, a me perdona,
s’io te lassai e seguitai Cupido
per la via ria e abbandonai la buona.
E quella fiamma, che fe’ errar giá Dido,
Ercole e Febo, innanzi a te mi scuse
90e ’l pentimento, pel qual piango e grido.—
Allor porse la mano e sí la puse
benignamente in su la mia man destra
e poscia in questo modo mi rispuse:
— Da che Cupido e la sua via alpestra
95non vuoi piú seguitar, io acconsento
menarti meco ed esser tua maestra.
Ma dimmi prima se tu se’ contento
combatter contra i mostri ed esser forte,
che nel viaggio dánno impedimento.—
100Risposi:— O sacra dea, piú mi conforte
che Adriana Teseo, quando il fe’ saggio
scampar del laberinto e della morte.
Pensa se del venir gran voglia io aggio,
quando cosí soletto mi son mosso
105a cercar te per questo aspro viaggio.
Tu sai la mia virtú e quant’io posso;
e, s’ella è poca, io spero aver ardire,
se io mi guiderò dietro il tuo dosso.
Ma prego, o sacra dea, mi vogli dire
110qual è ’l cammino e prego che mi mostri
chi sta in quel viaggio ad impedire.
— Il primo e principal di tutti i mostri
— rispose— è Satanasso ed ha ’l governo
del mortal mondo e delli regni vostri.
115Giá piú tempo è ch’egli uscí for d’inferno,
e prese questo mondo a gran furore
e ciò che muta tempo, o state o verno.
Nel primo clima sta come signore
colli giganti, ed un delle sue braccia
120piú che nullo di loro è assai maggiore
Tu vederai il suo busto e la sua faccia,
e gloriarsi e dir che ’l mondo vince,
e giá la sua superbia al ciel menaccia.
E con lo scettro in mano il mondan prince
125in mezzo il mondo siede triunfante,
come signore e re delle province.
E sua cittá ha fatta somigliante
al vero inferno e li vizi egli tiene,
la morte e le miserie tutte quante.
130E perché questo tu lo sappi bene,
convien che tu discendi in quel profondo,
onde ciò che si parte, alla ’nsú vene.
Visto lo primo cerchio e poi il secondo,
l’anime afflitte e gli altri cerchi ancora,
135ritornerem tu e io quassú nel mondo.
Il regno di Satán cercherai allora
e la sua gran cittá e l’alto seggio
anche vedrai e chi con lui dimora.
Or, perché ’l mondo va di male in peggio,
140se ben pensi chi ’l guida, da te stesso
chiaro il vedrai sí com’io chiaro il veggio.
Tu ragionavi, a me venendo adesso,
ond’è che ’l mondo è sí di vizi pieno
e perché tanto mal da Dio è permesso.
145Or sappi ben che Dio ha dato il freno
a voi di voi; e se non fosse questo,
libero arbitrio in voi sarebbe meno.
E voglio ancor che ti sia manifesto
che vostra carne, le piú volte, volta
150vostra ragion dal segno d’atto onesto.
E perché al vizio è prona gente molta,
Satáno vince; e questa è la sementa
e la zizania sua mala ricolta.
Vince anco le piú volte quando tenta,
155ché ’n mille modi torcer vostra nave
puote dal porto ritto, ove si avventa;
ché correre a vertú sempre par grave
a vostra carne, la qual sempre incíta
a quel che par al senso piú soave.
160Facciamo omai di qui nostra partita:
il tempo è breve, ed è distante il loco,
ov’è d’andar al ciel prima salita.
— Minerva mia, te primamente invoco,
e poi le muse, che dell’acqua chiara
165del fonte pegaseo mi diate un poco.—
Cosí risposi e poi:— Or mi dichiara
di questo che mi dá gran maraviglia:
tu sai che domandando l’uomo impara.
Quando fu che Satán e sua famiglia
170lasciò di sé e de’ suoi l’inferno vòto
e venne su, ove si more e figlia?
Vorrei saper ancor, ché non mi è noto,
s’egli è signor di tutti quegli effetti,
che influisce il cielo ovver suo moto.—
175Allora mi rispose in questi detti.