Il Quadriregio/Libro quarto/XVII

XVII. Come Paolo apostolo menò l’autore al reame della Speranza

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XVII. Come Paolo apostolo menò l’autore al reame della Speranza
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CAPITOLO XVII

Come Paolo apostolo menò l'autore al reame della Speranza.

     — Apostol mio, che al terzo delli cieli
tirato fosti alle celesti cose,
perché di quelle a me tu non reveli?—
     Cosí diss’io; ed egli a me rispose:
5— Perché son sí supreme e tanto immense,
e son sí alte e sí maravegliose,
     che non è cor terren, che mai le pense;
né mente che le creda ovver discerna,
se non le gusta in le superne mense.
     10Come avverria, se un nella caverna
fusse nutrito, e poi gli dicesse uno
ovver la sua nutrice, che ’l governa,
     come nasce la rosa su nel pruno,
e come ’l sol il dí rischiara il giorno,
15e poi la sera cala e fállo bruno,
     e quanto il ciel di stelle è fatto adorno,
e come piove, e che per l’alto mare
le navi vanno a vento intorno intorno,
     appena el credería; e, poi che chiare
20ei le vedesse, diría nel pensiero,
stando egli stupefatto ad ammirare:
     — Or veggio ben che a sí supremo vero
non alzava io la mente, e ciò ch’i’ho creso
è stato diminuto e non intero;
     25e per questo io, dal terzo ciel disceso,
parlar non volli tra li saggi e sciocchi,
che per superbia non m’arebbon ’nteso,

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     stolti appo Dio e saggi ne’ lor occhi,
pien d’ignoranza e sí di senno vóti,
30che suonan, beffeggiando, unque li tocchi.
     Ma a quei, che alla fede eran divoti,
a Dionisio ed a molt’altri ancora
li secreti del ciel io feci noti.
     Quel che tu chiedi ch’io ti riveli ora,
35tosto fia manifesto al tuo intelletto,
quando di questo tempio serai fuora.—
     D’un porfido polito, terso e netto
una via mi mostrò poi ’nsú distesa,
girante intorno al tempio insin al tetto.
     40— Per questa è la salita ed è la scesa
di dea Speranza; e chi vuol veder lei,
convien che saglia sopra questa chiesa.—
     Cosí dicendo, insú mosse li piei;
ed io, che sue vestigie mai non lasso,
45dirieto a lui mossi li passi miei.
     E, perché ogni monte è assai piú basso,
che non è ’l monte, ove quel tempio è sito,
però ratto ch’io salsi il primo passo,
     l’apostol disse a me:— Or sei uscito
50fuor del terrestre mondo, e chi sú sale
e di voltarsi addietro è poscia ardito,
     diventa marmo o statua di sale:
però fa’ che non volti, ché tu forsi
potresti divenir in tanto male.—
     55Per questo detto, mentre alla ’nsú corsi,
dieci miglia salendo insino a cima,
il viso mio addietro mai non torsi.
     E, quando sopra il tetto giunsi in prima,
inverso il mondo ingiú chinai la fronte,
60come chi d’una torre il viso adima.
     Per l’altezza del tempio e poi del monte
il mondo parve a me un piccol loco,
e ’l mare intorno quasi parvo fonte.

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     — Tu se’ appresso alla spera del foco
65— disse a me Paulo;— e, perché ’l foco in alto
riscalda molto, e sotto scalda poco,
     però non arde questo adorno smalto
di questo tetto, ed anco a te non cuoce,
degli incendi suoi facendo assalto.—
     70Non credo mai ch’andasse sí veloce
coll’ale aperte il nunzio Cilleno
quando il gran Iove a lui comanda a voce,
     che non venisse a me ancora in meno
la santa Fede, spargendo li raggi
75intorno intorno per l’aer sereno.
     E, giunta a me, mi disse:— Accioché aggi
tuo’ intendimenti, e che tu la Speranza
possi vedere e sua dolcezza assaggi,
     io venni a te e solo ebbi fidanza
80ch’io la possi mostrar, se mi t’accosti,
sí che tra te e me non sia distanza.
     Ed abbi li piè tuoi su li miei posti,
il petto al petto; ed alza la pupilla
al ciel, come l’arcier ch’al segno apposti.—
     85Cosí udii che fece la sibilla,
quando mostrò al grande imperadore
col figlio in braccio l’umiletta ancilla,
     dentro in un cerchio in ciel pien di splendore,
quando il popol roman (tanto era errante)
90volea di sacrificio fargli onore.
     Allor Sibilla gli disse davante:
— Altro signor ne viene, Octaviano,
a cui degno non se’ scalzar le piante,
     ché unirá ’l celeste coll’umano.
95Egli è che fará ’l secolo felice,
ed al ciel tirerá ’l regno mundano.—
     Allora Cristo e la sua genitrice
gli fe’ vedere e disse:— Quegli è ’l figlio,
di cu’ i profeti e Virgilio dice.—

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     100Cosí ed io, al cielo alzando il ciglio,
un’agnol vidi, ch’era innanzi a Dio,
il qual dicea per modo di consiglio:
     — Ritorna, o peccatore, al Signor pio,
il qual perdona a chiunque si converte,
105purché si penta e non voglia esser rio.
     Egli t’aspetta colle braccia aperte,
come padre il figliuol che si desvia,
che poi l’abbraccia, quando a lui reverte.
     Perché ti parti ed obliqui la via?
110Ritorna a tua cittá e alla tua corte
coll’agnol diputato in compagnia.
     Non vedi tu che quella vita è morte
che corre a morte, e quella vita è vita
che al vivere giammai serra le porte?
     115Non vedi tu che l’alto Dio t’invita,
e, se ti penti e domandi perdono,
ti dará ’l cielo e la vita infinita?
     Egli dell’esser uom ti fece dono,
perché suo fossi, e suo esser non puoi,
120se non ti mendi e non diventi buono.
     E, se tu ’l tuo voler seguitar vuoi,
serai perduto; ché nulla ha fermezza,
se non in quanto ha ’l fundamento in lui.
     Egli è quel padre che nullo disprezza,
125che a lui ritorni.— E, quando questo intesi,
della speranza io sentii la dolcezza,
     e lacrimoso in terra mi distesi,
dicendo:— O padre, priego mi perdoni,
se mai io fui superbo e mai t’offesi.—
     130Mille tripudi allor, mille canzoni
io vidi in ciel far della penitenza
del peccator e mille dolci suoni.
     Ed una donna con gran refulgenza
dal ciel discese a me dal destro lato
135a consolarmi della sua presenza,

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     e disse:— Al cor contrito ed umiliato
la porta Dio della pietá mai serra:
sí quello sacrifizio a lui è grato.
     E, quando il peccator si getta in terra,
140di ogni pace Dio gli è grazioso,
quantunque pria con lui avesse guerra;
     ché non è altro l’esser vizioso,
se non contra sua legge andar superbo,
contra l’ordin di Dio ire a ritroso.
     145Per la superbia di chi ’l pomo acerbo
gustò e stupefe’ a’ figli i denti,
fece umanare Iddio l’eterno Verbo,
     a satisfar per quelle giuste genti,
ch’eran nel limbo; e con martirio amaro
150fe’ che dal suo Figliol fusson redenti.
     Or pensa quanto Dio ha l’uomo caro,
da che ordinò che tanta maiestade
a sua perdizion fêsse riparo.—
     Quand’ella disse a me tanta pietade
155e che Dio fece l’uom non per suo merto,
ma per parteciparli sua bontade,
     io presi ardire e leva’mi sú erto
e dissi:— Io non son servo, ma figliuolo
del padre Dio, che tanto amor m’ha offerto.—
     160Poi mi rivolsi per veder san Polo;
e vidi lui e la Fe’ con gran luce
salir al cielo; e non mi lassôn solo,
     insin che dea Speranza ebbi per duce.