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capitolo xvii 361

     e disse:— Al cor contrito ed umiliato
la porta Dio della pietá mai serra:
sí quello sacrifizio a lui è grato.
     E, quando il peccator si getta in terra,
140di ogni pace Dio gli è grazioso,
quantunque pria con lui avesse guerra;
     ché non è altro l’esser vizioso,
se non contra sua legge andar superbo,
contra l’ordin di Dio ire a ritroso.
     145Per la superbia di chi ’l pomo acerbo
gustò e stupefe’ a’ figli i denti,
fece umanare Iddio l’eterno Verbo,
     a satisfar per quelle giuste genti,
ch’eran nel limbo; e con martirio amaro
150fe’ che dal suo Figliol fusson redenti.
     Or pensa quanto Dio ha l’uomo caro,
da che ordinò che tanta maiestade
a sua perdizion fêsse riparo.—
     Quand’ella disse a me tanta pietade
155e che Dio fece l’uom non per suo merto,
ma per parteciparli sua bontade,
     io presi ardire e leva’mi sú erto
e dissi:— Io non son servo, ma figliuolo
del padre Dio, che tanto amor m’ha offerto.—
     160Poi mi rivolsi per veder san Polo;
e vidi lui e la Fe’ con gran luce
salir al cielo; e non mi lassôn solo,
     insin che dea Speranza ebbi per duce.