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capitolo xvii 359

     — Tu se’ appresso alla spera del foco
65— disse a me Paulo;— e, perché ’l foco in alto
riscalda molto, e sotto scalda poco,
     però non arde questo adorno smalto
di questo tetto, ed anco a te non cuoce,
degli incendi suoi facendo assalto.—
     70Non credo mai ch’andasse sí veloce
coll’ale aperte il nunzio Cilleno
quando il gran Iove a lui comanda a voce,
     che non venisse a me ancora in meno
la santa Fede, spargendo li raggi
75intorno intorno per l’aer sereno.
     E, giunta a me, mi disse:— Accioché aggi
tuo’ intendimenti, e che tu la Speranza
possi vedere e sua dolcezza assaggi,
     io venni a te e solo ebbi fidanza
80ch’io la possi mostrar, se mi t’accosti,
sí che tra te e me non sia distanza.
     Ed abbi li piè tuoi su li miei posti,
il petto al petto; ed alza la pupilla
al ciel, come l’arcier ch’al segno apposti.—
     85Cosí udii che fece la sibilla,
quando mostrò al grande imperadore
col figlio in braccio l’umiletta ancilla,
     dentro in un cerchio in ciel pien di splendore,
quando il popol roman (tanto era errante)
90volea di sacrificio fargli onore.
     Allor Sibilla gli disse davante:
— Altro signor ne viene, Octaviano,
a cui degno non se’ scalzar le piante,
     ché unirá ’l celeste coll’umano.
95Egli è che fará ’l secolo felice,
ed al ciel tirerá ’l regno mundano.—
     Allora Cristo e la sua genitrice
gli fe’ vedere e disse:— Quegli è ’l figlio,
di cu’ i profeti e Virgilio dice.—