Il Quadriregio/Libro quarto/XIX

XIX. Come la Speranza conduce l’autore a parlare con la Caritá

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XIX. Come la Speranza conduce l’autore a parlare con la Caritá
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CAPITOLO XIX

Come la Speranza conduce l'autore a parlare con la Caritá.

  Come la Fede la santa speranza
mi demostrò, cosí poscia la Spene
la caritá, ch’ogni vertude avanza.
     Considerai che Dio è sommo bene,
5e che da lui ogni altro ben deriva
prima ne’ cieli, e poscia in terra vène.
     Considerai che me fe’ cosa viva,
poi animal, e poi mi diede in dono
libero arbitrio e vertú intellettiva.
     10E ciò, che s’ama, s’ama in quanto e buono;
ed egli è ’l Ben supremo e sí cortese,
ch’ogni pentir in lui trova il perdono.
     Questo di tanto amore il cor m’accese,
che fe’ di piombo ogni aurato dardo,
15che mai Cupido folle in me distese.
     Allor inverso il ciel alzai lo sguardo,
e venne un raggio a me dal primo Amore,
che tanto mi scaldò, che ancora io ardo.
     Ond’io gridai:— O alto Dio Signore,
20che render posso a tanti benefici,
se non ch’io ami te con tutto il core?
     Era niente, ed alli ben felici
tu mi creasti; e, mentre servo io era,
per grazia, mi facesti de’ tuo’ amici.—
     25Quando questo dicea, di luce vera
resperso fui; ond’io mirai piú fiso,
per veder onde uscia quella lumiera.

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     E donna vidi dentro al paradiso
bella e lucente tanto quanto il sole,
30se non che piú acceso aveva il viso.
     E, come aquila fa ’nanti che vole,
che mira in alto prima che giú vegna
inver’ la preda, che prendere vòle,
     cosí scese ella e disse a me benegna:
35— Del purgatòr convien che ’l foco passi,
anzi che venghi ove per me si regna.—
     Li polsi miei, giá faticati e lassi,
se sgomentóro un poco a tanta impresa;
ond’io per questo un gran sospir fuor trassi.
     40Ma, dacché Muzio nella fiamma accesa
spontaneamente porse quella mano,
ch’a dare il colpo avea commessa offesa,
     e dacché sol per un onor mundano
Pompeo il dito s’arse dentro al foco,
45a mostrar forte a non aprir l’arcano;
     come temenza in me potea aver loco
con Spene e Caritá, che ogni amaro
fanno esser dolce e fannol parer poco?
     Però, mostrando il viso allegro e chiaro,
50risposi:— Io venir voglio, e, con voi due,
star dentro al purgatoro a me fia caro.
     Come Abacuc insú levato fue,
quando soccorse a Daniel profeta,
cosí allora io fui levato insue.
     55E fui nel purgatoro; e grande pièta
d’anime vidi in quelle fiamme ardenti,
che tra’ martíri avean sembianza lieta;
     ché, benché fusson tra li gran tormenti,
la speranza addolcisce in lor la pena,
60ché speran ire alle beate genti.
     — Ave, Maria di grazia piena
— cantavan molti dentro della fiamma,—
Dominus tecum, o stella serena.

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     Soccorri tosto, o dolce nostra mamma,
65ed a pietá ver’ noi il Signor piega
per quello amor, che te di lui infiamma.
     Quando, o Regina, la tua voce priega,
nel cospetto di Dio è tanto accetta,
che nulla a tua domanda mai si niega.
     70O donna sopra ogni altra benedetta,
fa’ ch’a noi venga il benedetto Frutto,
che con tanto disio da noi s’aspetta.—
     Io stava ad ascoltar, attento tutto,
le lor parole e le piatose note,
75mostranti insieme l’allegrezza e ’l lutto.
     E parte ancor dell’anime divote
a coro a cor dicíen le letanie
con pianto tal, che mi bagnò le gote.
     Ed alcun gl’inni, alcun le psalmodie,
80alcuni il Deprofundo e ’l Miserere
dicíen con pianti e dolci melodie.
     Poi un gridò:— Oh! venite a vedere
un, che ’nsú sale ed ha viva persona:
e’ dentr’al foco ha le sue membra intiere.—
     85Come a messaggio, c’ha novella bona,
corre la gente ed ognuno el domanda,
ed ei risponde alquanto e non ragiona;
     cosí corríeno a me da ogni banda
spiriti eletti quivi a farsi belli,
90sin ch’a felice stato Dio li manda.
     — Noi ti preghiam— dicíen— che ne favelli;
dacché tu sei colle benigne scorte,
non hai timor sentir nostri fragelli.
     Se tu non hai gustata ancor la morte,
95dinne se ancor al mondo tornerai,
acciò che lá di noi novella porte.—
     La Spene e Caritá addomandai
se volíen ch’io parlasse, ed assentîro:
ond’io mi volsi a loro e m’arrestai.

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     100E vidi li tre, posti a gran martiro,
che dentro al foco portavan gran some
con grande ansietá e gran sospiro.
     Il primo addomandai come avea nome,
e che dicesse a me degli altri doi,
105e delle some loro il perché e ’l come.
     In prima sospirò, e disse poi:
— Io fui il padre di questo secondo,
ed egli al terzo, ed io avo gli foi.
     Si come spesso avvien del mortal mondo,
110che l’uno all’altro la gran soma lassa
de’ mal tolletti e frode il carco e ’l pondo,
     in quella vita che, morendo, passa,
io lassa’ al figlio e ’l figlio all’altro ancora,
che si rendesse il mal riposto in cassa,
     115ed egli all’altro che ’n vita dimora;
e ’l pronepote mio non ce n’aita,
si che una soma giá tre n’addolora.
     Ahi, quanto è saggio chiunque in sana vita
provvede a questo e fa con Dio ragione,
120e non l’indugia infino alla partita!
     Ché far non pò la satisfazione,
e spesso a satisfar il mal ablato
un altro erede rubator ci pone.
     Sabello nella vita fui chiamato,
125e fui di Roma, e ’l mio figliol fu Carlo,
e Lelio è ’l mio nipote, che gli è a lato.
     — Dacché concesso m’è che io ti parlo
— diss’io a lui,— un dubbio, in che m’hai messo,
dechiara a me, se tu sai dechiararlo.
     130Se fu a tuo figlio il satisfar concesso,
perché ’l peccato suo in te redonda,
s’egli ha negletto quel che gli hai commesso?—
     Ed egli a me:— Se vuoi ch’io ti risponda,
sappi che ’l pentir tardo, freddo e lento
135e ’l non ben satisfatto qui si monda.

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     E, se alcuno avesse il pentimento,
come il ladron, che ’n croce si pentéo,
senz’altra pena al ciel andría contento;
     ché chi, come san Pietro e san Matteo,
140in vita o nello estremo ben si pente,
prima vorría morir ch’esser piú reo.
     Ma questo ben pentir, se tu pon’ mente,
è raro sí, quanto sería a rispetto
all’assai ’l poco, ch’è quasi niente.
     145E cosí ’l mio pentir non fu perfetto,
ch’io ’l tardai e del mal far m’accorse,
quand’era per morir su nel mio letto.
     E, s’io fusse guarito, sarei forse
tornato al mal di prima o, come ’l figlio,
150a satisfar arei chiuse le borse:
     siccome chi sta in mare a gran periglio,
che fa gran voti e par tutto contrito
e dassi al petto ed al ciel alza il ciglio;
     e, quando il tempo turbo s’è partito,
155ovver ch’egli è disceso fuor del mare,
muta proposto e muta l’appetito.
     Pel freddo pentimento e pel tardare
e perché ’l satisfar lascia’ a costoro,
allor che meco io nol potea portare,
     160tanto starò in questo purgatoro,
che satisfatto sia, se ’l ben comuno,
che fa la Chiesa, non mi dá adiutoro.
     Di quelle messe e preci ha qui ognuno
la parte sua, come dá ’l corpo il cibo
165a’ membri suoi, e piú al piú digiuno.—
     E poscia vidi ciò che ora scribo.