100E vidi li tre, posti a gran martiro,
che dentro al foco portavan gran some
con grande ansietá e gran sospiro.
Il primo addomandai come avea nome,
e che dicesse a me degli altri doi, 105e delle some loro il perché e ’l come.
In prima sospirò, e disse poi:
— Io fui il padre di questo secondo,
ed egli al terzo, ed io avo gli foi.
Si come spesso avvien del mortal mondo, 110che l’uno all’altro la gran soma lassa
de’ mal tolletti e frode il carco e ’l pondo,
in quella vita che, morendo, passa,
io lassa’ al figlio e ’l figlio all’altro ancora,
che si rendesse il mal riposto in cassa, 115ed egli all’altro che ’n vita dimora;
e ’l pronepote mio non ce n’aita,
si che una soma giá tre n’addolora.
Ahi, quanto è saggio chiunque in sana vita
provvede a questo e fa con Dio ragione, 120e non l’indugia infino alla partita!
Ché far non pò la satisfazione,
e spesso a satisfar il mal ablato
un altro erede rubator ci pone.
Sabello nella vita fui chiamato, 125e fui di Roma, e ’l mio figliol fu Carlo,
e Lelio è ’l mio nipote, che gli è a lato.
— Dacché concesso m’è che io ti parlo
— diss’io a lui,— un dubbio, in che m’hai messo,
dechiara a me, se tu sai dechiararlo. 130Se fu a tuo figlio il satisfar concesso,
perché ’l peccato suo in te redonda,
s’egli ha negletto quel che gli hai commesso?—
Ed egli a me:— Se vuoi ch’io ti risponda,
sappi che ’l pentir tardo, freddo e lento 135e ’l non ben satisfatto qui si monda.