Il Quadriregio/Libro primo/VII

VII. Come la ninfa Lippea fu coronata della ghirlanda, che avea vinta

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
VII. Come la ninfa Lippea fu coronata della ghirlanda, che avea vinta
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CAPITOLO VII

Come la ninfa Lippea fu coronata della ghirlanda,
che avea vinta.

     Per questo Lippea bella è disdegnosa;
e perché vinta gli parea a ragione
quella grillanda tanto preziosa,
     andò piangendo all’alta dea Iunone,
5dicendo a lei:— Perché le paraninfe,
che vengon dietro a te, cosí abbandone?
     Queste silvestre e queste rozze ninfe
di dea Diana, tra’ boschi assuete
e tra li scogli e valli e tra le linfe,
     10perché han vinto il cervo, stanno liete
e stan superbe e fan di noi dispregio
con beffe e riso e con parol secrete.
     Perché a me, che son del tuo collegio,
la mia vinta corona mi si nega?
15Io ’l dico per l’onor e non pel pregio.
     Se il pregio mio, regina, non ti piega,
mover ti debbe la mia compagnia:
vedi che ognuna per me te ne prega.—
     Iunon alquanto a ciò sorrise pria,
20e poi benigna a lei la man distese,
dicendo:— Usar convien qui cortesia.
     Dacché Diana tien questo paese,
e noi venimmo ad onorar sua festa,
ben è che ’nverso lei io sia cortese.
     25La tua vittoria a tutte è manifesta,
e tutte veggon ch’è tua la grillanda
e che l’emula tua perde la ’nchiesta.

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     Ma va’ a Diana ed a lei la domanda:
cosí a me piace e voglio che si faccia
30da te e dall’altra ciò ch’ella comanda.—
     Allora andò con reverente faccia
e disse a lei:— O figlia di Latona,
con reverenza io prego che ti piaccia
     che mi sia data la vinta corona;
35tu sai, Diana, che secondo il patto
debbe esser mia, e ragion me la dona.—
     La dea rispose a lei con benigno atto:
— D’allora in qua, Lippea, bene ti vòlsi,
che festi alla grillanda sí bel tratto.
     40Del cervio la vittoria io ti tolsi;
quand’egli cadde, io gli rendei la lena,
e su levato alle mie ninfe il volsi,
     ché di perder le vidi aver gran pena;
ond’i’, a pietá commossa, alla lor parte
45il feci andar a prego di Lisbena.
     Né questo feci per ingiuriarte,
ma perché scaccia invidia e serva amore
sempre l’onor che insieme si comparte.—
     E poi la ’ncoronò con grande onore
50e nel carro la pose seco appresso,
con la grillanda di tanto valore.
     Iunon, che stava non molto da cesso,
diede a Lisbena un arco d’unicorno
per premio della caccia a lei promesso,
     55tutto smaltato d’un bianc’osso eborno,
e d’una pelle d’orso un bel carcasso
fulcito tutto d’oro intorno intorno.
     Diana intanto il carro a passo a passo
mosse verso Iunon; e, giunta a lei,
60riverenza gli fe’ col capo basso,
     dicendo:— O gran regina delli dèi,
Lippea, che sta meco qui presente,
tanto m’è grata e piace agli occhi miei,

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     che, se a te piace ed ella me ’l consente,
65prego che facci che meco rimagna
insino all’altra festa rivegnente
     e non sia grave a lei nostra montagna;
ché meco la terrò non come ancella,
ma come mia carissima compagna.—
     70La dea assentío ed anche Lippea bella;
e l’altre ninfe ne fenno allegrezza,
mostrando ognuno insieme esser sorella.
     E tutto il loco s’empí di dolcezza,
di canti e balli su nel verde prato,
75il quale ha ben sei miglia di larghezza.
     Cupido, ed io con lui, stava occultato;
e dalle dèe sí poco er’io distante,
ch’io intendea lor parlar da ogni lato,
     quando l’Amor mi disse:— Tutte quante
80le ninfe hai viste; or, dimmi, qual tu vuoi?
a qual ti piace piú esser amante?—
     E detto questo, d’un de’ dardi suoi
d’oro ed acceso mi percosse il petto,
e beffeggiando se ne rise poi.
     85Ed io a lui:— Il grato e bello aspetto
della gentil Lippea tanto eccede,
che nulla paion l’altre a lei rispetto.
     Ma perché non è esperta, non s’avvede
ch’io l’ami e che di lei m’abbi ferito,
90e la mia pena occulta ella non crede.
     Per quella fé, con la qual t’ho seguito,
ferisci ancora lei, perché s’avveggia
quant’ha valore in sé l’arco tuo ardito.—
     Cupido rise come chi beffeggia;
95cosí ridendo da me disparío
sí come un’ombra o cosa che vaneggia.
     — Ove ne vai— diss’io,— o falso dio?
perché mi lassi? Or veggio ben ch’è folle
chi pone in te speranza ovver desio.—

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     100In questo, come mia fortuna volle,
una schiera di cervi giú emerse
e discese nel pian suso dal colle.
     Le ninfe tutte per la valle sperse
cursono a far la caccia per lo piano
105per vari lochi e vie aspre e diverse.
     Lippea coll’arco bello, ch’avea in mano,
seguí un cervio, ch’andò verso il monte
e passò a lato a me poco lontano.
     Sola soletta e con le voglie pronte
110gli andava dietro su tra il bosco incolto,
ferendo lui con le saette cónte.
     Ed io, che stava lí in quel loco occolto,
per ritrovarla dietro a lei mi mossi,
e tra le frondi del boschetto folto
     115due miglia o quasi cred’io andato fossi,
ch’io la trovai, e la fiera avea morta,
in prima dato a lei mille percossi.
     E quand’ella di me si fo accorta,
lassò il cervio e misesi a fuggire
120su verso il monte timidetta e smorta.
     E dietro a lei io comincia’ a dire:
— O ninfa bella, io prego, alquanto ascolta,
prego che mie parole vogli udire.—
     Come il cacciato cervio si rivolta
125sol per veder se il seguitan li cani,
cosí ella facea alcuna volta.
     E poi fuggía tra quelli boschi strani,
ed io seguíala tra le acute spine,
che mi strappavan le gambe e le mani.
     130— Perché fuggendo sí ratto cammine?—
diceva io a lei.— Io prego che ti guardi
che tra li boschi e scogli non ruine.
     Deh! perché non ti volti e non mi sguardi?
Di te ferito m’ha, o cara gioia,
135il falso Amor co’ suoi orati dardi.

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     Se tu non m’hai pietá, non ti sia noia
almen ch’io t’ami; e questo sol domando,
se tu non vuoi ch’io manchi ovver ch’io muoia.
     Io prego il sacro Amor ch’io veggia il quando
140ferisca te e costrengati tanto,
che sii, com’io, soggetta al suo comando.—
     Quand’ella questo udí, si volse alquanto
e disse, vòlta a me, alzando il grido:
— Mai si potrá Amor di me dar vanto.
     145Tutta la forza del crudel Cupido
metto a dispetto e le saette e ’l foco,
ed anco alla battaglia io lo disfido
     ch’egli abbia possa a innamorarmi un poco,
e del vano arco, il qual portare egli usa,
150secura io me ne vo in ogni loco.
     Il petto mio trasmutato ha Medusa
contro l’Amor in sasso e ’n dura pietra,
ed a piacergli ha ogni porta chiusa,
     sí che suoi dardi e sua vile faretra
155niente curo; e bench’egli mi fera,
il colpo suo mia carne non penètra.—
     E perché ogni ninfa è piú leggera
assai che l’uomo, da me dipartisse,
correndo come veltro ovver pantera,
     160e ’nsin che fu a Diana, non s’affisse.