Il Quadriregio/Libro primo/III
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CAPITOLO III
L'autore vien tradito da un satiro, mentre cerca Filena,
che, aspramente da Diana punita, in quercia si trasmuta.
Il dardo, che gittò, da me si colse,
che, quando il balestrò, venne sí ritto
e tanto appresso a me quant’ella vòlse.
«Io amo te— occulto ivi era scritto:—
5l’Amor, che ferí Febo di Parnaso,
ferito m’ha li panni e ’l cor trafitto».
Cupido a me:— Per me non è rimaso
che tu non abbi avuto il tuo desire;
ma questo impedimento è stato a caso.
10Cercando omai per lei ti convien gire.—
E quando io a lui rispondere volía,
fuggí volando e non mi volle udire.
— O falso Amor— diss’io,— o scorta mia,
perché mi lassi? or dove prendi il volo?
15perché mi lassi senza compagnia?—
Vedendomi rimaso cosí solo,
passai il fiume insino all’altra banda
e fui sul prato e su quel verde suolo,
ov’io vidi Filena lieta e blanda,
20quando coll’occhio mi soffiò nel foco,
che amore accende e che Cupido manda.
E sospirando dissi:— Oh dolce loco,
mentre Filena vi tenne le piante!—
E poscia che ’l basciai e piansi un poco,
25per la via ch’ell’er’ita, andai su avante,
cercando tutti i balzi ed ogni valle
e scogli e schegge intorno tutte quante.
E giá Atalante dietro le sue spalle
posto avea Febo e facea il giorno nero;
30ed io pur oltre per lo duro calle,
senza riposo; e solo avea il pensiero
a ritrovarla per la selva oscura,
piena di spine senz’alcun sentiero.
Se sol di notte non avea paura,
35Amor è quel che da fortezza altrui
nelle fatiche e l’animo assicura.
Tra l’aspre selve e tra li boschi bui
tutta la notte andai cercando intorno
insin che in un vallon venuto fui.
40E quasi su nel cominciar del giorno
trovai un mostro, maladetta fera,
coll’arco in mano, e avea al petto un corno.
Il petto e ’l volto suo tutto d’uomo era,
il dosso avea caprin fino alla coda,
45con quattro piedi e colla pelle nera.
Un satiro era questo pien di froda:
e satir detti son malvagi e falsi,
che fanno inganni con lusinghe e loda.
E fauni ancora stan tra quelli balsi
50ed hanno umani i petti ed anco i volti;
l’altro è bovino, e vanno nudi e scalsi.
E semicervi ancora vi son molti,
ingannatori ed animal perversi,
pur ch’altri con lor usi e che gli ascolti.
55Dal satir, che scontrai, con dolci versi
sí lusingato fui e sí sottratto,
che tutto il mio amor gli discopersi.
Ché quando vidi un mostro cosí fatto,
in man per mia difesa presi il dardo,
60che la bella Filena a me avíe tratto.
Ed egli il riconobbe al primo sguardo
ch’io l’avea dalla ninfa di Diana;
onde parlò come falso e bugiardo:
— Onde vien’ tu in questa selva strana?
65Di’, che ti move e, dimmi, qual è il fine,
pel qual tu vai per questa via lontana?—
Ed io a lui:— Tra cespi e dure spine
smarrito vo, ed or son qui venuto
come chi va, né sa dove cammine.
70Ma tu, che se’ mezz’uomo e mezzo bruto,
mi fai maravegliar quando io ti guato,
ché sí fatto uom non fu giammai veduto.
— Io fui pur uom— rispose— innamorato
di dea Diana, e vagheggiaila ognora,
75e da lei ’n questa forma fui mutato;
ch’ella pregò lo dio, ch’altru’ innamora,
che a ciò rimediasse, e me percosse
del dardo ch’è di piombo e disamora.
Questo ogni amor mi tolse e via rimosse;
80e però quella dea a me permette
ch’i’ possa gire a lei unque ella fosse.
Insieme vo con le sue giovinette
fra questi monti, insieme con lor coglio
li fior, che stanno in su le verdi erbette.
85A chiunque è innamorato anche ho cordoglio,
che ricordo le pene, ch’io provai
del falso Amor, del quale ancor mi doglio.
E se tu mi dirai dove tu vai,
forse t’aiuterò, se mi richiedi
90e se sei saggio e secreto il terrai.—
O vano amor, oh quanto ratto credi
quel che vorresti! Alle parole udite
ed al modo del dir fede gli diedi.
Ed io a lui:— Per queste vie smarrite
95cercando vo le ninfe, ov’elle stanno:
prego, se ’l sai, me diche ove son ite.—
Rispose ancor con falsitá ed inganno:
— Elle sonno ite in un lontan paese,
al qual non potrest’ir per grave aflanno.
100Ma, se tu ami, perché nol palese
a me, che sai che ho provato l’arme
del fier Cupido e le saette accese?
— Satiro mio— diss’io,— se puoi aitarme,
io te ’l dirò, se prima tu mi giuri
105tener credenza e ch’io possa fidarme.
— Perché non di’, perché non t’assecuri?
— rispose il falso.— Or non sai tu che io
di piombo e d’òr sentito ho i dardi duri?
Io ti prometto e giuro innanzi a Dio
110di tenerti secreto e d’aiutarte
e conducer la ninfa al tuo desio.—
Cosí mi disse con malizia ed arte;
ond’io m’apersi e dissi con gran pena:
— Vo cercando una ninfa in ogni parte,
115bella e gentile, chiamata Filena;
per ritrovarla entrai per questo bosco;
la sua beltá dirieto a lei mi mena.
Tra questi spin, che son piú amar che tòsco,
soletto per parlargli io mi son messo,
120ché piú piacente cosa io non conosco.
— Ed io farò— diss’ei— quel ch’i’ ho promesso;
ch’io anderò co’ mie’ veloci piei
ove la ninfa sta molto da cesso.
Ma perché essa creda a’ detti miei,
125il dardo, che hai in man, mi dá’ per segno,
perché segretamente il mostri a lei.
Con mie parole e mio usato ingegno
farò ch’ella verrá in un bosco sola,
e tu girai a lei quand’i’ rivegno.—
130Io gli die’ ’l dardo per questa parola,
ed ei ghignò alquanto e poi saltando
andò veloce come uccel che vola.
Forse sei ore avea aspettato, quando
io vidi Rifa mia fida messaggia,
135e quando a lei fui presso, io la domando:
— Dov’è Filena bella, onesta e saggia?
Per lei cercato ho il bosco in ogni canto,
e gito in ogni scheggia, in ogni piaggia.—
Ella rispose con singolti e pianto:
140— Piú non appar la misera tapina;
come tu contra lei errato hai tanto?
Quella biforme bestia, ch’è caprina,
dianzi venne a noi, correndo in fretta,
’nanti alle ninfe ed alla lor regina,
145e mostrò lor lo dardo over saetta,
che balestrò Filena a te dal monte,
e la scrittura «Io t’amo» è tutta letta.
Per la vergogna ella abbassò la fronte,
e dea Diana, a grand’ira commota
150contra Filena, stante a braccia gionte,
gli die’ dell’arco in testa e nella gota;
e poiché l’ebbe dispogliata nuda,
disse alle ninfe:— Ognuna la percota.—
Allor ciascuna verso lei fu cruda.
155Ridea colui che fatto avie l’accusa,
quel reo biforme maladetto Iuda.
Poscia cosí spogliata e sí confusa
ad una quercia grande fu congiunta,
che sempre debba stare ivi rinchiusa.
160E quivi vive e sta quasi defunta;
e mille volte fu percossa ancora
drento alla pianta; e quando ella è trapunta,
ad ogni colpo n’esce il sangue fuora
e l’arbor bagna; e quando il colpo giunge,
165grida piangendo:— Omè, omè, m’accora!—
Udito io questo, ambe le mani e l’ugne
mi diedi al volto e tenni basso il viso
e non parlai, che il gran dolor, che pugne,
parlar non lassa, quand’ha ’l cor conquiso.
170Poscia, sfogati gli occhi lagrimosi,
con voce fioca e col parlar preciso,
sí come or seguirá, io gli risposi.