Il Quadriregio/Libro primo/I

I. Come all’autore apparve Cupido, e questi lo condusse nel regno di Diana, ove a’ preghi del medesimo feri la ninfa Filena

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
I. Come all’autore apparve Cupido, e questi lo condusse nel regno di Diana, ove a’ preghi del medesimo feri la ninfa Filena
Libro primo Libro primo - II
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CAPITOLO I

Come all'autore apparve Cupido, e questi lo condusse nel regno di Diana,
ove a' preghi del medesimo ferí la ninfa Filena.

     La dea, che 'l terzo ciel volvendo move,
avea concorde seco ogni pianeto
congiunta al Sole ed al suo padre Iove.
     La sua influenza tutto 'l mondo lieto
5esser faceva e d'aspetto benegno,
da caldo e freddo e da venti quieto.
     E Febo il viso chiaro avea nel segno,
che fu sortito in cielo ai duo fratelli,
ond'ebbe Leda d'uovo il ventre pregno,
     10E tutti i prati e tutti gli arboscelli
eran fronduti, ed amorosi canti
con dolci melodie facean gli uccelli.
     E giá il cor de' giovinetti amanti
destava Amore e 'l raggio della stella,
15che 'l sol vagheggia or drieto ed or davanti,
     quando il mio petto di fiamma novella
acceso fu, onde angoscioso grido
ad Amor mossi con questa favella:
— Se tu se' cosa viva, o gran Cupido,
20come si dice, e figlio di colei,
ch'amore accese tra Enea e Dido;
     se tu se' un del numer delli dèi,
e se tu porti le saette accese,
esaudisci alquanto i desir miei.

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     25I’ priego te che mi facci palese
la forma tua e ’l tuo benigno aspetto,
il qual si dice ch’è tanto cortese.—
     Appena questo priego avea io detto,
quand’egli apparve a me fresco e giocondo
30in un giardino, ov’io stava soletto,
     di mirto coronato el capo biondo,
in forma pueril con sí bel viso,
che mai piú bel fu visto in questo mondo.
     I’ creso arei che su del paradiso
35fosse il suo aspetto: tanto era sovrano;
se non che, quando a lui mirai fiso,
     vidi ch’avea un arco ornato in mano,
col quale Achille ed Ercole percosse,
e mai, quando saetta, getta invano.
     40Sopra le vestimenta ornate e rosse
di penne tanto adorne avea duo ali,
che cosí belle mai uccel non mosse.
     Nella faretra al fianco avea gli strali
d’oro e di piombo e di doppia potenza,
45colli qua’ fere a dèi ed a mortali.
     Quando ch’i’l vidi avanti a mia presenza,
m’inginocchiai e, come a mio signore,
li feci onore e fe’li riverenza,
     dicendo a lui:— O gentilesco Amore,
50se a venire al priego mio se’ mosso,
colla tua forza e col tuo gran valore
     aiuta me, il quale hai sí percosso
e sí infiammato col tuo sacro foco,
ch’io, lasso me! piú sofferir non posso.—
     55Allor rispose, sorridendo un poco:
— Dall’alto seggio mio i’ son venuto
mosso a piatá del tuo piatoso invoco.
     Degno è ch’io ti soccorra e diati aiuto,
da che ferventemente tu mi chiame,
60e ch’io sovvenga al cor, ch’i’ ho feruto.

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     Sappi che in oriente è un reame
tra lochi inculti e tra ombrosi boschi,
ch’è pien di ninfe d’amorose dame.
     E quelle selve e quelli lochi foschi
65son governati dalla dea Diana,
la qual voglio che veggi e la conoschi.
     E benché sia la via molto lontana
e sia scogliosa e sia di molta asprezza,
io la farò parer soave e piana.
     70Io son l’Amor, che dono ogni fortezza
ne’ gravi affanni e, mentre altrui affatico,
gli fo la pena portar con dolcezza.
     In questo regno, del quale io ti dico,
è una ninfa chiamata Filena
75con bell’aspetto e con volto pudico.
     La selva è ben di mille ninfe piena;
ma dea Diana, quando va alla caccia,
piú presso questa che null’altra mena.
     Costei sí bella e con pudica faccia
80io ferirò per te d’un dardo d’oro,
quantunque io creda che a Diana spiaccia.
     Tu vedra’ delle ninfe il sacro coro
insieme con Diana lor maestra,
e belle sí, ch’i’, Amor, me n’innamoro.
     85E portan l’arco fier nella sinestra,
ed al comando della lor signora
cacciando van per la contrada alpestra.
     — O dio Cupido, tanto m’innamora,
— risposi a lui— il ben che m’hai promesso,
90che al venire mi pare un anno ogn’ora.—
     Allor si mosse, ed io andai con esso;
alfin venimmo per la lunga via
in un boschetto, ch’avea un piano appresso.
     La dea Diana a caso fatta avía
95una gran caccia e dalla parte opposta
con piú di mille ninfe in giú venía.

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     E discendeano al pian su d’una costa
inverso una fontana d’acqua pura,
qual era in mezzo della valle posta,
     100non fatta ad arte, ma sol per natura;
ed era d’acqua chiara e sí abbondante,
che un fiumicel facea ’n quella pianura.
     E poi ch’al fonte funno tutte quante,
corseno a rinfrescarsi alle chiare onde,
105ponendo in elle le mani e le piante.
     Ed alcun’altre stavan su le sponde
del fiumicello; e delli fiori còlti
facean grillande alle sue trecce bionde.
     Ed alcun’altre specchiavan lor volti
110nelle chiare acque, ed altre su pel prato
givan danzando per que’ lochi incolti.
     Cupido, ed io con lui, stava in aguato
dentro al boschetto, e ben vedevam quelle,
ed elle noi non vedean d’alcun lato.
     115Poscia ben cento di quelle donzelle
sciolson le trecce della lor regina,
le trecce bionde mai viste sí belle.
     Sí come tra’ vapor, su la mattina,
ne mostra i suoi capelli il chiaro Apollo,
120e nella sera quando al mar dechina;
     cosí Diana avea capelli al collo,
cosí splendea ed era bella tanto,
che a vagheggiarla mai l’occhio è satollo.
     E poi ch’ell’ebbon fatta festa alquanto,
125tennon silenzio tutte, se non due,
che alla sua loda comincionno un canto.
     Delle due cantatrici l’una fue
Filena bella, che m’avea promessa
il dolce Amor con le parole sue.
     130E quando egli mi disse:— Quella è essa,—
pensa s’io m’infiammai, che la speranza
tanto piú accende quanto piú s’appressa.

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     Ond’io all’Amor:— Se quella a me per ’manza
hai conceduta, percuoti col dardo
135costei, che in beltá ogn’altra avanza.
     Ahi quanto piace a me quando la sguardo!
E cosa desiata, se si aspetta,
tanto piú affligge quanto piú vien tardo.—
     Allor Cupido scelse una saetta
140ed infocolla e posela nell’arco
per saettare a quella giovinetta.
     E come cacciator si pone al varco
tacito e lieto, aspettando la fera,
e sta in aguato col balestro carco;
     145tal fe’ Cupido e la saetta fiera
poscia scoccò, e, inver’ Filena mossa,
il manto sol toccò lenta e leggera.
     Quando le ninfe sentir la percossa
e nostra insidia a lor fu manifesta,
150tutte fuggir con tutta la lor possa.
     Sí come i cervi fan nella foresta,
quando sono assaliti, o’ capriuoli,
se cani o altra fera li molesta,
     che vanno a schiera, e alcun dispersi e soli,
155e per paura corron tanto forte,
che pare a chi li vede ch’ognun voli;
     cosí le ninfe timidette e smorte
fuggiro insieme, ed alcuna smarrita,
quando si furon di Cupido accorte.
     160Filena bella non sería fuggita,
se non che la sua dea la man gli porse:
tanto pel colpo ell’era sbegottita.
     L’Amore, ed io con lui, al fonte corse,
dove le sacre ninfe eran sedute,
165quando la polsa insino a lor trascorse.
     Io non trovai se non ch’eran cadute
alle due cantatrici le grillande
de’ belli fior, che in testa avieno avute.

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     Però a Cupido dissi:— Ov’è la grande
170virtú dell’arco tuo, che tanto puote?
E ’l fuoco ov’è, che tanto incendio spande?
     Se l’arco tuo giammai invan percuote,
perché ingannato m’hai colle promesse,
che m’han condutto in le selve remote?—
     175Non potei far che questo io non dicesse
col volto irato, e piú mi mosse ad ira
che del mio scorno parve ch’ei ridesse.
     Poscia rispose:— Ov’io posi la mira,
quivi percossi, e quivi il colpo giunse
180dell’arco mio, che mai invan si tira.—
     E quel che segue, col parlar, soggiunse.