Il Novellino/Parte quinta/Novella XLIV
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NOVELLA XLIV.
ARGOMENTO.
A LA ILLUSTRISSIMA IPOLITA MARIA DE’ VISCONTI DE ARAGONA, DUCHESSA DE CALABRIA.
ESORDIO.
Se nel sentire de aliene e strane persone alcuna loro usata virtute, mia serena e oltramontana Stella, li virtuosi ascoltatori ne ricevono gran consolatione; quanto maggiore deve e meritamente essere la manifesta allegrezza e intrinseco piacere de coloro i quali di congionti o per amistà o per sangue sentono somme laude ricontare? E perchè tutt’ i miei pensieri non sono in altro terminati se non a scriverte cose che summamente rallegrar te possano, non tacerò a Te, che unico esempio de virtute oggi sei al secolo nostro, avvisarne de una singulare e forse mai da altri simile usata magnificentia de Colui el quale più che la propria vita e con ragione t’è caro, e che de doi separati corpi per matrimonial commistione sete fatti una medesima carne; a ciò che con altre accumulate vertuti de tale tuo conveniente e digno Sposo insieme raccolte, il tuo intiero amore con piacere ogni dì verso di lui se faccia maggiore, e assai più la tua contentezza de continuo augmentare. Vale.
NARRAZIONE.
Senterà dunque Tua Maiestà come dopo la prossima passata guerra de Romagna, per lo non essere a le doe potentie dalla qualità del tempo concesso più li bellicosi eserciti adoperare, ognuna de esse se retrasse in drieto, chi in uno loco e chi in uno altro secondo da la commodità eran tirati: e tra gli altri toccato in sorte el Pisano contado a stanziare a l’excelso Principe Alfonso Duca de Calabria Tuo dignissimo Consorte, e ivi conduttose col suo invitto e potentissimo aragonese esercito, e per le castella e ville dintorno collocata la sua gente d’arme secondo a la disciplina militar se richiedeva, e ciò espedito, per contrattare de alte cose per comodo e stato della lega gli fu de bisogno personalmente trascorrere de molte famose città e luochi d’Italia; ed essendo in tutti con gran triunfi recolto e lietamente recevuto, e onorato molto, accadde che in una de dette città, quale de nominare necessità non ne astrenge, gli piacque più che a niuna de l’altre dimorare1. E in quella città con gran piacere e continua festa stando, avvenne che un suo privatissimo per generosità di sangue e per virtù claro, Marino Caracciolo nominato, cavalcando per la città a suo diporto, gli venne vista una leggiadra madonna giovene e molto bella, moglie de un gran cittadino; al quale summamente piacendo senza partirse da quindi si sentì sì nelli lazzi de amore avvolto che non sapeva qual camino togliere se doveva per retornarse a casa. E continuando ogni dì e nel passare e nell’onesto vagheggiarla tanto fé e tanto se travagliò che indusse lei ad amare anco lui; però che le più volte e con piacevole guardatura e di graziosa resposta ai soi saluti il favoreggiava, del che Marino ne restava oltremodo contento, sperando de continuo esser reposto in meglior fortuna. Un dì se fè una festa a onore e gloria de detto signor Duca, e in quella andate la maggiore parte de le donne della città, e tra le altre la da Marino amata e singolarmente onorata vi andò; la quale essendo vista dal Signore, e come una de le prime belle molto piaciutali, non sapendo ch’el suo molto amato Marino de quella fosse in alcun modo preso, se deliberò lui pigliare e seguire in sino al fine tale degna impresa. La gentil donna che anco non aveva visto detto Signore, quantunque lo avesse da molti molto mirabilmente sentito commendare e giudicare oltra ogni altro principe savio costumato e proveduto, fiero nell’arme, vigoroso e gagliardo e magnanimo, raccolse che la sua presentia non solo non avea la data fama in parte alcuna diminuita, ma anco de bellezza e leggiadria essere specchio ed esempio de’ viventi; la quale come consideratrice di tante e laudevoli parti de continuo fiso el mirava, gli Dii pregando per lo suo felice stato. El Signore, che come è già detto, tale donna gli era unicamente piaciuta, per seguire la pista mirandola cognobbe del certo la donna non meno de lui essere invaghita, che esso de lei preso si fosse; e prima che da quindi se partessero ebbe l’uno da l’altro manifesto segno esserne de pari forma accesi. Retornato ognuno a casa, el signore per cauta via subito de costei ogni particolarità conobbe2, e a lei più imbassate e lettere e mandate e recevute, alla fine, per el partire del signore che se avvicinava, parve a tutti venir prestissimo agli ultimi effetti d’amore: e per mezzo d’uno consapevole dell’atto conclusero nella venente prossima notte se retrovar insieme, attento che el dì avanti el marito per Genoa era già partito. Aveva in questo mezzo la donna, per la nova e maggiore impresa, in tale maniera Marino disfavorito, che non solo de le solite guardature non gli era liberale, ma rigida e fiera e da capitale nemica ogni dì peggio gli si dimonstrava. Marino pessimo contento, come ciascuno può pensare, e tanto più che lui cognoscea de tale strana novità non averlene data alcuna cagione, non se ne possea dare pace, e in tanto fiero dolore ne cadde che quasi un altro ne parìa in lo viso devenuto. E più volte della cagione del suo non bene essere dal signore dimandato, e favole per risposte dategli, avvenne che appressadosi già la ora che el signore a lo proposto godere con la donna voleva andare, però che tale camino mai senza Marino pigliare soleva, sel fe’ in camera chiamare, e gli disse: Avendole, Marino mio, tutti questi dì sì male contento cognosciuto, e della cagione dimandatole, e tu taciutala, io non te ho più oltre molestato che tu medesimo te abbi voluto; e questo anco ha causato che io non fare parte a te3, unico consapevole d’ogni mio secreto, del mio novello e ferventissimo amore, e la vittoria che de quello fra poche ore aspetto conseguire. Pregote dunque per la servitù che me devi e per lo amore che me porti, che tu di presente me scuopri la tua occulta e vera passione, e oltra ciò in parte cacciare l’angustia e dolore, e il più che puoi te sforza de devenire lieto, e in questa notte me fa compagnia, però che senza de te male volentieri intrarei in tale camino. Marino odendo tante umanissime parole, gli parve aver fatta non piccola offensione al suo Signore de averli insino allora occultato il suo amore, e con quelle debite escusationi che in pronto gli occorsero dal principio del suo innamoramento, e chi era la donna da lui amata, ed ogni bona e rea particularità soccessagli per lungo ricontò. El Signore ciò odendo e per più respetti poco piacendoli, alquanto sopra de sé stette; nondimeno cognoscendo la qualità de la passione del suo servitore, ed estimando che quanta era la grandezza de l’animo suo e la dignità maggiore, tanto più liberalità gli bisognava adoperare, subito gli occorse pigliare partito de senza niuna comparatione essergli più cara la contentezza dello amico satisfare, che alla sua sensualità; e così gli disse: Marino mio, come tu più che altro puoi sapere, dagli teneri anni io non ebbi mai niuna cosa tanto cara che gli amici non l’abbiano per propria possuta usare; e certo puoi tenere che se la cosa che tu tanto ami fosse de tale natura che mia e tua insieme fare la potesse, non altramente che sempre delle altre ho fatto ora farei. E ancora che più d’un occhio l’abbia insino a qui ardentissimamente amata, e li suoi congiungimenti ed essa i miei questa notte con grandissimo desio aspettavamo, e a lei accompagnarme te avìa eletto; nondimeno ho deliberato e voglio che così sia, che vincendo me medesimo, de uno mio volere fare non mio4, prima che vederte in tanta angustia languire e per amore stentando perire. E perciò se de amore compiacerme desideri caccia da te ogni avuto dolore, e de rallegrarte solo pensa, e de venire adesso meco te apparecchia, chè io de uno solo modo pur qui pensando te farò possessore de la tanto da te desiata donna. Marino ascoltando sì fatta nova, tutto sbigottì, e odendo quanto era grande la liberalità che el suo signore usare gli voleva, tanto più accettarla gli porgette vergogna, e quelle debite grazie che de esprimere gli furon concesse renduteli, li concluse de prima morire che lui avesse non che fatto ma pur pensato de macolare ove lui avea posto el suo intendimento. El signore de ciò se rise, e disse che senza altra replica volea che quello se mandasse per lui ad effetto; e così toltolo per mano in quello ponto se posero in camino. E gionti in casa de la gentile donna, lasciate le soe brigate per più sicurtà per le strate ordinate, el Signore solo da Marino accompagnato introrno dentro, e da una fante in camera condotti trovorno la donna che lietamente el signore aspettava, la quale fattaglisi incontro con gran festa el recevette. E ancor che lei molto bene cognoscesse quivi el suo primo amatore essere a tale gioco presente, non se ne mostrò de farne altra stima che de uno altro forestiero che el signore con lui avesse menato fatto avesse. E da più dolci basi, e lieto festeggiare, parve già tempo al Signore dare con opera compimento a quello che ivi de novo condutto lo avea; e per mano tenendola, le disse: Cara madonna, io te priego per quello vero amore che a donarme te sei condotta che il mio dire a noia prendere non debbi, però che quanto sarà più inonesta la mia domanda, tanto cognoscerò tu adempiendola essere maggiore lo amore che me porti. Egli è vero che nel mio ultimo partire dal cospetto del serenissimo e potentissimo Re mio patre e signore, tra gli altri ordini o precetti me donò fu, che in niuno lato ove me retrovassi in tanto fossi d’amore fieramente preso, non dovessi con veruna donna usare senza avermi prima fatta fare da un mio privato la credenza, per cagione che la veneranda recordatione del potente re Lancilao fu per donna in sì fatto esercitio in questo paese avvenenato. E quantunque io tenga per indubitato che tu prenderesti mille morti per la conservatione de la mia vita, nondimeno per ossequire inviolatamente i comandamenti da detto serenissimo signore Re mio padre, son costretto retornare a pregarte che con lieto triunfale animo tolleri, che questo mio perfetto amico e intrinseco servitore, il quale un altro io estimo che sia, tale officio faccia, per doppo essere tuo continuo ed unico amatore. La donna che discreta e prudente era molto, intese subito per le cose passate lo effetto del presente volere del Signore non altramente che se da lui el vero fatto le fosse stato pontualmente detto; e come che insino al core le dolesse vederse in tal modo schernita e refutata da sì digno e specioso signore, li congiungimenti del quale con non piccolo desiderio e non senza ragione aspettava, nondimeno vedendosi a tale partito che le conveneva de la necessità fare virtù, con seco medesima consigliata, occultando quanto possette la sua fiera passione, con finto piacevole viso al Signore respose: Quantunque molto virtuoso principe, e amore e la vostra soperchia bellezza, accompagnata de tante altre singulari e notevoli parti, me abbiano al presente partito condutta, che de mia virtute se convenga far la prova, prima che a scoprirve mia deliberatione venga, voglio che sappiate che io non me era tanto fuori de me lassata trascorrere che non cognoscessi el vostro amore col mio non convenirsi; nondimeno vedendo per tanti manifesti segni che la mia persona molto vi aggratava, la vostra a me per più respetti era carissima. Ma adesso sentendo che altramente la desiderate, ancora che in maggiore excellentia tenga la vostra usata ed audità vertute e gran magnificentia, che essendo sì dignissimo principe e figliolo de tanto nobile potente ed excellente Re, lassando di essere a questo fatto principaliter, per satisfare a l’altrui desiderio vi siete fatto voluntario e lialissimo mezzo, amando più lo piacere del tuo lialissimo servitore che la contentezza del mio e vostro cuore: la quale cosa è fora d’ogni legge de amore. Nondimeno per non impedire o in alcuno atto turbare questa sì alta liberalitate, senza altramente pensarvi ho preso per ultimo partito di a Voi, mio grazioso ed exceliente Signore, servire, e a questo mio nobilissimo primo amatore con tutto lo core piacere; e così senza Voi perdere, averò lui con maggiore grazia e maggiore piacere recoverato, essendoli non di meno del mio amore liberale che voi del vostro desiderio stato li siete. E tolto Marino per mano, e il Signore pregando che solo aspettare non gli fosse noia, in un’altra camera se condussero; ove doppo gli amorosi e stretti abbracciari, e dolci basci, e gli altri piacevoli ragionamenti, essendo Marino entrato col suo falcone assai più animoso che gagliardo a la disiata caccia, con non piccola difficoltà pigliò una starna, e cercando per l’altra remessa per prenderla a la rebattuta, ancora che el favor de’ cani e ogni altra arte avesse usata, pur senza ottenere la seconda, solo con la prima al signore se ne venne. E la donna tutta lieta e graziosa mostrandosi con un doppiero in mano acceso dietro a lui ne venne, e motteggiando al Duca disse: Signor mio, la credenza fatta per lo vostro bon servitore è stata tale quale per ottimo scudiere al suo Signore fare se deve, però che el solo assaggiare la vivanda pare che li sia stato d’avanzo. De che el Signore ne fe’ mirabile festa, e con più altri assai acconci e piacevoli ragionamenti gran parte de la notte passarno; e parendo tempo al Signore de retornarse a casa, donate de molte ricche e care gioie alla donna per fare che la virtuosa liberalità fosse compita, con renderglisi obbligatissìmo, da lei si diparterno. Se Marino ve retornasse a continuare la caccia, o che la fatta gli bastasse, lui medesimo non me ne donò altra notizia.
MASUCCIO.
Quale ornata ed esquisita eloquentia fosse bastevole scrivendo ricontare le accumulatissime virtuti che nel divo spirito de questo terreno dio come a proprio loco de continuo albergano? chi dunque potrà in carta ponere tante soe laudevoli parti, tanti digni gesti da vero figliuolo del Re e gran signore in ogni loco per lui adoperati? chi cantarà la gloriosa fama e perpetuo nome che Costui per Italia per propria vertute se aveva vendicato? chi saperà con tante excessive laudi commendare questa recontata virtute magnifìcentia e liberalità per lui usata verso il suo caro e fedele servitore? Quale patre per unico figliuolo, o uno fratello per uno fratello, o vero amico perfetto per amico, che più oltra dire non si può, avesse operata virtute alcuna che a questa equare si possa? Io volendone alcuna parte toccare sento rauca la mia lira, debile cognosco l’ingegno, e la ruzza mano insufficiente volgerà la penna: taceronne prima de tutto che non posserne a bastanza parlare. E di ciò restandome non me occorre altro de dire se non beati i populi che da lui saranno retti e governati; beati i servitori che el vedono, beati i creati che el servono; ma beatissima dirò a Te immortale dea Ippolita Maria soa dignissima consorte, a la quale da li fati te fu concesso de possedendo godere tanto tesoro: però non meno felicissimo pur dirò meritamente Lui essere per divino sacramento congionto con tale dignissima Madonna, speciosa de virtù e de onestate, fonte de bellezza e de liggiadria, fiume de magnificentia de gratitudine e de caritate. O che formosa coppia! o gloriosa compagnia! o che giocunda e santa unione! Gli Dii de continuo sieno pregati che Voi e li vostri conservino per lunghissimi tempi con prospero e tranquillo stato, come ognuno de Voi maggiormente desidera. Amen.