Il Libro dei Re - Volume I/I primi Re/VI
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VI. Morte di Gemshîd.
(Ed. Calc. p. 25-26).
Grido levossi dall’irania terra,
1020Manifestârsi in ogni loco attorno
Guerre e tumulti, e intenebrò d’un tratto
Il dì sereno e radïante. Ruppero
Fede a Gemshìd i popoli rubelli,
E poi che maestà che vien da Dio,
1025Offuscavasi in lui, volse d’un tratto
Egli a menzogna ed a stoltizia il core.
Ma intanto, da ogni parte un re mostravasi,
Un principe venìa da ogni frontiera;
Ei vassalli adunâr, guerriera gente,
1030E, vuoto il cor di quell’antico affetto
Per Gemshìd, meditâr pugne ed assalti.
Venne d’Irania esercito d’armati
All’improvviso e alla terra deserta
D’Arabia volse il piè. Seppesi allora
1035Ch’era in que’ lochi un principe superbo.
Inspirava terror, due serpi avea
Avviticchiate agli omeri gibbosi;
E i cavalieri che venìan d’Irania
Un re cercando, corser tutti a gara
1040Nella presenza di Dahàk. Prestârgli
Omaggio allora come a prence, e sire
D’Irania il salutâr con alte voci.
E il crudo re che avea su le sue spalle
Gli orridi serpi, come turbo mosse
1045Al nuovo regno e nell’irania terra
La corona regal si pose in capo.
D’arabe genti egli adunò, d’iranie
Ancora, immenso stuol, prenci e guerrieri
Da ogni lontana regïon; lo sguardo
1050Volgendo al trono di Gemshìd, la terra
Attorno attorno gli fe’ angusta e grama.
Ma poichè declinar la sua fortuna
Vide Gemshìd, che rincalzava il nuovo
Arabo prence, si fuggì ramingo
1055Dinanzi a lui, gli abbandonando il trono
E il regal serto e la grandezza sua,
I suoi tesori e l’ampio stuol de’ suoi.
Ei si nascose solitario, e trista
Si fe’ la terra e squallida per lui,
1060Or che il trono regal, la sua corona
A Dahàk dati avea. Passàr cent’anni,
E niun lo vide mai per questa terra,
Ch’ei si tenea dagli occhi de’ mortali
Sempre lungi e nascosto. E un dì fu visto,
1065De’ cent’anni al finir, sovra le sponde
Del mar di Cina, l’empio re; ma l’ebbe
In sua mano Dahàk, nè gli concesse
Tempo o riposo, chè in due parti il fece
Tosto segar con un’arguta sega
1070E l’ampia terra liberò da lui
E dal timor che ne venìa. L’antico
Prence così, che l’alito fuggìa
Dell’orribile drago, alcun non ebbe
Scampo da lui nel suo destin funesto.
1075Così cadea quel regal trono e tutta
Di Gemshìd regnator svanìa d’un tratto
La potestà. Qual mobile festuca
Rattratta a sè da sùccino splendente,
Il fato lo rapì. Chi su quel trono
1080Fu pria di lui sì glorioso e saggio?
Qual del suo lungo faticar giocondo
Frutto ei giunse a goder? Ben settecento
Anni passâr sovra il suo capo, e molte
Cose in luce portò, leggiadre e triste.
1085Ma che val lunga vita, ove la sorte
Mai non disveli il suo secreto? Il mondo
Nutre talor con amorosa cura
Il misero mortal; soavi e dolci
Son le voci che a lui suonan dintorno.
1090A un tratto poi, quando già già ti sembra
Che il fato ponga in te novello affetto,
Quando già pensi che a te sol non mostri
La sua fronte crucciata e già ne senti
Gioia insperata in cor, godi, e frattanto
1100L’arcano a lei dell’alma tua disveli,
Perfido un gioco essa ti fa con arte,
Inatteso dolor t’innesta in core.
Di nostra vita e fallace ed inferma
Costume è questo. Ma tu eletto un seme
1105Spargi in terra soltanto. — Oh questo core,
Questo mio cor già della vita è sazio,
Sì trista e breve; tu mi franca, o Dio,
Dal grave duol che già mi opprime e atterra!