Il Libro dei Re - Volume I/I primi Re/II
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II. Il re Hôsheng.
(Ed. Calc. p. 14-16).
210Principe Hoshèng, in sua giustizia e senno,
Dell’antico avo suo si pose in loco
Il regal serto in fronte. Il ciel si volse
Per quarant’anni sovra lui, che ricco
Era di senno e di saggezza, pieno
215Di giustizia nel cor. Quand’ei si assise
Di sua grandezza al loco eccelso, in questa
Guisa parlò sul trono imperïale:
Son io signor de’ sette climi, ovunque
Vittorïoso e libero e disciolto
220Nel mio comando. Ma di Dio vincente
Obbedendo al precetto, ecco! son io
A far grazia e giustizia e accinto e pronto!
Indi la terra ei fece amena e tutto
Il mondo empì di sua giustizia. E in pria
225Fulgido un mineral vennegli a mano;
Ei con molto saper dal duro sasso
Il ferro liberò. Materia all’opra
Il lucido metal si fece allora,
Qual da le selci sprigionato avea
230Dure e sonanti; e poi che ne conobbe
E il modo e l’uso, incominciò del fabbro
L’arte sovrana, e scuri ed affilate
Bipenni ne formò, stridenti seghe,
Ascie taglienti. Quando fùr quest’opre
235A fin condotte, ad irrigar li campi
Vols’ei l’ingegno, e per l’ampia campagna
Trasse dai fiumi l’acque chiare e fresche
E per ruscelli acconciamente schiuse
Loro la via. Breve fe’ agli altri l’opra
240Con la possanza sua regal. Ma intanto
Saver crescea nella mente robusta
Di que’ prischi mortali; e la semenza
Sparsero allor per gl’irrigati colti
E piantaron germogli e le mature
245Messi a raccôr fùr pronti. Il pane allora
Ciascun si preparò, seminò i campi,
Notandone il confin, chè pria che queste
Arti fosser scoperte, agresti pomi
Cibavano i mortali. Assai non era
250Umano stato allor ricco e fiorente,
E i semplici mortali aride foglie
Avean per vestimenta ai fianchi intorno.
Era già dell’Eterno un culto in pria,
E Gayumèrs, avo d’Hoshèng illustre,
255Pompe e riti s’avea. Ma un dì, dal chiuso
Sen delle pietre ove giacea nascosto,
Lampeggiò un vivo fuoco, e una novella
Luce pel mondo, al suo venir, si sparse.
Con breve scorta Hoshèng l’erta montagna
260Un dì salìa, quando gli apparve cosa
Lunga e lontana. Mobile e veloce
Era e bruna soverchio. Erano gli occhi
Come fonti di sangue, e il negro fumo
Che dalle fauci spalancate uscìa,
265L’aria offuscava. Riguardò con molta
Prudenza il saggio re, con molto senno,
E una pietra afferrando, alla battaglia
Ratto si unisse. Via scagliò la pietra
Con la sua forza di regnante, e il negro
270Serpe ratto fuggì dinanzi a lui.
Ma la pietra minor forte a maggiore
Urtò di contro e si spezzò con quella
Un cotal poco, e scaturìa dall’una
E dall’altra una luce, e un chiaror vivo
275Tutto quel loco rivestì. Non ebbe
Morte però l’orribile serpente;
Ma quel che uscìa da sue latèbre acceso
E fulgido splendor, fe’ chiaro al prence
Che chi, ferro impugnando, a tutta forza
280Batte le pietre, vivida scintilla
A un tratto uscir ne fa. Ma il re del mondo
Nel cospetto di Dio venne adorando,
Benedicente, che l’Eterno in dono
Questa luce gli diè, ponendo un segno
285Agli uomini così, ver cui voltarsi
Dovean pregando, e il re, Luce divina
È cotesta, dicea; chiunque alberga
Saggezza in petto con virtù, l’adori!
Venne la notte e sull’alpestre cima
290Un gran fuoco destò, qual di montana
Vetta culmine acuto, e intorno al fuoco
Il prence si restò con la sua schiera.
Festa egli indisse in quella notte e vino
Bevve pur anco e di Sadèh alla gaia
295Festa diè il nome. Cotal festa poi
Rimase in terra qual del sapïente
E nobil re memoria viva. Oh! molti
Fosser quaggiù pari a costui nel senno
I regnatori! La terrena sede
300Adornava ei costante e la fea lieta,
Sì che la gente fe’ di lui ricordo
In bene ognor per tutti gli anni appresso.
Con tal forza di re, con tal divina
Maestà di sovrano, ei dalle verdi
305Foreste ove abitar con cervi e onàgri
Soleano in pria, le agnelle e le giovenche
Tolse e gli asini in un coi tori agresti,
E de’ campi gli addusse ai pazïenti
Lavori, quanti sì davangli frutto.
310Hoshèng, di questa terra ampio signore,
In suo senno dicea: Questi vi abbiate
A coppie a coppie vosco ripartiti
Pacifici animanti, e il suol smuovete
Con essi ancor. Frutto ne avrete: un dolce
315Tributo da lor opre, li nutrendo,
Coglier pensate con intenta cura.
Quindi il buon prence a molti animaletti
Che avean morbido pel, conigli e tassi,
Armellini e di pel folto e lucente
320Faine e volpi, tolse con maestro
Colpo la cara vita e trasse il cuoio
Morbido e lieve, e ne vestì le membra
Degli uomini parlanti. Avea quel prence
Fatto ai mortali doni eletti, ancora
325Goduto avea, ma, tutto abbandonando,
Si morì, nè con sè, fuor che onorato
Un nome, nulla via recò dal mondo.
Per quarant’anni, con virtù, con gioia,
Oprando visse e fe’ giustizia e grazia,
330Molto s’afflisse ancor nella sua vita
Per pensier gravi e molte cure. E allora
Che tempo venne a lui di più felice
E fermo stato in cielo, ampio retaggio
Restò di lui di sua grandezza il trono.
335Il fato non gli avea concesso in terra
Lunghi giorni di vita, ed ei partissi
Con tutto il suo saper, col senno suo
E l’antica virtù. — Che a te si avvinca
D’amicizia il destin, non fia giammai,
340Mai non fia ch’ei ti mostri aperto il volto.