Il Libro dei Re - Volume I/I primi Re/I
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I. Il re Gayûmers.
(Ed. Calc. p. 11-14).
L’uom de la villa in favellar maestro
Qual mai primo dicea che gloria e grado
Si cercasse nel mondo e regal serto
In fronte si ponesse? — Ecco, nessuno
5De’ prischi tempi sa narrar le cose,
Fuor di colui che giovinetto ancora
Dal padre le ascoltò, le serba in mente,
E a te le narra ad una ad una, quali
Dal padre suo le udì, ben ricordando
10Chi regal nome da principio ottenne
E chi grado maggior s’ebbe fra i prenci.
Quei che cercò l’antico libro, dove
Tutta si narra la mirabil storia
De’ prischi eroi, già disse che del trono,
15Della corona l’inclito costume
Gayumèrs ritrovò, ch’egli fu primo
Re de’ mortali. Allor che in Arïète
Questo sole ascendea, mentre la terra
Vestìa nuovo splendor, beltà novella.
20Poi che dall’alto più cocenti i rai
Scendean del sol nell’Arïète, e un’aura
Di giovinezza penetrò la terra,
Gayumèrs fortunato ebbe sul mondo
E regno e potestà. Sovra erto monte
25Locata avea la semplice sua stanza,
E sorse da quel monte la fortuna
De’ suoi tutta e di lui. Ferine pelli
Ei si vestì con la sua gente, e il primo
Cibo venne da lui, chè vesti e cibi
30Erano ignoti in pria. Tenne suo regno
Gayumèrs per trent’anni, ed era bello
Sì come sole, e in trono risplendea
Sì come luna al quindicesmo giorno
Sovra un alto cipresso. A piè del trono
35Venìan tranquille a riposarsi, appena
Il vedeano così, le fiere a torme,
Ed ogni belva ossequiosa innanzi
Al suo seggio venìa per quella sua
Inclita sorte e maestà di sire,
40E prestavangli omaggio, e di lor vita
Prendean norma dal loco alto e sovrano.
Solo un figlio ei si avea, leggiadro e vago,
Ricco di pregi e, come il padre suo,
Disïoso di gloria. Era il suo nome
45Siyamèk, e felice era e gagliardo
Il giovinetto, e il cor del padre suo
Palpitava per lui, per lui soltanto
Godea la vita, chè fiorenti e carchi
Esser dovean di dolci frutti i rami
50Di quell’arbore eletto. Eppur, gemea
Per lui nell’alma sua piena d’amore
E si dolea per tema che un avverso
Destin rapisse il figlio suo, chè questa
È del mondo la legge e suo costume
55È questo. Il padre ne’ gagliardi figli
Ha possanza ed onor. — Tempo trascorse
Da quel giorno così, mentre splendea
Del nobile signor l’inclita gloria.
In terra allor, nessun gli era nemico
60Fuor che Ahrimàn perverso in loco ascoso.
Ahrimàn fraudolento ebbe nel core
Invidia, e fe’ consiglio onde la mano
Avanzasse bramosa. Un solo figlio
Ahrimàn possedea, sì come agreste
65Lupo nel volto; ma protervo e ardito
Egli era sì per un accolto esercito
Grande, possente. Con tal schiera ei venne
A Gayumèrs, che la regal possanza
Egli ambiva e quel seggio e la corona
70Di regnante e signor. Parve ben fosca
A quel figlio di Devi ingelosito
Questa sede dell’uom per la fortuna
Di Siyamèk, per la fiorente e lieta
Sorte del vecchio re, sì che ad ognuno
75Disvelò del suo cor l’alto secreto,
E di voci discordi, invidïose,
Empì la terra. Ma di ciò com’ebbe
Novella Gayumèrs? chi mai gli apprese
Che altri assider volea, qual re sovrano,
80Sul regal seggio? — Venne all’improvviso
L’angiol Seròsh dall’alto, angiol beato,
Come spirto veloce a quell’antico,
Cinto di pelli, e per secreta via
Tutto gli disse, l’orrido nemico
85Che mai facesse col suo tristo figlio.
Poi che dell’opre del maligno Devo
A Siyamèk toccò novella, un alto
Sdegno nel cor del giovinetto sire
Subitamente entrò, sì ch’ei raccolse
90Ampia una schiera e ad aspettar si pose.
Di ucciso pardo una villosa spoglia
Si cinse ai fianchi (militar corazza
Non era ancor ne’ prischi tempi in uso)
E corse al Devo incontro, avidamente
95Disceso a contrastar. Quando trovârsi
L’una dell’altra le nemiche schiere
In vasto campo a fronte, ignudo il petto
Siyamèk s’avanzò, feroce assalto
D’Ahrimàn diede al figlio. Allor, stendendo
100L’orride branche sue maligno il Devo,
Del giovinetto re piegò la bella
Avvenente persona e al suol la stese;
Indi con l’ugne entrò le carni e il candido
Petto sì gli squarciò, che giacque il prode
105Esanime sul suol, vittima prima
Di suo consiglio e del Devo perverso,
E l’esercito suo senza la guida
Del suo senno restò. Ma quando seppe
Del figlio suo l’acerbo fato il prisco
110Signor dell’uman seme, oscura e tetra
Si fe’ per lui questa terrena stanza,
Sì che scendendo dall’antico trono
In lai proruppe di dolor, la fronte
Battendosi e mordendosi le mani.
115Avea le gote lagrimose e colmo
Di affanno il cor, sì che il terreno stato
E la fortuna sua pieni d’angoscia
Gli parvero in quei dì. Pianser le genti
Al pianto suo; ravvolte in azzurrine
120Vesti (segno di duol) vennergli innanzi
Alle porte regali, e avean di lagrime
Molli le ciglia e rosse ambe le gote.
Anche le fiere, anche gli augelli a torme,
Con ogni armento, vennero gridando
125Alla montagna in folla, e avean sembianti
Offesi di dolor. Levossi allora
Sul regio limitar di negra polve
Un denso turbo, e quei, dolenti e pii,
Per tutto un anno, si restar su quelle
130Soglie regali. Dell’Eterno allora
Venne in terra quaggiù dal cielo un messo.
L’angiol beato salutò l’antico
Sire e gli disse: Ti rincora, al pianto
Pongasi fine omai. Torna al tuo senno,
135O re possente, e al voler mio cedendo,
Raduna di gagliardi eletta schiera,
De’ tuoi nemici l’empio stuol disperdi.
Franca la terra dal maligno Devo,
Franca il tuo cor da ogni cordoglio, e acqueta
140La fiera brama di vendetta. — Allora
La fronte al ciel levò l’inclito prence
Imprecando al nemico. Iddio Signore
Egli invocò del nome suo più augusto
E rasciugò le lagrime cadenti
145Dalle sue ciglia, sì ch’ei tosto corse
Il figlio a vendicar. La notte e il giorno
Pace non ebbe, non trovò riposo.
Siyamèk fortunato ebbesi un giorno
Un figlio in terra. All’avo suo di fido
150E saggio consiglier quel giovinetto
Era in loco, ed avea quel valoroso
Hoshèng a nome. La prudenza istessa,
La stessa intelligenza era quel figlio
Di sì gran padre, all’avo suo ricordo
155Del morto genitor, sì che nel suo
Grembo ei l’avea con molto amor nutrito
E qual figlio l’amava e in lui soltanto
Godea gli sguardi soffermar. Ma quando
Alla vendetta ed alla guerra pose
160L’antico prence il cor, chiamossi al fianco
Hoshèng preclaro e valoroso e tutte
Gli raccontò le intravvenute cose
E ogni secreto gli svelò dall’alma.
Ampio, ei disse, un drappel di valorosi
165Adunerò, di guerra un alto grido
Farò udir per li campi. E tu sarai
Duce a tal schiera, che migrar m’è forza
Da questa vita, e tu sei re novello.
Ampia una schiera di Perì alate
170Egli adunò, di tigri e di sbrananti
Lupi e leoni e leopardi. Allora
Del re del mondo eran sommesse al cenno
Le umane stirpi e le fiere e gli augelli
E gli armenti pur anco, e fu composta
175Quell’oste sua di paventose belve,
D’augelli e di Perì. Ne andava il duce
Con la sua veste militar; ma dietro,
Dietro all’oste venìa l’antico sire,
Principe Gayumèrs; iva dinanzi
180Quel suo nipote con le squadre. A un tratto,
Lo spavento menando e la paura,
Levossi il Nero Devo e al ciel la polve
Sollevò in denso turbo. Oppresso agli occhi
Dell’antico signor parve il nemico,
185Stordito e vinto alle grida furenti
Di tante belve. Ma del campo a mezzo
L’una sull’altra si gittàr le schiere,
E da quel d’animanti immenso stuolo
Vinti i Devi restar. Come leone
190Distese allor la poderosa mano
Hoshèng sul Devo e questa gli fé’ angusta
Terrena stanza. Con un cuoio attorto
Tutto l’avvinse dalla testa ai piedi
E l’orribile capo gli divelse;
195Indi, qual cosa vil, sotto gittossi
L’estinto Devo e il calpestò. Cadea
La pelle a brani da quel corpo informe,
Esanime sul suolo abbandonato.
Com’ei venne esattor di sua vendetta,
200Giunse di Gayumèrs l’estremo giorno,
Ed ei pago morì; quest’ampia terra
Di lui rimase qual retaggio. — Oh vedi!
Acquistar chi potrìa grazia e favore
In questa vita? Illusïon fallace
205È questa vita, e il male e il ben ch’è in essa,
Non dura appo ad alcun. Resse quel grande
Il mondo ingannator, calcò la via
Che di cose leggiadre al frutto adduce,
Ma gioia o gaudio ei non raccolse in terra.