<dc:title> Il Conte di Carmagnola </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Alessandro Manzoni</dc:creator><dc:date>1828</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Opere varie (Manzoni).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_terzo/Scena_III&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20221010165442</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_terzo/Scena_III&oldid=-20221010165442
Il Conte di Carmagnola - Atto terzo - Scena terza Alessandro ManzoniOpere varie (Manzoni).djvu
I PRIGIONIERI, tra i quali PERGOLA figlio, e detti.
il conte.
(ai prigionieri)
O prodi indarno, o sventurati!... A voi
Dunque fortuna è più crudel? Voi soli
Siete alla trista prigionia serbati?
un prigioniero.
Tale, eccelso signor, non era il nostro
Presentimento: allor che a voi dinanzi
Fummo chiamati udir ci parve il messo
Di nostra libertà. Già tutti l’hanno
Ricovrata color che agli altri duci,
Minor di voi, caddero in mano; e noi...
il conte.
Voi, di chi siete prigionier?
il prigioniero.
Noi fummo
Gli ultimi a render l’armi. In fuga o preso
Già tutto il resto, ancor per pochi istanti
Fu sospesa per noi l’empia fortuna
Della giornata; alfin voi feste il cenno
D’accerchiarci, o signor: soli, non vinti,
Ma reliquie de’ vinti, al drappel vostro...
il conte.
Voi siete quelli? Io son contento, amici,
Di rivedervi; e posso ben far fede
Che pugnaste da prodi: e se tradito
Tanto valor non era, e pari a voi
Sortito aveste un condottier, non era
Piacevol tresca esservi a fronte.
Ed ora
Ci fia sventura il non aver ceduto
Che a voi, signore? E quelli a cui toccato
Men glorioso è il vincitor, l’avranno
Trovato più cortese? Indarno ai vostri
La libertà chiedemmo; alcun non osa
Dispor di noi senza l’assenso vostro;
Ma cel promiser tutti. Oh! se potete
Mostrarvi al Conte, ci dicean; non egli
Certo dei vinti aggraverà la sorte;
Non fia certo per lui tolta un’antica
Cortesia della guerra,..... ei che sapria
Esser piuttosto ad inventarla il primo.
il conte.
(ai commissari)
Voi gli udite, o signori.... Ebben, che dite?....
Voi, che fareste?....
(ai prigionieri)
Tolga il ciel che alcuno
Più altamente di me pensi ch’io stesso.
Voi siete sciolti, amici. Addio: seguite
La vostra sorte, e s’ella ancor vi porta
Sotto una insegna che mi sia nemica...
Ebben, ci rivredemo.
(segni di gioia tra i prigionieri, che partono; il conte osserva il pergola figlio, e lo ferma)
O giovinetto,
Tu del volgo non sei; l’abito, e il volto
Ancor più chiaro il dice: e ti confondi
Con gli altri, e taci?
pergola figlio.
O capitano, i vinti
Non han nulla da dir.
il conte.
La tua fortuna
Porti così, che ben ti mostri degno
D’una miglior. Qual è il tuo nome?
pergola figlio.
Un nome
Cui crescer pregio assai difficil fia,
Che un grande obbligo impone a chi lo porta;
Pergola è il nome mio.
Vieni ed abbraccia
L’antico amico di tuo padre. Io era
Quale or tu sei, quando il conobbi in prima.
Tu mi rammenti i lieti giorni, i giorni
Delle speranze. E tu fa cor: fortuna
Più giocondi princìpi a me concesse:
Ma le promesse sue sono pei prodi;
E presto o tardi essa le adempie. Il padre
Per me saluta, o giovinetto, e digli
Ch’io non tel chiesi, ma che certo io sono
Ch’ei non volea questa battaglia.
pergola figlio.
Ah! certo,
Non la volea; ma fur parole al vento.
il conte.
Non ti doler: del capitano è l’onta
Della sconfitta; e sempre ben comincia
Chi da forte combatte ove fu posto.
Vien meco;
(lo prende per mano)
ai duci io vo’ mostrarti, io voglio
Renderti la tua spada.
(ai commissari)
Addio, signori;
Giammai pietoso coi nemici vostri
Io non sarò, che dopo averli vinti.