Il Conte di Carmagnola/Atto terzo/Scena IV

Atto terzo - Scena quarta

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Atto terzo - Scena III Atto quarto

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SCENA IV.

I due COMMISSARI.

secondo commissario.


(dopo qualche silenzio)


Direte ancor che a presagir perigli
Troppo facil son io? che le parole
De’ suoi contrari, il mio sospetto antico,
L’odio forse, chi sa? mi fanno ingiusto
Contro costui? ch’egli è sdegnoso, ardente,
Ma leal? che da lui cercar non dessi
Ossequi, ma servigi, e quando in grave
Caso il nostro volere a lui s’intimi,
Il dubitar ch’egli resista è un sogno?
Vi basta questo?

primo commissario.


                              C’è di più. Gli dissi
Che a noi premea che s’inseguisse il vinto:
Ei ricusò.

secondo commissario.


                    Ma che rispose?

primo commissario.


                                                  Ei vuole
Assicurarsi delle rocche... ei teme...

secondo commissario.


Cauto ad un tratto è divenuto... e dopo
Una vittoria.

primo commissario.


                    La parola a stento
Gli uscia di bocca: ella parea risposta
All’indiscreto che t’assedia, e vuole
Il tuo segreto che per nulla il tocca.

secondo commissario.


Ma l’ha poi detto il suo segreto? E questo
Motivo ond’egli accontentar vi volle,
Vi parve il solo suo motivo, il vero?

primo commissario.


Nol so, non ci badai, tempo non ebbi
Che di pensar ch’io mi trovava innanzi
Un temerario, e ch’io sentia parole
Inusitate ai pari nostri.

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secondo commissario.


                                        E s’egli
Al suo signore antico, al primo ond’ebbe
Onor supremi, all’alta creatura
Della sua spada, più terror che danno
Volesse far? fargli pensar soltanto
Quel ch’egli era per lui, quel che gli è contro?
Tal nemico mostrarglisi, ch’ei brami
D’averlo amico ancor? S’ei non potesse
Tutto staccare il suo pensier da un trono
Ch’egli alzò dalla polve; ov’ebbe il primo
Grado dopo colui che v’è seduto?
Se un duca ardente di conquiste, e inetto
A sopportar d’una corazza il peso,
Che d’una mano ha d’uopo e d’un consiglio,
E al condottier lo chiede, e gli comanda
Ciò ch’ei medesmo gl’inspirò, più grato
Signor più dolce al condottier paresse,
Che molti, e vigilanti, e più bramosi
Di conservar che d’acquistar, cui preme
Sovr’ogni cosa il comandar davvero?

primo commissario.


Tutto io m’aspetto da costui.

secondo commissario.


                                                  Teniamo
Questo sospetto: il suo contegno, i nostri
Accorgimenti il faran chiaro in breve,
ad altro almen ci guideranno. Ei trama
Certo. Colui che trama, e del successo
Si pasce già, come se il tenga, ardito
Parla ancor che nol voglia; e quei che sprezza
In faccia il suo signor, già in cor ne ha scelto
Un altro, o pensa a diventarlo ei stesso.
No: da Filippo ei non è sciolto in tutto.
A quella stirpe onde la sposa egli ebbe
Non è stranier: troppo gli è caro il nodo
Che ad essa un dì lo strinse. In quella figlia,
Che ha tanta parte in suo pensier, non scorre
Col suo confuso de’ Visconti il sangue?

primo commissario.


Come parlò! Come passò dall’ira
Al non curar! Con che superba pace
Disubbidì? Siam noi nel nostro campo?
Di Venezia i mandati? Eran costoro
Vinti e prigioni? E più sicuro il guardo

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Portavano di noi! Noi testimoni
Del suo poter, dal conto in cui ci tiene,
De’ nostri acquisti così sparsi al vento,
Di tal gioia, di tai grazie, di tali
Abbracciamenti! Oh! ciò durar non puote.
Che avviso è il vostro?

secondo commissario.


                                        Haccene due? Soffrire,
Dissimular, fargli querela ancora
D’un’offesa che mai creder non puote
Dimenticata, e insiem la strada aprirgli
Di ripararla a modo suo; gradire
Che ch’ei ne faccia; chiedergli soltanto
Ciò che siam certi d’ottenerne; opporci
Sol quanto basti a far che vera appaia
Condiscendenza il resto; a dichiararsi
Non astringerlo mai; vegliare intanto;
Scriverne ai Dieci, ed aspettar comandi.

primo commissario.


Viver cosi! Che si diria di noi?
Dell’alto ufizio che ci fu commesso,
A cui venimmo invidiati, e or tale
Diviene?

secondo commissario.


                    È sempre glorioso il posto
Dove si serve la sua patria, e dove
Si giunge ai fini suoi. Soldati e duci
Tutti sono per lui, l’ammiran tutti,
Nessun l’invidia; a sommo onor si tiene
Bene ubbidirlo; e in questo sol c’è gara
Che ad essergli secondo ognuno aspira.
Voce sì cara e riverita in prima,
Che forza avrebbe in lor poscia che udita
L’hanno in un tanto dì, che forza avrebbe
Se proferisse mai quella parola,
Che in core han tutti, la rivolta? Guai!
Che più? gli udimmo pur; come de’ suoi,
È nel pensiero de’ nemici in cima.

primo commissario.


Ma siamo a tempo? Ei già sospetta.

secondo commissario.


                                                            Il siamo.
Essi armati, e sol essi; avvezzi tutti
A prodigar la vita, a non temere
Il periglio, ad amarlo, e delle imprese

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A non guardar che la speranza, alfine
Più ch’uomini nel campo: ah! se fanciulli
Non fosser poi nel resto, ed i sospetti
Facili a palesar come a deporli;
Se una parola di lusinga, un atto
Di sommessa amistà non li volgesse
A talento di quel che l’usa a tempo;
A che saremmo? ubbidiria la spada?
Saremmo ancora i signor noi?

primo commissario.


                                                       Sta bene.
Riesca, o no, questo partito è il solo.