<dc:title> Il Conte di Carmagnola </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Alessandro Manzoni</dc:creator><dc:date>1828</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Opere varie (Manzoni).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_secondo/Scena_III&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20221009133917</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_secondo/Scena_III&oldid=-20221009133917
Il Conte di Carmagnola - Atto secondo - Scena terza Alessandro ManzoniOpere varie (Manzoni).djvu
Ebben, Torello,
Siete mutato di parer? Vedeste
L’animo ardente de’ soldati?
torello.
Il vidi;
Udii le grida del furor, le grida
Della fiducia e del coraggio; e il viso
Rivolsi altrove, onde nessun dei prodi
Vi leggesse il pensier che mal mio grado
Vi si pingeva: era il pensier che false
Son quelle gioie e brevi; era il pensiero
Del valor che si perde. Io cavalcai
Lungo tutta la fronte: io tesi il guardo,
Quanto lunge potei; rividi quelle
Macchie che sorgon qua e là dal suolo
Uliginoso che la via fiancheggia:
Là son gli agguati, il giurerei. Rividi
Quel doppio cinto di muniti carri,
Onde assiepato è del nemico il campo.
Se l’urto primo ei sostener non puote
Ha una ritratta ove sfuggirlo e uscirne
Preparato al secondo. Un novo è questo
Trovato di costui, per torre ai suoi
Il pensier primo che s’affaccia ai vinti,
Il pensier della fuga. Ad atterrarlo
Due colpi è d’uopo: ei con un sol ne atterra.
Perchè, non giova chiuder gli occhi al vero,
Non son più quelle guerre, in cui pe’ figli
E per le donne e per la patria terra
E per le leggi che la fan sì cara,
Combatteva il soldato; in cui pensava
Il capitano a statuirgli un posto,
Egli a morirvi. A mercenarie genti
Noi comandiamo, in cui più di leggeri
Trovi il furor e la costanza: e’ corrono
Volonterosi alla vittoria incontro;
Ma s’ella tarda, se son posti a lungo
Tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo
La scelta di costoro. E questo evento
Più che tutt’ altro antiveder ci è forza.
Vil tempo in cui tanto al comando cresce
Difficoltà, quanto la gloria scema!
Io te lo ripeto, non è questo un campo
Di battaglia per noi.
malatesti.
Dunque?
torello.
Si muti.
Non siam pari al nemico; andiamo in luogo
Dove lo siam.
malatesti.
Così Maclodio a lui
Lascerem quasi in dono? I valorosi,
Che vi son chiusi, non potran tenersi
Più che due giorni.
torello.
Il so; ma non si tratta
Nè d’un presidio qui, nè d’una terra;
Trattasi dello Stato.
sforza.
E di che mai
Se non di terre si compon lo Stato?
E quelle che indugiando, ad una ad una
Già lasciammo sfuggir, quante son elle?
Casal, Bina, Quinzano e... se vi piace
Noveratele voi, che in tal pensiero
Troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,
Che a noi fidato ha il duca, a brano a brano
Soffriam così che in nostra man si scemi,
E che a lui messo omai da noi non giunga
Che una ritratta non gli annunzi. Intanto
Superbisce il nemico, e ai nostri indugi
Sfacciato insulta.
torello.
E questo è segno, o Sforza,
Ch’ei brama una battaglia.
sforza.
Oh, che puot’egli
Bramar di più, che innanzi a sè cacciarne
Con la spada nel fodero?
Che puote
Bramar di più? Dirovvel io: che noi
Tutto arrischiam l’esercito in un campo
Ov’egli ha preso ogni vantaggio. Or questo
Poniamo in salvo; chè le terre è lieve
Riprender con gli eserciti.
fortebraccio.
Con quali?
Non, per mia fè, con quelli a cui s’insegna
A diloggior quando il nemico appare,
A non mirarlo in faccia, a lasciar soli
Nelle angoscie i compagni; ma con genti
Quali or le abbiam d’ira e di scorno accese;
Impazienti di pugnar, con queste
Si riparan le perdite, e si vince.
Che dobbiamo aspettar? Brandi arrotati,
Perchè lasciarli irrugginir?
torello.
Torello,
Voi temete d’agguati? Anch’io dirovvi:
Non son più quelle guerre, in cui minuti
Drappelletti movean, con l’occhio teso
Ogni macchia guatando, ogni rivolta.
Un oste intera sopra un’oste intera
Oggi rovescerassi: un tanto stuolo
Si vince sì, ma non s’accerchia; ei spazza
Innanzi a sè gl’intoppi, e fin ch’è unito,
Dovunque sia, sul suo terreno è sempre.
fortebraccio.
(a pergola e torello)
Siete convinti?
torello.
Sofferite....
malatesti.
Io il sono.
Omai vano è più dir. Certo io mi tengo
Che tutti andrete in operar d’accordo
Più che non foste in divisar disgiunti.
Poi che un partito e l’altro ha il suo periglio,
Scegliamo almen quel che più gloria ha seco.
Noi darem la battaglia: alla frontiera
Io mi pongo coi miei, Sforza vien dietro
E chiude la vanguardia; il mezzo tenga
Della battaglia Fortebraccio; e il nostro
Uffizio sia con impeto serrarci
Addosso al campo del nemico, aprirlo,
E spingerci a Maclodio. Voi, Torello,
E voi, Pergola, a cui sì dubbia sembra
Questa giornata, io pongo in vostra mano
L’assicurarla; voi discosti alquanto,
Il retroguardo avrete. O la fortuna,
Pur come suol, seconda i valorosi,
E rompiamo il nemico; e voi piombate
Sopra i dispersi. Ma s’ei dura incontro
L’impeto nostro, e ci vedete entrati
D’onde uscir soli non possiam; venite
A noi, reggete i periglianti amici;
Chè, per cosa che avvenga, io vi prometto,
Retrocedere a voi non ci vedrete.
fortebraccio.
Non ci vedrete, no.
sforza.
Siatene certi.
fortebraccio.
Sia lode al ciel, combatteremo alfine:
Mai non accadde a capitan, ch’io sappia,
Per non fare il suo mestier contender tanto.
pergola.
O Carmagnola, tu pensasti che oggi
Il giovenil corruccio alla prudenza
Prevarrebbe dei vecchi; e ti apponesti.
fortebraccio.
Sì, la prudenza è la virtù dei vecchi:
Ella cresce cogli anni, e tanto cresce
Che alfin diventa.......
pergola.
Ebben, dite.
fortebraccio.
Paura;
Poi che volete ad ogni modo udirlo.
malatesti.
Fortebraccio!
pergola.
L’hai detto. Ad un soldato
Che già più volte avea pugnato e vinto
Prima che tu vedessi una bandiera,
Oggi tu il primo hai detto...
malatesti.
Da quel lato,
Presso Maclodio è posto il Carmagnola.
Quegli fra noi che avere oggi pensasse
Altro nemico che costui, sarebbe
Un traditor: pensatamente il dico.
pergola.
Ritratto il voto che dapprima io diedi;
E il do per la battaglia; ella fia quale
Predissi allor; ma non importa. Allora
Potea schifarsi, or la domando io primo:
Io son per la battaglia.
malatesti.
Accetto il voto
Ma non l’augurio: lo distorni il cielo
Sul capo del nemico.
pergola.
O Fortebraccio,
Tu m’hai offeso.
malatesti.
Or via....
fortebraccio.
Se così credi,
Sia pur così: perchè a te spiaccia, o a quale
Altro pur sia, non crederai ch’io voglia
Una parola ritirar che uscita
Dalle labbra mi sia.
malatesti.
(in atto di partire)
Chi resta fido
A Filippo, mi segua.
pergola.
Io vi prometto
Che oggi darem battaglia, e che di noi
Non mancheravvi alcuno. Fortebraccio,
Non giunger onta ad onta; io ti ripeto,
Tu m’hai offeso. Ascolta, io t’offro il modo
Che tu mi renda l’onor mio, serbando
Intatto il tuo.
Dammi il tuo posto.
Ovunque tu combatta, a tutti è noto
Che tu volesti la battaglia, ed io,
Io devo ad ogni modo essere in luogo
Che l’amico o il nemico aperto veda
Ch’io non ho.... tu m’intendi.
fortebraccio.
Io son contento.
Prendi quel posto; poi che il brami, è tuo.
O forte, or m’odi: ora m’è dolce il dirti
Ch’io non t’offesi, no: per la fortuna
Del signor nostro tu soverchio temi:
Questo dir volli. Ma il timor che nasce
In cor di quel che ama la vita, e l’ama
Più dell’onor, ma che nel cor del prode
Muore al primo periglio ch’egli affronta,
E mai più non risorge, o valoroso,
Pensavi tu?...
pergola.
Nulla pensai: tu parli
Da generoso qual tu sei.
(a malatesti)
Signore,
Voi consentite al cambio?...
malatesti.
Io ci consento;
E son ben lieto di veder tant’ira
Tutta cader sovra il nemico.
torello.
(allo sforza)
Io stava
Col Pergola da prima, ingiusto, io spero,
Non vi parrà....
sforza.
V’intendo; e con lui state
Alla vanguardia: ultimi e primi, tutti
Combatterem, poco m’importa il dove.