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230 il conte di carmagnola

Ma s’ella tarda, se son posti a lungo
Tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo
La scelta di costoro. E questo evento
Più che tutt’ altro antiveder ci è forza.
Vil tempo in cui tanto al comando cresce
Difficoltà, quanto la gloria scema!
Io te lo ripeto, non è questo un campo
Di battaglia per noi.

malatesti.


                                        Dunque?

torello.


                                                            Si muti.
Non siam pari al nemico; andiamo in luogo
Dove lo siam.

malatesti.


                         Così Maclodio a lui
Lascerem quasi in dono? I valorosi,
Che vi son chiusi, non potran tenersi
Più che due giorni.

torello.


                                   Il so; ma non si tratta
Nè d’un presidio qui, nè d’una terra;
Trattasi dello Stato.

sforza.


                                   E di che mai
Se non di terre si compon lo Stato?
E quelle che indugiando, ad una ad una
Già lasciammo sfuggir, quante son elle?
Casal, Bina, Quinzano e... se vi piace
Noveratele voi, che in tal pensiero
Troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,
Che a noi fidato ha il duca, a brano a brano
Soffriam così che in nostra man si scemi,
E che a lui messo omai da noi non giunga
Che una ritratta non gli annunzi. Intanto
Superbisce il nemico, e ai nostri indugi
Sfacciato insulta.

torello.


                              E questo è segno, o Sforza,
Ch’ei brama una battaglia.

sforza.


                                                  Oh, che puot’egli
Bramar di più, che innanzi a sè cacciarne
Con la spada nel fodero?