Il Catilinario/XV
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Traduzione dal latino di Bartolomeo da San Concordio (XIV secolo)
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CAPITOLO XV.
Diceria di Catilina a' suoi.
Se la virtù e la fede vostra non fosse stata ben conosciuta da me, non ci sarebbe così caduto in acconcio il nostro fatto, e per niente1 avre’io avuta la grande speranza del signoreggiare; nè non sarei2 sì matto, che per stoltia o per inutile e vano ingegnamento3 andassi cercando le cose che sono in dubbio e incerte in luogo di certe. Ma, perocchè già per gran tempo io v’ho conosciuti forti e fedeli a me, l’animo mio prese ardire di cominciare il grandissimo e nobilissimo fatto, anche però ch’io conosco che li beni e li mali vostri sono quegli medesimi che i miei; e questa è la ferma amistà: quel medesimo volere, e quel medesimo non volere. Or quelle cose, ch’io ho per innanzi pensate, voi tutti le avete singularmente udite e intese. E a me ogni dì s’accende l’animo più quando io considero che vita sarà la nostra, se noi medesimi non procacciamo nostra libertà. Chè, dappoi4 la repubblica venne in signoria e in giuridizione d’alquanti potenti uomini, li re e li tetrarche (a)56 sono stati tributarii a loro; li popoli e le nazioni hanuo pagato loro le colte7; noi tutt’altri buoni e valorosi, nobili e non nobili, semo suti popolazzo senza grazia e senza autorità niente8; soggetti a coloro, li quali, se il comune avesse buono stato, temerebbono noi. Ogni grazia, ogni potenzia, onore, ricchezze, sono appresso loro, ovvero là dove egli vogliono; a noi hanno lasciato li pericoli, li discacciamenti che ci son fatti, le contro noi date, e la povertà. Sosterrete voi questo sempre, o uomini fortissimi? Or non avanza ed è meglio9 morir per virtù, che mantenere la misera e disonorata vita, e, poichè dall’altrui superbia sarete scherniti, ontosamente perderla? Veramente v’affermo, e chiamone per testimonio la fede degli Dii e degli uomini, che la vittoria è in vostra mano. Voi sete freschi di tempo10, prodi e vigorosi d’animo; eglino, per contrario, sono negli anni altresì come nelle ricchezze invecchiati. Non ci fa uopo se non il cominciare; la cosa si compierà ella medesima. E qual uomo sarebbe, s’egli avesse niente di cuore, che potesse sofferire che a coloro soperchino le ricchezze, le quali spargono in seccare e edificare il mare e appianare li monti, e a noi le spese della famiglia, quanto sono a necessità, manchino? e ch’egli due palagi e più congiungano insieme e tengano, e noi niuna casa da abitare famigliarmente abbiamo? Chi potrebbe sostenere quando egli comperano le preziose tavole, li smalti, e gl’intagli, e altre gioje? Disfanno li nuovi casamenti, edificano gli altri; e in tutti i modi tirano a sè la pecunia, la qual conturbano11 e gettano: e con tutto il loro sommo disordinamento non possono vincere loro ricchezze. E noi in casa poveri, di fuori in gran debiti; male avere ora, e molto peggio aspettiamo. Che avemo noi più, se non la misera vita? Svegliatevi voi medesimi: ecco libertà che tanto avete desiderata: anche ricchezza, onore e gloria avete innanzi agli occhi; chè la ventura ha poste tutte cotali cose per guiderdon di coloro che vincono. Il fatto vostro, il tempo acconcio, i pericoli, la povertà che sostenete, la preda grande; vi dee confortare più che le mie parole. Me usate voi o volete per vostro signore, o volete per vostro cavaliere12: nè l’animo, nè il corpo mio si partirà mai da voi. Queste medesime cose spero io di fare insieme con voi quando io sarò consolo, se per ventura non m’inganna il pensiero, e se voi non siete più apparecchiati a volere essere servi, ch’a volere essere signori.
Note
- ↑ e per niente avre’ io avuta ec.) Per niente, posto avverbialmente, come in questo luogo, vale in vano: ed è stato registrato nel vocabolario con nn altró esempio anche di questo libro.
- ↑ nè non sarei sì matto ec.) La particella nè qui sta in luogo di e; di che vedi la nota 1 a pag. 7.
- ↑ ingegnamento vale astuzia, sagacità, industria; ed oggi non si vuole più adoperare.
- ↑ dappoi qui sta in luogo di dappoichè, ovvero poichè; ed è taciuto il che per proprietà di nostra lingua. Vedi il Trattato delle particelle, alla part. che.
- ↑ (cioè i signori delle Provincie).
- ↑ li re e li tetrarche) Tetrarca vale signore di una quarta parte del regno. Qui il plurale ha l’uscita in e; ma noi crediamo che, dovendosi oggi adoperare questo nome al plurale, se gli debba dare l’uscita i, che hanno tutti i nomi maschili che terminano in a al singolare.
- ↑ hanno pagato loro le colte) Colta propriamente significa raccolta, colletta; ma si adopera ancora per imposizione, tributo, com’e da intendere in questo luogo.
- ↑ senza autorità niente) Niente qui sta come adjettivo, e vale nessuno, veruno: ma giardino i giovani a non imitar questo e simiglianti modi; i quali oggi sarebbero affettazione.
- ↑ or non avanza ed è meglio ec.) Avanzare, adoperato assolutamente, vale talvolta, come in questo Imago, esser meglio, più utile; e s’è aggiunto dal p. Cesari al vocabolario con questo esempio. Si noti che nel primo membro di questo periodo è taciuto un non, dicendo ed è meglio in luogo di e non è meglio; e questo è stato fatto per proprietà di nostra lingua; chè la congiunzione e ha la forza di trarsi dietro o l’affermazione o la negazione che le sta avanti.
- ↑ voi sete freschi di tempo) Tempo qui vale età; onde freschi di tempo vuolsi intendere vigorosi, giovani di età.
- ↑ conturbano e gettano) Qui nota il Betti: « Che sia verbo legittimo questo conturbano! A me non pare; ma non so qual altro sostituirgli. Avrei quasi pensato che il volgarizzatore abbia qui usato il latinismo concutono: ognun sapendo che concutio presso i giureconsulti tanto vale, quanto estorcere. Chè se non si sa (al meno noi so io ) che niuno de’ nostri buoni scrittori italiani abbia adoperato mai questo verbo, certo è che molti hanno adoperato il sostantivo concussione: e lo si trova antico, con un esempio del Maestruzzo.» Noi, per altro, col dovuto rispetto a tanto uomo, osserviamo che forse conturbano usò frate Bartolomeo quasi per usano disordinatamente, contro il dovuto ordine, accompagnandolo a getteremo, con le quali due voci traduce l’unica latina vexant.
- ↑ me usate voi o volete per vostro signore, o volete per vostro cavaliere) Si noti qui quel volete, il quale è un ripieno, e tanto vale quanto la semplice particella o; ma nondimeno aggiunge un certo che di grazia al discorso. Così il Sacchetti nella nov. 143: E l’innamorato dice: o volete state, o volete verno, che secondo la nozione noi nascemmo a un modo. E il Boccaccio nella nov. 72: Profferendo di molti danari, o voglio io robe e gioje.