Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/XXVIII - Un dolce folgorar di duo begli occhi
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XXVIII.
Con vere e proprie reminiscenze petrarchesche e dantesche, si prova a gara coi poeti rammentati nella chiusa del sonetto precedente a dire le lodi fisiche e morali della Mencia.
Questo sonetto — modello di artificioso convenzionalismo — va raccostato al son. XC del Petrarca.
Un dolce folgorar di duo begli occhi,
Che fan d’oscura notte chiaro giorno,
Un celar e scoprir il viso adorno,
Ond’Amor l’arco in van non vuol che scocchi: 4
L’andar celeste, il far che ’l piede tocchi
La terra a pena, il bel girar intorno
Quell’aurea testa, e dar di sè soggiorno,
8Sì che bellezza, e castità vi fiocchi:
Il portamento pien di leggiadria,
Que’ santi modi fatti in paradiso,
11L’alte accoglienze, il parlar dolce, e schivo:
Mostrar rubini, e perle al suon d’un riso
Con quanta grazia fu giammai, nè fia,
14Son l’esca al fuoco, dov’ardend’i’ vivo.
Note
V. 1. Bel verso d’esordio.
V. 4. Scocchi, tocchi, fiocchi, rime dure e stentate. Assai più agili quelle delle terzine.
V. 5. L'andar celeste, dal son. petrarchesco succitato, tutta la terzina: «Non era l’andar suo cosa mortale», ecc., e altrove: «L’andar celeste», ecc., Canz., CCXIII, v. 7.
Vv. 6-7. Il bel girar intorno, dar di sè soggiorno, zeppe, che guastano quel poco che v’ha di buono.
V. 8. Fiocchi stona coi concetti astratti di «bellezza» e «castità».
V. 12. Riso che dolce suona e scopre le perle dei candidi denti e i rubini delle rosse labbra.
V. 14. Esca, amorosa, la naturale disposizione ad amare; ardend’i’ vivo è il petrarchesco: «Che vivo e lieto ardendo mi mantenne», Canz., CCCXXI, v. 7, dove il gerundio ha valore d’aggettivo, ardente.