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Il Canzoniere | 83 |
In lodar quella, ond’io me stesso lodo. 8
Ogni impossibil cosa prima fia,
Ch’i’ non desidri, e cerchi, che per lei,
Tutta si spenda questa vita mia. 11
Che s’io potessi far quanto vorrei,
E Laura, e Bice il mondo già vedrìa
Non esser degne d’agguagliar Costei. 14
V. 1. Arde, agghiaccia e più sotto alsi latinismo per gelai et arsi, e ancora gielo e ardo, imagini tutte che dipendono da il mio bel fuoco e cioè da la Mencia.
V. 5. Ponga modo, trovi modo affinchè Amore possa essere frenato.
V. 8. Lodar, lodando lei, lodo anche me, poiché mi procuro gloria.
V. 10. Desidri, trisillabo, invece di desideri, per la esatta misura del verso, e anche per vezzo, come altrove vedelle, son. XXII, v. 8; vedei, Canzone LXI, v. 16; dividrà, mettrai ecc., sonetto LVIII, v. 4; v. 7.
V. 12. Quanto vorrei ma non ha — già lo disse — nè ingegno, nè stile da ciò.
V. 13. Vedrìa, vedrebbe che le donne cantate dal Petrarca e da Dante non sarebbero degne di star a paro con la Mencia.
XXVIII.
Con vere e proprie reminiscenze petrarchesche e dantesche, si prova a gara coi poeti rammentati nella chiusa del sonetto precedente a dire le lodi fisiche e morali della Mencia.
Questo sonetto — modello di artificioso convenzionalismo — va raccostato al son. XC del Petrarca.
Un dolce folgorar di duo begli occhi,
Che fan d’oscura notte chiaro giorno,
Un celar e scoprir il viso adorno,
Ond’Amor l’arco in van non vuol che scocchi: 4
L’andar celeste, il far che ’l piede tocchi
La terra a pena, il bel girar intorno