Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/LII - Spesso mi volgo, e intentamente miro

LII - Spesso mi volgo, e intentamente miro

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LII - Spesso mi volgo, e intentamente miro
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LII.

La dimora della Mencia; ne contempla le mura a lui inaccessibili; piange e sospira.
          Edito dal Lami, op. cit., p. 57.


Spesso mi volgo, e intentamente miro
     L’alte, felici e fortunate mura,
     Fatte a colei che adoro sepoltura,
     4Ond’io dolente lagrimo, e sospiro.
E qual si vide mai maggior martiro,
     Che ’l più bel d’ogni bel della natura
     Veder celarmi? Lasso! chi mi fura
     8Di quel bel viso l’aria ond’io respiro?
Mora la crudeltà, mora l’asprezza
     Di ch’è cagion, che non si veggia il sole
     11Di quelle stelle, vita di mia vita.
I’ sento che morrò, se, come suole,

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     L’incredibil, soave, alma dolcezza
     14Di que’ begli occhi non mi porge aita.

Note

V. 2. Alte mura, un grande edificio mantovano, per noi non identificabile; felici e fortunate perchè rinserrano un cotanto tesoro. A lui paiono carcere e tomba dell’amata.

V. 6. Il più bel d’ogni bel, allitterazione di parola e bisticcio di senso.

V. 7. Mi fura, mi ruba l’aria l’aspetto di quel bel viso che è per me com’aura vitale.

V. 9. L’asprezza mora, cessi l’aspro divieto che è la cagione per cui io non vedo la luce, il sole, di quegli occhi, di quelle stelle, che formano la forza vitale della mia esistenza.

V. 14. Aita, aiuto attende dagli occhi della Mencia, dotati di una dolcezza che è superiore a quanto si possa credere, incredibile, soave, e divina, alma.