Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/CLXXXII - Tempo è, begli occhi, omai, che pur vi debbia

CLXXXII - Tempo è, begli occhi, omai, che pur vi debbia

../CLXXXI - Occhi leggiadri, amorosetti e vaghi ../CLXXXIII - Stancar si può la lingua in dir, begli occhi IncludiIntestazione 13 marzo 2024 100% Poesie

CLXXXII - Tempo è, begli occhi, omai, che pur vi debbia
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CLXXXII.

È la seconda delle tre Canzoni in lode degli Occhi della Mencia.


Tempo è1 begli occhi omai, che pur vi debbia
     Veder, e ’l fuoco senta,
     Che dolcemente il cor mi sana e strugge.
     Scoprasi il sol, dileguisi la nebbia,
     5E ’n modo resti spenta,
     Che di mia speme il frutto non adugge.
     Il tempo vola e fugge2,
     E giusto fora pur dopo ’l digiuno
     Le mie gran fami d’uno
     10Giro gentil dei vostri sì soavi
     Quetar, che del mio cor portan le chiavi.
Chi ’l crederà, che quando i’ veggio poi
     Mostrarsi il nero e ’l bianco
     Degli occhi ond’arde il cor, e insieme agghiaccia
     15Voglia mi venga di celarmi a Voi,
     E sì mi treme il fianco,
     Che di mia tema il segno mostre in faccia?
     Non so ciò che mi faccia
     Di que’ begli occhi innanzi al grave assalto,
     20Che d’uomo in freddo smalto3
     Mi cangia a un tratto, a un tratto mi riscalda,
     M’ancide, e avviva, e ancor m’impiaga e salda.4

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Dico ch’allor allor, ch’intento i’ veggio
     Spiegarsi il Paradiso
     25Dei fiammeggianti e altieri vostri rai,
     Arditamente con li miei patteggio5
     Mirarvi sempre fiso,
     N’indi la vista rivoltar già mai.
     Ma com’i lumi gai
     30Spargon le fiamme agli occhi miei per contro,
     Ed io quel lampo incontro
     Ratto m’accieco, com’al chiaro sole
     Notturno augel la vista perder suole.
Ma perchè in lo splendor più che mortale,
     35Anzi santo e divino,
     Mille dolcezze stanno sempre a paro,
     E quanta è quella tema che m’assale,
     Tanto mi sta vicino
     Di ferma speme l’ottimo riparo,
     40Ardisco pur al chiaro
     Vivo splendor girar l’inferma vista,
     Ch’a poco a poco acquista
     Il vigor morto, e poi sotto occhio6 mira
     Come soave il lume bel si gira.
45Che s’io potessi al discoperto un tratto
     Mirar, come volgete
     Sovra ’l corso mortal que’ vostri ardori,
     E discoprir altrui, com’è poi fatto
     Il fuoco, ove m’ardete,
     50Morir farei d’invidia mille cori.
     Vo’ di me stesso fori
     L’ombra scoprendo dell’ardente lume,
     Ch’a gir al ciel7 le piume
     Mi presta, e son di questo poco incerto,
     55Che fora dunque s’io ’l vedessi certo?

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Ch’una rivolta8 sol di quella luce,
     Ch’ogn’altra luce sgombra,
     Può far gioir qual sia più mesta mente:
     Che ’n que’ soavi lumi alberga e luce,
     60E dentro vi s’ingombra
     Un certo non so che, che l’alma sente,
     Ma fuor apertamente
     Dir non si può, nè dimostrar appieno,
     Che ’l lume bel sereno,
     65Dolce ed amaro, altiero, umile e piano
     Mai non s’agguaglia con parlar umano.
Nè tu per gir altrove,
     Canzon, ti partirai dalla sorella9,
     Che troppo poverella,
     70E mal ornata se’ del lume santo,
     Ond’io la carta vergo al terzo canto.

Note

  1. V. 1 Tempo è, forse quello, per lui del ritorno alla Mencia.
  2. V. 7. Il tempo vola e fugge, è il petrarchesco: «... ’l tempo vola | E sì come la vita | Fugge...», Canz., CXXVIII, vv. 97-99.
  3. V. 20. Freddo smalto, è il dantesco «Venga Medusa, sì il farem di smalto», Inf., IX, 52.
  4. V. 22. Bel verso vasto, alla petrarchesca; è ben mantenuto il parallelismo delle due idee contradditorie espresse dai quattro verbi; cfr. son. VIII, v. 2, e del Petrarca, son. CLIX, v. 12, e son. CLXIV, v. 11.
  5. V. 26. Patteggio, fermo il patto coi miei occhi, mi propongo.
  6. V. 43. Sotto occhio, di sottecchi, non potendo direttamente sopportare il fulgore di quello sguardo.
  7. V. 53. Gir al ciel, il vostro sguardo mi presta le piume al volo per salire al cielo.
  8. V. 56. Una rivolta, uno sguardo, un giro, cfr. Petrarca, Canzoniere, LXXII, 35.
  9. V. 68. Sorella, la prima Canzone degli Occhi precedente a questa. Si osservi che queste stesse parole sorella, carta vergo sono nel congedo d’una canzone petrarchesca, la LXXII, donde evidentemente s’inspirò il Bandello: «Canzon | l’una Sorella è poco innanzi | E l’altra sento in quel medesmo albergo | Apparecchiarsi; ond’io più carta vergo».