Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Prima
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Fra le religioni che vantano maggior dominio sulla terra, più lunga durata e più gran numero di proseliti, prima d’ogni altra è il Buddhismo. Nata sulle rive del Gange, in seno alla schiatta ariana, la fede buddhica si estese dal Caspio all’Oceano Pacifico, dalla Siberia al Ceylon, abbracciando tutte quelle schiatte d’uomini che furono designate col nome di Turaniche. Essa è professata anche oggi da un terzo del genere umano; e pel suo benefico influsso i feroci Nomadi dell’Asia centrale divennero miti, virtuosi e socievoli. Molti popoli devono ad essa ogni cultura civile, morale, letteraria: e l’India le deve quella grande riforma, per opera della quale, resistendo alle persecuzioni del più arrogante e superbo clero del mondo, fu proclamata la perfetta eguaglianza degli uomini e l’abolizione d’ogni casta.
Per quanto adunque la religione buddhica possa sembrare a noi occidentali strana ed assurda nelle sue dottrine e nei suoi dogmi, credo tuttavia che non dobbiamo sdegnare di occuparcene, se pensiamo alla parte che ebbe nello svolgimento morale e civile, e nella storia dei popoli asiatici. Anzi nel volgere lo sguardo a ciò che fu per ventiquattro secoli oggetto di venerazione e di culto a immense moltitudini, non può esser che un certo senso di rispetto non si desti anche in noi verso quelle credenze, consacrate oramai dalla pietà e dalla fede di tanti uomini che le professarono: e per gl’inestimabili beni, di cui furono feconde all’umano consorzio, dovremmo tutti sentirci disposti a scusarne gli errori, e più di ogni altro coloro, che per aiuto soprannaturale ne furono immuni.
Il Buddhismo, dice a ragione un moderno scrittore, è il più vasto sistema religioso del mondo; imperocchè abbraccia tutti que’ rami di scienza, che le nazioni d’Occidente sono da gran tempo abituate a considerare come altrettante suddivisioni distinte dello scibile umano. È indubitato che il Buddhismo, esplorando il misterioso libro della natura, ha messe in luce molte verità, che la scienza occidentale doveva scoprire più tardi. Nella ipotesi della pluralità dei mondi e della loro formazione, esso ha anticipato di 2000 anni l’ipotesi herscheliana delle nebulose; nel considerare la vita cosmica e la vita della terra, ha intuitivamente indovinato non pochi resultati della moderna astronomia e della moderna geologia.2
Nello studiare le dottrine di Çâkyamuni e lo svolgimento di esse, forse ci verrà fatto di domandare a noi stessi: il Buddhismo è egli religione o filosofia? Se consideriamo il Buddhismo quale è oggi nei paesi ove domina; se guardiamo ai suoi templi, ai suoi conventi, ai suoi altari, ai suoi idoli, ai suoi preti; se gettiamo gli occhi al culto delle turbe superstiziose ed ignoranti, ella è certo una religione. Ma sebbene attraverso i dogmi, le cerimonie e le assurde credenze del presente sistema buddhico, si possano scorgere ancora, più o meno corrotte, le dottrine fondamentali della primitiva e originale concezione del Buddha; pur non di meno chiaro apparisce che il Buddhismo, quale oggi si professa da quasi quattrocento milioni di uomini, è ben lungi dall’esser quello che uscì dalla mente di Çâkyamuni.
Per conoscere il Buddhismo indipendentemente da tutte quelle dottrine che gli sono estranee, è necessario studiarlo non quale ora è, ma quale i primitivi discepoli, e seguaci di Çâkyamuni ce lo hanno lasciato nei monumenti scritti; avendo cura però di distinguere, con giudiziosa critica, in quel vastissimo corpo di scritture che forma la letteratura buddhica, ciò che realmente appartiene al maestro, ciò che non è un portato della sua scuola, e ciò che è frutto della corruzione, a cui andarono soggetti i primitivi insegnamenti.3 Quando esamineremo le antiche dottrine buddhiche, forse ci persuaderemo che il Buddhismo è filosofia piuttosto che religione: filosofia che ha per fine di condurre gli uomini ad uno stato di purità e di perfezione ideale.4 Ma se la si vuol considerare come religione, essa è certo la più strana e curiosa religione del mondo; non conosce divinità, non ammette creatore, nega un’anima atta a vivere di vita propria ed eterna, tiene la vita come la massima delle infelicità, e presenta finalmente come unico e supremo bene, come ricompensa agli uomini che se ne resero degni, un eterno riposo, dove si spegne ogni alito di vita, e dove si annullano tutte le facoltà attive del corpo e dello spirito. Comunque sia, non può non essere oggetto di meraviglia a molti e di profonda meditazione al filosofo questo gran fatto: una dottrina che a scopo e meta della vita, anzi di molte successive esistenze, pone il Nulla, ha conquistato il cuore dei più feroci popoli dell’Asia, li ha fatti amanti della virtù, e più di sei secoli innanzi Gesù Cristo ha inculcato la fratellanza e l’amore del prossimo.5
La fede buddhica sorse dal dolore della vita; dall’antico e generale lamento che l’uomo innalzò, appena ei si conobbe il più perfetto degli esseri. Ma tra tutti quelli che innalzarono un cotale lamento, tra tutti quelli che piansero sui destini dell’uomo, nessuno, tranne Çâkyamuni, concepì il dolore in una maniera più grande; nessuno ebbe al pari di lui un sentimento più alto dell’umana infelicità. Quasi elegia salmeggiata da tutto un popolo immerso nella più fosca melanconia, il Buddhismo piange i mali della terra, la fuggevole felicità, le vane speranze che, come nebbia dileguandosi ad una ad una, trascinano l’animo umano nel più crudele e amaro disinganno. Ei vuol calmare, distruggere, annullare questo dolore inerente all’umana natura, che sempre l’assedia, sotto qualunque forma si manifesti la vita; ei vuole liberare l’umanità. E il Buddha consacra a questo fine tutto sè stesso. Il mezzo ch’ei trovò per conseguire la meta, il Nirvâna, cioè, o l’annullamento dell’essere, potrà sembrare a molti mostruosa e spaventevole cosa; incompatibile colle idee della nostra schiatta, contraria a quelle aspirazioni, che la nostra psicologia non ha dubitato chiamare sentimento universale degli uomini; ma non pertanto men vera, unica e ineluttabile conseguenza del suo sistema.
Prima di entrare nella esposizione delle dottrine buddhiche, diremo qualche parola intorno alla persona del suo fondatore. Percorrendo la vita del Buddha non potremo fare a meno di confessare, che, non ostante gli errori, nei quali egli cadde, non vi fu uomo al mondo, tranne Gesù, che abbia al pari di lui amata l’umanità, compatitone i mali, e cercato di porvi prima un riparo, poi un termine. «Leggendo i particolari della vita di Çâkyamuni», dice il Bigandet, vicario apostolico di Ava e Pegu, «è impossibile di non recarsi a memoria non pochi degli atti della vita del nostro Salvatore..... Il sistema cristiano e il Buddhico hanno fra loro una straordinaria rassomiglianza, malgrado dell’abisso che li separa; e non dovrà tenersi per inconsiderato lo asserire, che molte delle verità morali che adornano l’Evangelio si trovano nelle scritture buddhiche».6 Il giudizio d’un Vicario apostolico non può esser tacciato di parzialità pel Buddhismo.
Note
- ↑ I primi cinque capitoli della prima parte di questo lavoro videro la luce già da qualche tempo nell’Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia, fondato nel 1870 dal compianto mio amico prof. Felice Finzi, e dal ch.° prof. Mantegazza. Nel ridarli alle stampe, furono corretti e ampliati d’assai, anzi in gran parte rifusi e illustrati con maggior numero di note. — Per la lettura delle parole orientali vedi l’Avvertenza in fine al volume.
- ↑ Eitel, Three Lectures on Buddhism, Hongkong 1871, p. 1, e p. 23.
- ↑ Non posso entrare nella questione delle origini, poichè confondendosi essa necessariamente coll’esame del valore delle leggende riguardanti la persona del Buddha, tale esame ci porterebbe assai lungi dai limiti che ci siamo imposti. Le origini del Buddhismo sono state oggetto di speculazioni arrischiatissime; e si è preteso vedere, affine di spiegare certe tradizioni e certi simboli buddhici, l’effetto dell’influenza degli aborigeni, quella di popolazioni turaniche, o di popolazioni scite, e molte altre cose più problematiche l’una dell’altra. Il libro del Fergusson (Tree and serpent Worship) è l’espressione più manifesta di quest’incerte teorie. V. Senart, nel Journ. Asiat. 1873, fascicolo dell’agosto-settembre.
- ↑ Bastian, Die Voelker des Oest. Asien, II, p. 181.
- ↑ È del Buddhismo primitivo che intendo parlare, e non di quello oggidì professato da molte popolazioni dell’Asia, poichè a questo si addicono meno le considerazioni che sopra abbiam fatte.
- ↑ Bigandet, The Life or Legend of Gaudama, 494 e 495.