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6 | parte prima |
mineremo le antiche dottrine buddhiche, forse ci persuaderemo che il Buddhismo è filosofia piuttosto che religione: filosofia che ha per fine di condurre gli uomini ad uno stato di purità e di perfezione ideale.1 Ma se la si vuol considerare come religione, essa è certo la più strana e curiosa religione del mondo; non conosce divinità, non ammette creatore, nega un’anima atta a vivere di vita propria ed eterna, tiene la vita come la massima delle infelicità, e presenta finalmente come unico e supremo bene, come ricompensa agli uomini che se ne resero degni, un eterno riposo, dove si spegne ogni alito di vita, e dove si annullano tutte le facoltà attive del corpo e dello spirito. Comunque sia, non può non essere oggetto di meraviglia a molti e di profonda meditazione al filosofo questo gran fatto: una dottrina che a scopo e meta della vita, anzi di molte successive esistenze, pone il Nulla, ha conquistato il cuore dei più feroci popoli dell’Asia, li ha fatti amanti della virtù, e più di sei secoli innanzi Gesù Cristo ha inculcato la fratellanza e l’amore del prossimo.2
La fede buddhica sorse dal dolore della vita; dall’antico e generale lamento che l’uomo innalzò, appena ei si conobbe il più perfetto degli esseri. Ma tra tutti quelli che innalzarono un cotale lamento, tra tutti quelli che piansero sui destini dell’uomo, nessuno, tranne Çâkyamuni, concepì il dolore in una maniera più grande;
- ↑ Bastian, Die Voelker des Oest. Asien, II, p. 181.
- ↑ È del Buddhismo primitivo che intendo parlare, e non di quello oggidì professato da molte popolazioni dell’Asia, poichè a questo si addicono meno le considerazioni che sopra abbiam fatte.
matiche l’una dell’altra. Il libro del Fergusson (Tree and serpent Worship) è l’espressione più manifesta di quest’incerte teorie. V. Senart, nel Journ. Asiat. 1873, fascicolo dell’agosto-settembre.