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parte prima 7

nessuno ebbe al pari di lui un sentimento più alto dell’umana infelicità. Quasi elegia salmeggiata da tutto un popolo immerso nella più fosca melanconia, il Buddhismo piange i mali della terra, la fuggevole felicità, le vane speranze che, come nebbia dileguandosi ad una ad una, trascinano l’animo umano nel più crudele e amaro disinganno. Ei vuol calmare, distruggere, annullare questo dolore inerente all’umana natura, che sempre l’assedia, sotto qualunque forma si manifesti la vita; ei vuole liberare l’umanità. E il Buddha consacra a questo fine tutto sè stesso. Il mezzo ch’ei trovò per conseguire la meta, il Nirvâna, cioè, o l’annullamento dell’essere, potrà sembrare a molti mostruosa e spaventevole cosa; incompatibile colle idee della nostra schiatta, contraria a quelle aspirazioni, che la nostra psicologia non ha dubitato chiamare sentimento universale degli uomini; ma non pertanto men vera, unica e ineluttabile conseguenza del suo sistema.

Prima di entrare nella esposizione delle dottrine buddhiche, diremo qualche parola intorno alla persona del suo fondatore. Percorrendo la vita del Buddha non potremo fare a meno di confessare, che, non ostante gli errori, nei quali egli cadde, non vi fu uomo al mondo, tranne Gesù, che abbia al pari di lui amata l’umanità, compatitone i mali, e cercato di porvi prima un riparo, poi un termine. «Leggendo i particolari della vita di Çâkyamuni», dice il Bigandet, vicario apostolico di Ava e Pegu, «è impossibile di non recarsi a memoria non pochi degli atti della vita del nostro Salvatore..... Il sistema cristiano e il Buddhico hanno fra loro una straordinaria rassomiglianza, malgrado dell’abisso che li separa; e non dovrà tenersi per inconsiderato lo asserire, che molte delle verità morali che adornano