Il Battista/Canto terzo

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Canto secondo Il Battista
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CANTO TERZO

Ma dal guardo divin lunge non vanno
     I furor empji delle furie inferne,
     Ch’i prieghi iniqui, e del crudel tiranno
     La fè giurata il sommo Dio discerne.
     Dunque sull’ora del mortale affanno
     Rivolge al suo fedel le ciglia eterne,
     E che per poco amor non l’abbandona,
     8Con la Corte superna egli ragiona.

Sovra quei cieli, il cui seren riluce
     D’una sol fiamma alteramente adorno,
     E sovra quel, che tutti lor conduce,
     E tanti lumi a suo volere intorno,
     Ampia, infinita è region di luce;
     Luce, che dove Febo apporta il giorno
     Più sulla terra sfavillante e puro
     16N’andrebbe in paragon torbido e scuro.

Nè mai si scuote, o mai volubil rota
     L’immensa piaggia di fulgor ripiena
     Stabile tienla, inagitata, immota
     Di sempiterni acciar salda catena:
     Turbo non è, ch’ivi giammai percota,
     Nè tenebroso nembo ivi balena,
     Nè spiega per quei regni almi e divini
     24Fiera cometa, e spaventosa i crini.

Ma su colonne d’ametisto e d’oro,
     D’oro che più che il Sole aureo risplende,
     Erto colà nel mezzo, almo lavoro,
     Fulgidissimo tempio in alto ascende,
     Piropi il tetto, e rilucea tra loro
     Purpureo lampo, onde il rubin s’accende;
     E dove il piè riponsi era splendore
     32Di vario opalio, e di gran perle albóre.

Quindi fra spirti alle sue voglie intenti
     Guarda il gran Dio la regïon stellante,
     E i campi accesi e le procelle e i venti
     E l’ima terra e l’oceán spumante;
     Quindi a punir le scellerate genti
     Versa nell’ire sue fiamma tonante,
     Onde gli abissi, e di temenza estrema
     40Ciascun mortale impallidisce e trema.

E quindi aprendo del suo cor l’interno,
     Prese a narrar, come quegli empi al fondo
     Calpesterà, ma che di pregio eterno
     Il suo fedel risplenderà giocondo;
     Ed all’alte parole il ciel superno
     Tacque adorando, ed acchetossi il mondo,
     S’acchetò l’aria, s’acchetò la terra,
     48S’acchetò il mar, che la circonda e serra.

Abitator di queste eccelse sfere,
     Alme, diss’egli, in me mirar beate,
     Ben so, che di voi tutte ogni volere
     Ha per termine sol mia volontate;
     Pur vi vo’ disvelar come potere
     Aggiano colaggiù voglie spietate,
     Sì che contra il Battista oggi sia forte
     56La man d’Erode, e lo condanni a morte.

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Cotanto oltra ragion forse valore
     Non ha mia destra, che le stelle accese,
     Che termine del mar pose al furore,
     Di cori iniqui raffrenar l’imprese?
     S’egli è talmente, il vi dirà l’ardore
     Ch’in Pentapoli già fiero discese,
     E l’onda immensa che agli Ebrei s’aperse,
     64E che nel grembo Faraon sommerse.

Dirallo il re, che con gli armati Assiri
     I regni oppresse dell’ebreo Giordano,
     Quando dentro una notte, alti martiri,
     Tanti suoi spenti traboccâr sul piano,
     Io del gran ciel do movimento a i giri,
     Ho della terra i fondamenti in mano;
     Comando al Sol, che per cammin s’arresti,
     72Ed i suoi corsi al cenno mio son presti.

Degli alti monti, se a tonare io prendo,
     Le cime avvampo, e nell’abisso i mari
     Fo tempestosi, e tutta l’aria incendo,
     Non pur son forte a sostener miei cari:
     Ma quando in pena io gli abbandono; intendo
     Che sian per prova di virtù più chiari
     Nell’universo; e del martir sofferto,
     80Che lor si cresca la mercè col merto.

Ben di Giovanni l’ammirabil vita
     Incontrerà malvagità terrene,
     E dal busto la testa alfin partita,
     Fonti aprirà dall’innocenti vene;
     Ma traslato qua su, pace infinita
     L’aspetta in queste piagge alme e serene,
     Ove fuor d’ogni tempo ha da bearsi,
     88Nè di gloria i mortali a lui fian scarsi.

Ei d’ogni pregio mirerassi altero,
     Ovunque il mondo adorerà miei regni,
     E saran sulla Senna e sull’Ibero,
     Al suo nome inchinar pronti gli ingegni:
     Ma nella reggia, che ha dell’Arno impero
     Avrà d’onor più manifesti segni;
     E saran verso lui più caldi i petti,
     96E quinci del mio cor fian più diletti,

Non così l’empio; di miserie involto
     Andrà disperso, all’universo scherno,
     Vivendo Erode, e tra martir sepolto
     Traboccherà dentro l’incendio inferno
     Eternamente: io le preghiere ascolto
     Degl’innocenti; io le malizie scerno
     Di chi mi spregia e di giustizia è privo,
     104E tutto in seice ed in diamante io scrivo.

Qui tacque; e su nel ciel gli angioli santi
     Il sempiterno re pronti inchinaro,
     Poscia con atti di letizia i canti
     Della sua loda unitamente alzaro.
     Sonò l’Olimpo, e dove i rai fiammanti
     Vibra il Centauro, e dove Arturo è chiaro,
     E dove l’aureo Sol sue lampe accende,
     112E sonò, dove a sera in mar ei scende.

Qual sulla piaggia, e di Caístro al fiume,
     Allor che posa raddolcito il vento,
     Alzano i cigni dalle bianche piume
     Il tanto ad ascoltar caro concento;
     Tal per li regni dell’etereo lume
     Era ogni spirto a belle note intento;
     E tra suoi ceppi rivolgea non meno
     120A Dio il Battista alti pensier dal seno.

Quantunque delle membra il fragil peso
     Faccianlo a forza cittadin mondano,
     Ei col pensiero in sulle stelle asceso,
     Con la mente dal mondo erra lontano,
     Pensa tra sè, che in mille guise offeso
     È Dio, per poco predicato invano;
     Pensa, che il nome suo sì mal s’adora;
     128E quinci un giusto zel l’arde e divora.

Signor, dicea, di cui la man pietosa
     L’uom, che pose nel mondo il vi mantiene
     Con tante grazie; abbominevol cosa,
     Che a lui del tuo voler nulla sovviene;
     Che per sue rie vaghezze empio non osa?
     E come tua possanza a vil non tiene?
     Di che non s’arma ad oltraggiarti? E forse
     136Che sempre tua pietà non lo soccorse?

Quanto sono de’ messaggier profeti
     La voce a dichiarar l’alta promessa,
     Che un di giungendo al fin gli aspri divieti
     Strada da gire al ciel fora concessa?
     Ed oggi per fornir gli alti decreti
     Del Figlio apparsa e la persona istessa,
     Agnel di Dio, che fa quaggiuso albergo,
     144Le colpe altrui per tor sul proprio tergo.

Di sua pietà fan memorabil fede
     Immense prove: I già sepolti han vitaş
     Il zoppo affretta l’orme; il cieco vede;
     Nel duro inferno è sua parola udita:
     Ma qual di tanto amor tragge mercede?
     È sua mercè, sua maestà schernita;
     Lunghe bestemmie, dimostrargli il viso
     152Colmo di sdegno, e procurarlo anciso.

Veracemente delle fonti eterne
     Sprezza Giudea la desïabil vena,
     E dassi a fabbricar rotte cisterne,
     Ove può l’acqua raunarsi appena:
     E l’occhio tuo, che su dal ciel lo scerne
     Ira non turba? e la tua man ripiena
     Di mille lampi mirerassi senza
     160Un tuon per questi iniqui? O sofferenza!

In questo apria della prigion ferrata
     I varchi angusti, ed odiosa gente,
     Di vilissime spade il fianco armata,
     Ma cruda in atto e nel parlar fremente,
     Scorgea Grassarte: era a fatica entrata,
     Che del gran prigionier l’alma innocente
     Il tempo giunto del morir comprende,
     168E tutto franco a favellarne prende.

Alza la fronte in nulla parte oscura,
     E volge il guardo mansueto e chiaro,
     E non che sull’estremo aggia paura,
     Ma sembra, ch’il morir giungagli caro.
     Dice, o diletti miei quanti natura
     Pose nel mondo, o tutti a morte andaro,
     O che n’andran; di questa fragil carne
     176Il rio peso depor non dee turbarne.

Turbisi l’uomo; e di supremo orrore
     Seco stesso in pensar venga tremante,
     Che per farne giudicio il gran Signore
     Vuol, ch’ogni spirto gli si scorga avante:
     Se giusto visse, s’ebbe puro il core.
     Se furo l’opre a dio gradite e sante,
     Dell’alto ciel fia cittadin; se a schern
     184Ebbe la legge, abiterà l’Inferno.

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L’Inferno è d’ogni pena empio ricetto,
     E d’ogni orribil mal: grazie divine
     Spargono su nel cielo ogni diletto,
     Ne l’un nè l’altro è per conoscer fine:
     Questo, o diletti miei, rivolga in petto
     Ciascun mortale, e se medesmo affine,
     Ben ripensando, e consigliato, e saggio
     192Dalla morte al gioir faccia passaggio.

Mentre dicea, dall’innocenti ciglia
     Fuor traluceva un non so che celeste,
     Sicchè del crudo re l’empia famiglia
     Non osava fornir l’opre funeste.
     Tutti ripieni il cor di maraviglia
     Teneano inverso il suol chine le teste,
     E tratti a quel parlar fuor di sè stessi,
     200Motto non fean, da riverenza oppressi.

Tacquesi alquanto, indi il sermon primiero
     Segue il gran Santo ammaestrando, e dice;
     Appianate le vie; dritto sentiero
     Apprestate al Signor, mentre vi lice:
     Perchè tanto travia l’uman pensiero?
     La scure è già del tronco alla radice:
     Albero, che a’ suoi di frutto non rende,
     208Esca farassi al fin di fiamme orrende.

Qual core infra Giudei cotanto obblia,
     Che del vecchio Abraam non si rammenti?
     Cai rivelato fu, che alto Messia
     Sorgerebbe a salvar tutte le genti;
     Scampo sì desiato, opra sì pia
     Scorgono finalmente oggi i viventi;
     Scorgono il Sol della Giustizia apparso,
     216Ne di pietà, nè di salute è scarso.

Più dir voleva, e con parole accese
     Di quegl’iniqui consigliare i cori
     A penitenza; ma suo dir contese
     Il demon sorto dagl’inferni ardori,
     Per darlo a morte ei su nell’aria prese,
     Fingendo umane membra, uman colori,
     Ed apparve a Fineo di Galilea,
     224Del re le guardie, ei capitan, scorgea.

Or di costui col crine orrido e folto,
     Rosso qual fiamma, e con quegli occhi sparsi
     Di varie macchie, ed in gran parte il volto
     Ingombrato di pel, fece mirarsi,
     E di Soria tra belle sete involto,
     Manti non corti, e di molto or cosparsi;
     Cingea sulla sinistra aurato brando,
     232E minacciava, colà dentro entrando.

Con aspre note: or quale indugio? pronti
     Sête a servir per cotal via? mal nati,
     Fate ch’io veggia alzar coteste fronti,
     O che più meco mai vi veggia armati?
     Amate forse, che costui racconti
     Del vostro buon siguore onte e peccati?
     Porgete dunque a lui gli orecchi intenti?
     240Ah sucidume delle regie genti!

Orsù muova la man, vibri la spada,
     Se alcun di vera fè pregio diletta,
     E faccia, che il rio teschio in terra cada,
     Che con tanto desir dal re s’aspetta:
     Qual dove a traversare arsa contrada
     Sotto vampa di Febo aspe s’affretta,
     Che spande per furore, ond’egli è pieno,
     248Con alto sibilar foco e veneno;

Tal quel mostro d’inferno era a vedersi:
     Quinci l’orride turbe in rabbia andaro,
     E poco del demon men crude fèrsi,
     Sì di sdegno le vene empie infiammaro:
     Ma mosse il più crudel di quei perversi,
     E d’una lunga spada il largo acciaro
     Dal fianco scinge, e la si reca in mano,
     256E poco dal sant’uom fassi lontano.

Ei pronto a tralasciar la fragil vita
     Pon le ginocchia, e con sua man dislaccia
     I manti, e porge il collo alla ferita,
     Smarrito no, ma tutto franco in faccia.
     Allor con arte sua possanza aita
     Quell’empio, e lentamente alza le braccia,
     Poi rapide l’abbassa, e quanto puote
     264Sul collo innocentissimo percote.

Cadene il capo; e dell’immensa pena
     Segno non dà, nè del sofferto affanno,
     Ma lo solleva ivi caduto appena
     L’infame turba, ed indi al re sen vanno:
     Non giacque il busto sulla nuda arena
     Lunga stagion, che ove per fama il sanno
     I seguaci di lui, corser dolenti,
     272Ed al dovuto onor furo non lenti.

L’anima intanto, che dal carcer frale
     Del corpo, ove vivendo, ella si serra,
     Giva veloce, come augel sull’ale,
     Fu pervenuta a sua magion sotterra,
     Non già là dove inconsumabil male
     Sempre s’avanza, e dove orribil erra,
     E fa tremar la region profonda
     280Di Flegetonte infocatissim’onda.

Colà tra vampe d’infinito ardore
     Stridono gli empj; ma sotterra ascoso
     È luogo, ove non entra unqua dolore,
     Luogo di tranquilissimo riposo.
     Quivi, aspettando il ciel, traeano l’ore
     Adamo, Abramo e di Rachel lo sposo,
     E l’uccisor del filisteo gigante,
     288E mille altr’alme a Dio gradite e sante.

Non così tosto il gran Battista i passi
     Lucido pon sulle segrete soglie,
     Che ognun di quei ben nati incontro fassi,
     E con atti d’amor seco l’accoglie.
     Ei dopo l’accoglienze a narrar dassi,
     Che presso è l’ora, che l’inferno spoglie;
     Che il bramato Messia dal cielo è sceso,
     296E quinci ognun d’alta letizia è preso.