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278 poesie


Cotanto oltra ragion forse valore
     Non ha mia destra, che le stelle accese,
     Che termine del mar pose al furore,
     Di cori iniqui raffrenar l’imprese?
     S’egli è talmente, il vi dirà l’ardore
     Ch’in Pentapoli già fiero discese,
     E l’onda immensa che agli Ebrei s’aperse,
     64E che nel grembo Faraon sommerse.

Dirallo il re, che con gli armati Assiri
     I regni oppresse dell’ebreo Giordano,
     Quando dentro una notte, alti martiri,
     Tanti suoi spenti traboccâr sul piano,
     Io del gran ciel do movimento a i giri,
     Ho della terra i fondamenti in mano;
     Comando al Sol, che per cammin s’arresti,
     72Ed i suoi corsi al cenno mio son presti.

Degli alti monti, se a tonare io prendo,
     Le cime avvampo, e nell’abisso i mari
     Fo tempestosi, e tutta l’aria incendo,
     Non pur son forte a sostener miei cari:
     Ma quando in pena io gli abbandono; intendo
     Che sian per prova di virtù più chiari
     Nell’universo; e del martir sofferto,
     80Che lor si cresca la mercè col merto.

Ben di Giovanni l’ammirabil vita
     Incontrerà malvagità terrene,
     E dal busto la testa alfin partita,
     Fonti aprirà dall’innocenti vene;
     Ma traslato qua su, pace infinita
     L’aspetta in queste piagge alme e serene,
     Ove fuor d’ogni tempo ha da bearsi,
     88Nè di gloria i mortali a lui fian scarsi.

Ei d’ogni pregio mirerassi altero,
     Ovunque il mondo adorerà miei regni,
     E saran sulla Senna e sull’Ibero,
     Al suo nome inchinar pronti gli ingegni:
     Ma nella reggia, che ha dell’Arno impero
     Avrà d’onor più manifesti segni;
     E saran verso lui più caldi i petti,
     96E quinci del mio cor fian più diletti,

Non così l’empio; di miserie involto
     Andrà disperso, all’universo scherno,
     Vivendo Erode, e tra martir sepolto
     Traboccherà dentro l’incendio inferno
     Eternamente: io le preghiere ascolto
     Degl’innocenti; io le malizie scerno
     Di chi mi spregia e di giustizia è privo,
     104E tutto in seice ed in diamante io scrivo.

Qui tacque; e su nel ciel gli angioli santi
     Il sempiterno re pronti inchinaro,
     Poscia con atti di letizia i canti
     Della sua loda unitamente alzaro.
     Sonò l’Olimpo, e dove i rai fiammanti
     Vibra il Centauro, e dove Arturo è chiaro,
     E dove l’aureo Sol sue lampe accende,
     112E sonò, dove a sera in mar ei scende.

Qual sulla piaggia, e di Caístro al fiume,
     Allor che posa raddolcito il vento,
     Alzano i cigni dalle bianche piume
     Il tanto ad ascoltar caro concento;
     Tal per li regni dell’etereo lume
     Era ogni spirto a belle note intento;
     E tra suoi ceppi rivolgea non meno
     120A Dio il Battista alti pensier dal seno.

Quantunque delle membra il fragil peso
     Faccianlo a forza cittadin mondano,
     Ei col pensiero in sulle stelle asceso,
     Con la mente dal mondo erra lontano,
     Pensa tra sè, che in mille guise offeso
     È Dio, per poco predicato invano;
     Pensa, che il nome suo sì mal s’adora;
     128E quinci un giusto zel l’arde e divora.

Signor, dicea, di cui la man pietosa
     L’uom, che pose nel mondo il vi mantiene
     Con tante grazie; abbominevol cosa,
     Che a lui del tuo voler nulla sovviene;
     Che per sue rie vaghezze empio non osa?
     E come tua possanza a vil non tiene?
     Di che non s’arma ad oltraggiarti? E forse
     136Che sempre tua pietà non lo soccorse?

Quanto sono de’ messaggier profeti
     La voce a dichiarar l’alta promessa,
     Che un di giungendo al fin gli aspri divieti
     Strada da gire al ciel fora concessa?
     Ed oggi per fornir gli alti decreti
     Del Figlio apparsa e la persona istessa,
     Agnel di Dio, che fa quaggiuso albergo,
     144Le colpe altrui per tor sul proprio tergo.

Di sua pietà fan memorabil fede
     Immense prove: I già sepolti han vitaş
     Il zoppo affretta l’orme; il cieco vede;
     Nel duro inferno è sua parola udita:
     Ma qual di tanto amor tragge mercede?
     È sua mercè, sua maestà schernita;
     Lunghe bestemmie, dimostrargli il viso
     152Colmo di sdegno, e procurarlo anciso.

Veracemente delle fonti eterne
     Sprezza Giudea la desïabil vena,
     E dassi a fabbricar rotte cisterne,
     Ove può l’acqua raunarsi appena:
     E l’occhio tuo, che su dal ciel lo scerne
     Ira non turba? e la tua man ripiena
     Di mille lampi mirerassi senza
     160Un tuon per questi iniqui? O sofferenza!

In questo apria della prigion ferrata
     I varchi angusti, ed odiosa gente,
     Di vilissime spade il fianco armata,
     Ma cruda in atto e nel parlar fremente,
     Scorgea Grassarte: era a fatica entrata,
     Che del gran prigionier l’alma innocente
     Il tempo giunto del morir comprende,
     168E tutto franco a favellarne prende.

Alza la fronte in nulla parte oscura,
     E volge il guardo mansueto e chiaro,
     E non che sull’estremo aggia paura,
     Ma sembra, ch’il morir giungagli caro.
     Dice, o diletti miei quanti natura
     Pose nel mondo, o tutti a morte andaro,
     O che n’andran; di questa fragil carne
     176Il rio peso depor non dee turbarne.

Turbisi l’uomo; e di supremo orrore
     Seco stesso in pensar venga tremante,
     Che per farne giudicio il gran Signore
     Vuol, ch’ogni spirto gli si scorga avante:
     Se giusto visse, s’ebbe puro il core.
     Se furo l’opre a dio gradite e sante,
     Dell’alto ciel fia cittadin; se a schern
     184Ebbe la legge, abiterà l’Inferno.