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del chiabrera 279


L’Inferno è d’ogni pena empio ricetto,
     E d’ogni orribil mal: grazie divine
     Spargono su nel cielo ogni diletto,
     Ne l’un nè l’altro è per conoscer fine:
     Questo, o diletti miei, rivolga in petto
     Ciascun mortale, e se medesmo affine,
     Ben ripensando, e consigliato, e saggio
     192Dalla morte al gioir faccia passaggio.

Mentre dicea, dall’innocenti ciglia
     Fuor traluceva un non so che celeste,
     Sicchè del crudo re l’empia famiglia
     Non osava fornir l’opre funeste.
     Tutti ripieni il cor di maraviglia
     Teneano inverso il suol chine le teste,
     E tratti a quel parlar fuor di sè stessi,
     200Motto non fean, da riverenza oppressi.

Tacquesi alquanto, indi il sermon primiero
     Segue il gran Santo ammaestrando, e dice;
     Appianate le vie; dritto sentiero
     Apprestate al Signor, mentre vi lice:
     Perchè tanto travia l’uman pensiero?
     La scure è già del tronco alla radice:
     Albero, che a’ suoi di frutto non rende,
     208Esca farassi al fin di fiamme orrende.

Qual core infra Giudei cotanto obblia,
     Che del vecchio Abraam non si rammenti?
     Cai rivelato fu, che alto Messia
     Sorgerebbe a salvar tutte le genti;
     Scampo sì desiato, opra sì pia
     Scorgono finalmente oggi i viventi;
     Scorgono il Sol della Giustizia apparso,
     216Ne di pietà, nè di salute è scarso.

Più dir voleva, e con parole accese
     Di quegl’iniqui consigliare i cori
     A penitenza; ma suo dir contese
     Il demon sorto dagl’inferni ardori,
     Per darlo a morte ei su nell’aria prese,
     Fingendo umane membra, uman colori,
     Ed apparve a Fineo di Galilea,
     224Del re le guardie, ei capitan, scorgea.

Or di costui col crine orrido e folto,
     Rosso qual fiamma, e con quegli occhi sparsi
     Di varie macchie, ed in gran parte il volto
     Ingombrato di pel, fece mirarsi,
     E di Soria tra belle sete involto,
     Manti non corti, e di molto or cosparsi;
     Cingea sulla sinistra aurato brando,
     232E minacciava, colà dentro entrando.

Con aspre note: or quale indugio? pronti
     Sête a servir per cotal via? mal nati,
     Fate ch’io veggia alzar coteste fronti,
     O che più meco mai vi veggia armati?
     Amate forse, che costui racconti
     Del vostro buon siguore onte e peccati?
     Porgete dunque a lui gli orecchi intenti?
     240Ah sucidume delle regie genti!

Orsù muova la man, vibri la spada,
     Se alcun di vera fè pregio diletta,
     E faccia, che il rio teschio in terra cada,
     Che con tanto desir dal re s’aspetta:
     Qual dove a traversare arsa contrada
     Sotto vampa di Febo aspe s’affretta,
     Che spande per furore, ond’egli è pieno,
     248Con alto sibilar foco e veneno;

Tal quel mostro d’inferno era a vedersi:
     Quinci l’orride turbe in rabbia andaro,
     E poco del demon men crude fèrsi,
     Sì di sdegno le vene empie infiammaro:
     Ma mosse il più crudel di quei perversi,
     E d’una lunga spada il largo acciaro
     Dal fianco scinge, e la si reca in mano,
     256E poco dal sant’uom fassi lontano.

Ei pronto a tralasciar la fragil vita
     Pon le ginocchia, e con sua man dislaccia
     I manti, e porge il collo alla ferita,
     Smarrito no, ma tutto franco in faccia.
     Allor con arte sua possanza aita
     Quell’empio, e lentamente alza le braccia,
     Poi rapide l’abbassa, e quanto puote
     264Sul collo innocentissimo percote.

Cadene il capo; e dell’immensa pena
     Segno non dà, nè del sofferto affanno,
     Ma lo solleva ivi caduto appena
     L’infame turba, ed indi al re sen vanno:
     Non giacque il busto sulla nuda arena
     Lunga stagion, che ove per fama il sanno
     I seguaci di lui, corser dolenti,
     272Ed al dovuto onor furo non lenti.

L’anima intanto, che dal carcer frale
     Del corpo, ove vivendo, ella si serra,
     Giva veloce, come augel sull’ale,
     Fu pervenuta a sua magion sotterra,
     Non già là dove inconsumabil male
     Sempre s’avanza, e dove orribil erra,
     E fa tremar la region profonda
     280Di Flegetonte infocatissim’onda.

Colà tra vampe d’infinito ardore
     Stridono gli empj; ma sotterra ascoso
     È luogo, ove non entra unqua dolore,
     Luogo di tranquilissimo riposo.
     Quivi, aspettando il ciel, traeano l’ore
     Adamo, Abramo e di Rachel lo sposo,
     E l’uccisor del filisteo gigante,
     288E mille altr’alme a Dio gradite e sante.

Non così tosto il gran Battista i passi
     Lucido pon sulle segrete soglie,
     Che ognun di quei ben nati incontro fassi,
     E con atti d’amor seco l’accoglie.
     Ei dopo l’accoglienze a narrar dassi,
     Che presso è l’ora, che l’inferno spoglie;
     Che il bramato Messia dal cielo è sceso,
     296E quinci ognun d’alta letizia è preso.