Idilli (Teocrito - Romagnoli)/XIV - L'innamorato di Cinisca
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XIV
L’INNAMORATO DI CINISCA
PERSONAGGI
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eschine
Tanti saluti al nostro Tïònico!
tiònico
Grazie, altrettanto,
Eschine! Non ti si vede da un secolo!
eschine
È vero.
tiònico
E che guaio
t’è capitato?
eschine
Malanni, malanni, Tïònico!
tiònico
Apposta
sei magro, hai quel po’ po’ di barba, ed i ricci arruffati.
Un pitagorico è giunto da poco, a te simile: giallo
e senza scarpe ai piedi. D’Atene diceva.
eschine
Anche quello
innamorato?
tiònico
Sí, ma, secondo me, di pagnotte.
eschine
Tu scherzi! Io passo un mondo di guai per la bella Cinisca.
Un giorno o l’altro, pazzo, divento. Ci manca un capello.
tiònico
Sempre lo stesso! Adesso flemmatico, poi tutta furia,
vorresti tutto a verso... Ma di’ questa nuova sciagura.
eschine
Io con l’Argivo, e con Api cozzon di Tessaglia, stavamo
nel mio fondo, a trincare. C’era anche Cleònico. Avevo
tirato il collo a due pollastri, sgozzato un porcello,
spillato un vin di Biblo che aveva quattro anni, odoroso
come se lí per lí fosse uscito dal tino. E lumache
c’erano, e porri. Era dolce quel bevere. E bevi e ribevi,
si disse che ciascuno potesse trincarne del pretto,
alla salute di chi volesse; ma il nome dicesse.
Tutti bevemmo e dicemmo. Ma lei, sebben fossi presente,
zitta. Ci pensi che cuore fu il mio? Le disse uno, scherzando:
«Non parli? Hai visto il lupo?» — e lei: «Quanto sei spiritoso!»;
ed arse, che al suo viso potevi anche accendere un lume.
C’è un Lupo, un Lupo c’è, figliuol del vicino mio Raffa,
flaccido, spilungone, che molti ritengono bello;
e per quel tomo ha presa Cinisca una cotta famosa.
Ed anche a me n’era giunto già qualche susurro; ma io
non ero andato in fondo: e sí, che la barba l’ho messa!
Già tutti quanti si stava piombando giú giú ne la sbornia,
quando il cozzone maligno comincia a cantare un motivo
tessalo: Lupo mio! — E come Cinisca lo sente,
scoppia in un pianto dirotto. Pareva una bimba di sei
anni, che fiotta, che in braccio vuol essere presa da mamma.
Tu mi conosci, Tïònico! Un pugno, due pugni le sferro
qui sulla faccia; e lei raccoglie il suo scialle, e si slancia
fuor dalla porta, di corsa. «Malanno che sei, non ti piaccio?
Un altro porti in cuore piú dolce di me? Va’ da lui,
covalo! Lagrime piangi per lui piú grosse di mele!» —
La rondinella, poiché dato ha da beccare ai pulcini,
súbito vola via, veloce, a cercare altro cibo.
Ma piú veloce quella balzò dalla morbida sedia,
via pel vestibolo, via per l’uscio, a piacere dei piedi.
Come dice il proverbio? Da quel giorno è uccello di bosco.
Venti giorni; poi otto; poi nove; poi contane dieci:
altri undici: altri due: due mesi da che siam divisi!
Neppur sa che i capelli rapati mi sono alla tracia.
Ora non c’è che Lupo. Per Lupo la porta è dischiusa
anche la notte: noi non si conta, di noi non si parla:
per noi non c’è che sprezzo: siam l’ultima ruota del carro.
Se discacciar potessi l’amor, tutto andrebbe pel meglio.
Ma dove? Come dice? Il topo incappò ne la pece.
Io non so che rimedio ci sia per l’amore infelice:
Simo però, mio compagno d’infanzia, che amava la figlia
di Battibronzo, guarí facendo un viaggio di mare.
Anch’io navigherò per mare. Vo’ fare il soldato:
né l’ultimo, né il primo: sarò come tanti e tanti altri.
tiònico
Eschine, tutto come desideri avvenga. Se proprio
reputi che per te valga meglio lasciare la patria,
patti migliori d’ogni altro pei liberi fa Tolomeo.
eschine
Ed anche in tutto il resto sovrano è migliore d’ogni altro?
tiònico
Fine di mente, all’amore proclive, amico a le Muse,
tutto dolcezza, conosce chi l’ama, piú ancor chi non l’ama,
molto regala a molti, pregato non sa rifiutare,
come s’addice ad un re: ma chiedere troppo non devi,
Eschine caro. — E dunque, se proprio ti va, d’affibbiarti
Il saio militare su l’omero destro, ed hai cuore
saldo sui pie’, la furia sfidar d’un guerriero, al piú presto
fila in Egitto. Se guardi le tempie, s’è tutti vecchiotti;
e il tempo già s’appressa, per renderle bianche, alle guance.
Se c’è da far qualcosa, si faccia finché siamo in gamba.
Nota
XIV
L’INNAMORATO DI CINISCA
È il medesimo tèma dei «Mietitori»: un duetto fra un sentimentalone innamorato fradicio, e uno scorbellato che, piú o meno benevolmente, lo piglia in giro. Ma cambia il luogo: non siamo piú in mezzo all’aria fiammea d’un meriggio in campagna; bensí in città: non abbiamo un idillio campestre, bensí un mimo.
Per la precisione e la vivacità della pittura, che tutti potranno ammirare senza bisogno di cartellini indicatori, questo idillio, che è una vera commedia in iscorcio, è forse superiore agli stessi «Mietitori». Peccato che proprio nella fine sia deturpato da una macchia, non alessandrina, ma anche piú brutta: la cortigianeria. La troviamo qui in Teocrito per la prima, e purtroppo, non per l’ultima volta.