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IDILLIO XIV 99

alla salute di chi volesse; ma il nome dicesse.
Tutti bevemmo e dicemmo. Ma lei, sebben fossi presente,
zitta. Ci pensi che cuore fu il mio? Le disse uno, scherzando:
«Non parli? Hai visto il lupo?» — e lei: «Quanto sei spiritoso!»;
ed arse, che al suo viso potevi anche accendere un lume.
C’è un Lupo, un Lupo c’è, figliuol del vicino mio Raffa,
flaccido, spilungone, che molti ritengono bello;
e per quel tomo ha presa Cinisca una cotta famosa.
Ed anche a me n’era giunto già qualche susurro; ma io
non ero andato in fondo: e sí, che la barba l’ho messa!
Già tutti quanti si stava piombando giú giú ne la sbornia,
quando il cozzone maligno comincia a cantare un motivo
tessalo: Lupo mio! — E come Cinisca lo sente,
scoppia in un pianto dirotto. Pareva una bimba di sei
anni, che fiotta, che in braccio vuol essere presa da mamma.
Tu mi conosci, Tïònico! Un pugno, due pugni le sferro
qui sulla faccia; e lei raccoglie il suo scialle, e si slancia
fuor dalla porta, di corsa. «Malanno che sei, non ti piaccio?
Un altro porti in cuore piú dolce di me? Va’ da lui,
covalo! Lagrime piangi per lui piú grosse di mele!» —
La rondinella, poiché dato ha da beccare ai pulcini,
súbito vola via, veloce, a cercare altro cibo.
Ma piú veloce quella balzò dalla morbida sedia,
via pel vestibolo, via per l’uscio, a piacere dei piedi.
Come dice il proverbio? Da quel giorno è uccello di bosco.
Venti giorni; poi otto; poi nove; poi contane dieci:
altri undici: altri due: due mesi da che siam divisi!
Neppur sa che i capelli rapati mi sono alla tracia.
Ora non c’è che Lupo. Per Lupo la porta è dischiusa
anche la notte: noi non si conta, di noi non si parla:
per noi non c’è che sprezzo: siam l’ultima ruota del carro.
Se discacciar potessi l’amor, tutto andrebbe pel meglio.
Ma dove? Come dice? Il topo incappò ne la pece.