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Presso i bagni d’Eurota ante le membra.
Ma nessuna era già senza difetto
D’Elena al paragon. Come il bel volto
Scopre l’alba nascente, allorchè sgombra
La veneranda notte, e cede il regno
All’albeggiante primavera il verno;
Tal fra noi l’aurea vergine splendea
Complessa, e grande. Qual de’ campi onore
S’erge filar di piante, o qual in orto
Cipresso, o qual destrier Tessalo al cocchio,
Tal essa in rosee carni è specchio e lume
Di Sparta. Nessun’altra ne’ canestri
Sì be’ lavori intesse, o in tela industre
Più ben ordito stame avvolto al subbio
Dalle lunghe gomitola recide.
Nessuna sì ben canta a suon di cetra
Cintia, e la Dea dal largo sen Minerva,
Com’Elena vezzosa, a cui negli occhi
Tutti gli Amor fan nido. O graziosa
Vergin leggiadra, or se’ matrona omai.
Noi sul mattin correndo ai prati erbosi
Tesseremo odorifere ghirlande
Di te ben ricordevoli, siccome
Agnelline di latte disiose
Della materna poppa. A te noi prime
Intrecciando corona d’umil loto
L’appenderemo a un platanetto ombroso.
Righerem prime con vasel d’argento
A te l’ombroso platano d’unguenti;
E di doriche note incideremo,
Perchè le legga il passeggier, la scorza:
„Fatemi onor: son d’Elena la pianta.
Salve, o sposa, e tu, sposo, a cui la sorte
Sì gran suocero diè. L’alma Latona
De’ figli allevatrice a voi conceda
Egregia prole, e la Ciprigna Dea