I naviganti della Meloria/5. La galleria sotterranea
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V.
La galleria sotterranea.
Al comando dato dal dottore, il cavo fu subito tagliato ed il battello, dopo d’aver girato qualche po’ su se stesso urtando contro la parete, si sentì trascinato da quel fiume sotterraneo che scorreva da levante a ponente, rumoreggiando cupamente sotto le vôlte della gigantesca galleria.
Il signor Bandi, in piedi a prora, con una torcia in mano, guardava con stupore quell’opera meravigliosa, dovuta al genio dell’ardito capitano della repubblica genovese, mentre i suoi compagni, in preda ad una crescente ansietà, ad un vero terrore, si guardavano in viso l’un l’altro come per chiedersi se era vero che si trovavano sepolti nelle viscere del suolo e come avevano avuto tanto coraggio.
Quelle tenebre addensate nel canale, a malapena rotte dalla fumosa torcia del dottore, quei muggiti sordi della corrente sotterranea, che l’eco raddoppiava, non erano certamente cose da incoraggiare quegli uomini già per natura superstiziosi. Erano appena partiti e si credevano ormai lontani mille miglia dalla crosta terrestre, perduti negli abissi paurosi del globo.
Solamente il dottore non aveva perduto un atomo del suo sangue freddo. I suoi sguardi continuavano ad osservare ora le vôlte ed ora il fiume sotterraneo con crescente meraviglia, chiedendosi per la millesima volta come mai quel capitano era riuscito a condurre a termine quel prodigioso lavoro.
— È splendido, superbo! — esclamò ad un tratto, rompendo il silenzio pauroso che regnava nella scialuppa. — Non avrei mai creduto che gli uomini potessero riuscire a compiere un simile lavoro, considerata specialmente l’epoca in cui venne eseguito.
«Tutto mi sarei atteso, ma giammai una simile opera, degna solamente dei Romani.
— Superba finchè volete dottore ma, per centomila merluzzi!... Io non so cosa sia, vi giuro signore che comincio a sentirmi indosso certi brividi che possono essere prodotti dalla paura — disse padron Vincenzo. — Non avrei mai supposto che l’oscurità potesse produrre questi effetti.
— Voi aver paura, Vincenzo? — disse il dottore, sorridendo.
— Ve lo giuro.
— Credevo solamente che lo stupore vi avesse legata la lingua. Non trovate meravigliosa, incredibile quest’opera?
— Non dico il contrario, però questi muggiti, queste tenebre, questo fiume che ci trascina...
— È l’impressione del primo istante, Vincenzo; ben presto passerà.
— E se dovesse durare sempre, dottore? — chiese il pescatore, celiando.
— Vorreste forse ritornare?
— Ah! No, dottore!...
— Allora avanti!... D’altronde questo viaggio non dovrà durare molto. Se la velocità della corrente non scema, noi giungeremo presto alla Spezia. Prima però di cominciare il viaggio, sarei curioso di sapere dove sbocca l’estremità di questo canale e sapere da dove viene questo fiume.
— Volete rimontare la corrente, signore?
— Sì, per sapere in quale punto della laguna veneta finisce.
— Ai remi, giovanotti — comandò padron Vincenzo.
I due pescatori non si fecero ripetere l’ordine e si disposero l’uno a babordo e l’altro a tribordo, remando con delle corte pagaie onde non danneggiare, in qualche modo, i bordi del leggero battello.
«Prima però di allontanarsi, il dottore pregò padron Vincenzo di gettare lo scandaglio e poi di misurare la larghezza della galleria, volendo accertarsi se quel passaggio avrebbe potuto servire anche ad una delle grosse navi moderne.
Lo scandaglio diede una profondità di dodici piedi e la galleria una larghezza di ventiquattro metri.
— Quale importanza strategica potrebbe avere questo canale — disse il dottore, il cui stupore aumentava sempre. — L’Adriatico ed il Tirreno uniti da questo fiume sotterraneo!... Genova e Venezia a così breve distanza l’una dall’altra con Spezia allo sbocco!... Quale mirabile uomo quel capitano!...
— Lo trovate adunque così importante questo canale? — chiese padron Vincenzo, che in fatto di strategia non capiva un’acca.
— Ma pensate quale valore avrebbe nel caso che scoppiasse una guerra contro l’Italia!... La sua armata, per mezzo di questo canale, in ventiquattro ore potrebbe trovarsi improvvisamente o nel Tirreno o nell’Adriatico, pronta a difendere Genova, Spezia, Venezia ed Ancona senz’essere obbligata a fare il giro dell’intera penisola e quello che più importante, senza poter essere in alcun modo veduta e bombardata.
— Potrebbero passare le moderne corazzate?
— E perchè no?... Basterebbe privarle degli alberi, diventati ormai inutili ed abbassare le ciminiere. L’acqua è sufficiente per le grosse navi e anche l’ampiezza del canale è tale da permettere il passaggio a qualsiasi vascello per quanto grosso possa essere.
— E quale credete che sia stato il motivo che spinse il capitano Gottardi a intraprendere una così gigantesca costruzione?
— Non certo quello di giovare a Genova ed a Venezia, non esistendo in quell’epoca un regno d’Italia. Io ritengo come già vi dissi, che ve lo avesse spinto il desiderio di poter far sorprendere la repubblica veneziana, acerrima e pericolosa avversaria, di quella genovese.
— Quale duro lavoro pei negri arruolati dal capitano!
— Tremendo senza dubbio.
— E per otto lunghi anni!... Quale invidiabile costanza!...
— Vedremo però se tutto il lavoro sarà stato compiuto dalla mano umana.
— Cosa volete dire, dottore?
— Che il capitano può aver trovato anche qualche galleria naturale. Vedremo in seguito se questa mia supposizione sarà vera. Oh!...
— Cosa avete, dottore?
— Mi sembra che la corrente sia diventata più debole, Vincenzo.
— È vero, signore — dissero Michele e Roberto.
— Come va questa faccenda? — si chiese padron Vincenzo.
— La cosa mi sembra spiegabilissima — disse il dottore. — Certamente il flusso ed il riflusso devono entrarci per qualche cosa.
— Allora questa galleria deve finire direttamente in mare.
— Almeno lo suppongo: avanti, ragazzi!... L’Adriatico non deve essere lontano e già indovino la direzione della galleria e anche il suo sbocco.
— Dove supponete che termini?
— Presso Brondolo se le nostre bussole sono esatte.
— Sono esattissime, dottore.
Il battello spinto dalle vigorose braccia dei due pescatori, s’avanzava velocemente, tanto più che la forza della corrente continuava a diminuire.
La galleria si manteneva sempre eguale; solamente la natura della roccia pareva che si fosse cambiata. Mentre nei pressi della caverna le pareti sembravano formate da un impasto di sabbia, di lapilli e di ceneri vulcaniche, ora erano composte di travertino ossia di tufo calcareo, facilmente attaccabile, non presentando molta resistenza.
Sulle vôlte, vôlte molto ineguali e di frequente male livellate, l’umidità, mescolandosi al tufo, aveva creato un numero infinito di stalattiti, le quali pendevano come giganteschi aghi o come i denti d’un pettine infinito.
Ve n’erano di grosse come i tubi d’un organo, di sottili come cannelli, di lisce, di bitorzolute e qualche volta talune trasparenti come se fossero di vetro. Alcune erano così lunghe che toccavano il canotto, ma erano così fragili che si spezzavano al menomo urto, cadendo con sordo rumore.
La scialuppa aveva già percorso circa due miglia, ora accostandosi ad una parete ed ora all’altra, quando in lontananza, fra le tenebrose acque, si videro apparire bruscamente delle linee che parevano di fuoco ed un numero infinito di punti luminosi che si agitavano in tutte le direzioni, ora spegnendosi ed ora riaccendendosi.
Michele e Roberto, sorpresi ed anche spaventati da quello strano quanto inatteso spettacolo, avevano cessato di remare.
— Non vedete, signor dottore! — avevano esclamato entrambi, con un certo tremito nella voce.
Il signor Bandi che in quel momento volgeva le spalle alla prora, intento ad osservare la bussola che padron Vincenzo gli mostrava, si volse vivamente e non potè frenare una esclamazione di meraviglia.
— Splendido!...
— Per mille merluzzi!... Cosa succede laggiù? — chiese padron Vincenzo, impallidendo.
— Una cosa semplicissima — rispose il dottore.
— Che sia Belzebù che prende un bagno in queste tenebrose acque?
— Il tuo Belzebù non ha niente da fare qui — rispose il dottore, ridendo. — Non si tratta che di una magnifica fosforescenza marina. Guardate, Vincenzo!... Forse mai ne avete veduta una eguale nel nostro Adriatico.
Lo spettacolo infatti era meraviglioso. Pareva che quel fiume, rinchiuso nelle viscere delle terra, fosse stato improvvisamente tramutato in una corrente d’argento fuso o di zolfo liquido.
Quelle acque poco prima nere come l’inchiostro, scintillavano vivamente sotto le oscure vôlte dell’immensa galleria. Ora la superficie brillava come se fosse coperta da un drappo intessuto d’argento, ora pareva che ondate di pece ardente o di bitume scorressero sotto, salendo dal fondo del canale; ed ora getti di fuoco che guizzavano in tutte le direzioni, come se dei veri lampi si sprigionassero dalle viscere della terra o se montassero, da mille crepature, degli sprazzi di lave infuocate.
Talora quella luce bruscamente si spegneva in un punto, per riaccendersi in un altro e si vedevano correre fra le acque oscure, nembi di scintille o delle palle azzurre o rosee che somigliavano a vere lampade elettriche.
— Bello, splendido, superbo!... — ripeteva il dottore. — Quale contrasto con l’oscurità che regna sopra di noi!
— Credete realmente che quella fosforescenza sia prodotta da miriadi di pesci, proprio come avviene in mare? — chiese padron Vincenzo, che stentava a non vederci, in quel semplice fenomeno, almeno la coda di Belzebù.
— Quando saremo vicini ve ne persuaderete.
— E vedremo dei pesci?
— Certamente, Vincenzo.
— Hum!...
— Incredulo!... Vedrete che ci prepareremo anche una deliziosa cena. Avete portato con voi almeno una rete?
— Ho una fiocina, dottore.
— Basterà.
— E che pesci volete che ci siano qui?
— Quelli del Mediterraneo e fors’anche dell’Adriatico — rispose il dottore. — Guardate, vedo laggiù certi palloni lucenti che mi sembrano dei pesci-luna.
— Poco buoni, signor Bandi. Preferisco le orate.
— Però non li lasceremo scappare.
— Oh no!... In mancanza di meglio si mangiano anche i pesci-luna. Vi è però una cosa che non comprendo.
— Spiegati.
— Perchè devono essersi qui riuniti tanti pesci, mentre finora non ne abbiamo veduti?
— Perchè forse laggiù il canale è chiuso, Vincenzo.
— Sicchè non potremo andare oltre.
— Ve lo dirò più tardi con maggior certezza. Ohe! Giovanotti, allungate un po’ la battuta!
La scialuppa, spinta vigorosamente innanzi, giunse ben presto fra le acque fosforescenti, facendo spruzzare dinanzi la prora miriadi di punti luminosi che dovevano essere prodotti da enormi agglomerazioni di nottiluche, piccolissimi organismi marini dei quali non si sa ancora esattamente se di natura più animale o vegetale e che hanno la forma di una pesca, munita d’una appendice membranosa.
L’acqua, tutta all’intorno, pareva d’argento come se in fondo al canale vi fossero state collocate delle lampade elettriche. In mezzo a quei vividi bagliori, dei pesci nuotavano proiettando a destra ed a sinistra degli sprazzi di luci diverse.
Abbondavano soprattutto le meduse, le pelagie nottiluche, le berenice rosee e le ciclofore, graziosi molluschi che sembrano formati di albume d’uovo o di sottilissima madreperla e che rassomigliano vagamente agli ombrelli aperti, ma che hanno delle splendide tinte azzurrognole o rosee o verdognole.
Ve n’erano delle centinaia e si lasciavano trasportare mollemente dalla corrente, come palloncini luminosi abbandonati alla superficie d’un fiume.
Non mancavano però le pennatule, le lucernarie sfolgoranti di delicatissime tinte, nè tante altre specie di pesci proprie del Mediterraneo, nè i così detti pesci-luna, già prima segnalati dal dottore.
Anzi alcuni di questi grossi e rotondi abitatori del mare, vennero a volteggiare attorno alla scialuppa, agitando le loro lunghe pinne e mostrando i loro strani becchi.
Uno, più grosso di tutti, osò perfino alzare la testa fuori dall’acqua per meglio osservare padron Vincenzo che stava a prora, colla fiocina alzata, pronto a lanciarla.
— Pare che vi aspetti, Vincenzo — disse il dottore. — Giù un buon colpo.
Non aveva ancora finito la frase che già il pesce si contorceva sotto le punte acute della fiocina del pescatore.
Michele e Roberto avevano abbandonati i remi onde aiutare il fortunato e abilissimo pescatore.
Il pesce, quantunque già ripetutamente colpito e benchè perdesse sangue in grande abbondanza, faceva sforzi disperati per sottrarsi ai denti acuti della fiocina, ma Michele e Roberto l’avevano lestamente afferrato per le due lunghe pinne e tenevano fermo, non ostante le scosse disordinate che subiva la leggera scialuppa.
Quell’abitante dell’oscura galleria, era uno di più grossi pesci-luna che i pescatori avessero veduto fino allora. Pesava non meno di settanta chilogrammi e difficile, se non impossibile, doveva essere l’impresa d’issarlo a bordo con una scialuppa così leggera e dai margini così poco solidi.
I pesci-luna sono abbastanza numerosi nel Mediterraneo. Sono senza dubbio i più stravaganti nuotatori dei nostri mari, non avendo nè squame, nè code, ed essendo forniti d’una specie di becco somigliante a quello di certi uccelli, specialmente dei nostri frosoni.
Veramente non mancano totalmente della coda, ma l’hanno così breve che quasi non si scorge, avendo specialmente la parte posteriore del corpo rotonda invece di averla allungata come negli altri abitanti delle acque.
Somigliano, per forma, ad un grande disco panciuto al centro e sottilissimo ai margini, fornito di due grandi pinne verso l’estremità posteriore, che sembrano quasi le pale di un’elica; la pelle di quel disco, che è lucidissima, color dell’argento, è irta qua e là di tubercoli, di callosità e di punte. La bocca poi è assai curiosa. I denti, che si scorgono benissimo, non sono coperti dalle labbra e sono formati da lamine d’una sostanza candida che somiglia all’avorio, i quali, unendosi, formano una specie di becco.
La carne di questi pesci è generalmente poco apprezzata, essendo grassa ed impregnata d’un odore poco gradevole; però viene egualmente mangiata dai pescatori.
Sotto i colpi furiosi di padron Vincenzo, il grosso pesce aveva cessato di dibattersi. Una grande macchia di sangue si allargava attraverso le acque fosforescenti, offuscando gli sprazzi di luce che proiettavano le meduse e le nottiluche.
Padron Vincenzo, aiutato dai due pescatori, faceva sforzi prodigiosi per issare a bordo la preda; però non vi riusciva in causa dell’estrema leggerezza della scialuppa. Vi era il pericolo che si rovesciasse, e non era prudente esporvisi in quell’oscuro canale, privo di approdi.
— Accontentiamoci di tagliarne un pezzo per la cena — suggerì il dottore. — Non vale la spesa di perdere tanto tempo per un boccone così poco gustoso.
Il pescatore seguì il consiglio. Armatosi d’una scure, tagliò un largo brano nella parte posteriore del pesce e lo gettò nella scialuppa, abbandonando il rimanente agli abitanti acquatici del canale.
Pochi istanti dopo Michele e Roberto riprendevano i remi, spingendo rapidamente innanzi la scialuppa. La galleria tendeva a cambiare. Non era più così larga come prima, nè così regolare. Le vôlte di frequente si abbassavano e mostravano qua e là delle sporgenze e delle fenditure, mentre le due pareti a poco a poco si restringevano.
Pareva che la galleria dovesse da un istante all’altro finire. Certamente gli uomini che avevano intrapreso quel lavoro colossale, chissà per quali cause, si erano arrestati prima di aprire uno sbocco nelle acque dell’Adriatico.
Tuttavia per un’altra mezz’ora la scialuppa potè avanzare, poi, quasi tutto d’un tratto, il tunnel si restrinse talmente, da impedire il passaggio. Però non finiva ancora.
Una stretta galleria si prolungava ancora in direzione di Brondolo, secondo i calcoli del dottore, ma era così angusta da non permettere alla scialuppa d’inoltrarsi.
— Bisogna ritornare — disse il signor Bandi. — La nostra esplorazione verso l’est è finita.
— Per quale motivo questa galleria non è stata ultimata? — chiese padron Vincenzo.
— Solo il capitano Gottardi potrebbe dirlo, e siccome è morto da tanti secoli, sarà un po’ difficile poterlo interrogare — disse il dottore, ridendo. — Chissà! Forse non avrà osato spingere i lavori fino al mare per tema che i veneziani se ne accorgessero e s’impadronissero dello sbocco del canale.
— Credete però che questo tunnel cessi completamente qui?
— Io sospetto che qualche comunicazione possa avere colle acque dell’Adriatico. Sarà pero così stretta da non permettere l’accesso nemmeno ad un palombaro.
— Ritorniamo?
— Sì, Vincenzo. Ormai sappiamo che il canale va a terminare verso l’Adriatico; ora andiamo a vedere dove finisce verso il Mediterraneo. Coraggio, giovanotti!... Sarà una superba gita sotto la penisola.