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i naviganti della meloria 39

— Non certo quello di giovare a Genova ed a Venezia, non esistendo in quell’epoca un regno d’Italia. Io ritengo come già vi dissi, che ve lo avesse spinto il desiderio di poter far sorprendere la repubblica veneziana, acerrima e pericolosa avversaria, di quella genovese.

— Quale duro lavoro pei negri arruolati dal capitano!

— Tremendo senza dubbio.

— E per otto lunghi anni!... Quale invidiabile costanza!...

— Vedremo però se tutto il lavoro sarà stato compiuto dalla mano umana.

— Cosa volete dire, dottore?

— Che il capitano può aver trovato anche qualche galleria naturale. Vedremo in seguito se questa mia supposizione sarà vera. Oh!...

— Cosa avete, dottore?

— Mi sembra che la corrente sia diventata più debole, Vincenzo.

— È vero, signore — dissero Michele e Roberto.

— Come va questa faccenda? — si chiese padron Vincenzo.

— La cosa mi sembra spiegabilissima — disse il dottore. — Certamente il flusso ed il riflusso devono entrarci per qualche cosa.

— Allora questa galleria deve finire direttamente in mare.

— Almeno lo suppongo: avanti, ragazzi!... L’Adriatico non deve essere lontano e già indovino la direzione della galleria e anche il suo sbocco.

— Dove supponete che termini?

— Presso Brondolo se le nostre bussole sono esatte.

— Sono esattissime, dottore.

Il battello spinto dalle vigorose braccia dei due pescatori, s’avanzava velocemente, tanto più che la forza della corrente continuava a diminuire.

La galleria si manteneva sempre eguale; solamente la natura della roccia pareva che si fosse cambiata. Mentre nei pressi della caverna le pareti sembravano formate da un impasto di sabbia, di lapilli e di ceneri vulcaniche, ora erano composte di travertino ossia di tufo calcareo, facilmente attaccabile, non presentando molta resistenza.

Sulle vôlte, vôlte molto ineguali e di frequente male livellate, l’umidità, mescolandosi al tufo, aveva creato un numero infinito di stalattiti, le quali pendevano come giganteschi aghi o come i denti d’un pettine infinito.

Ve n’erano di grosse come i tubi d’un organo, di sottili come cannelli, di lisce, di bitorzolute e qualche volta talune trasparenti come se fossero di vetro. Alcune erano così lunghe che toccavano il canotto, ma erano così fragili che si spezzavano al menomo urto, cadendo con sordo rumore.

La scialuppa aveva già percorso circa due miglia, ora accostandosi ad una parete ed ora all’altra, quando in lontananza, fra le tenebrose acque, si videro apparire bruscamente delle linee che parevano di fuoco ed un numero infinito di punti luminosi che si agitavano in tutte le direzioni, ora spegnendosi ed ora riaccendendosi.