I naufragatori dell'Oregon/10. Abbandonati sul rottame
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CAPITOLO X.
Abbandonati sul rottame.
Bisognava affrettarsi. Il praho non era lontano che cinquecento passi e si preparava a virare di bordo per evitare la grande rupe e abbordare lo steamer a poppa, essendo questa la parte più bassa, in causa dell’inclinazione della carena verso quel lato.
Una parte del suo equipaggio si era collocata attorno al piccolo cannone di prua, come se quegli arditi corsari avessero intenzione di servirsene, prima di lanciarsi all’abbordaggio.
O’Paddy ed il malese scesero precipitosamente in coperta, dove i loro compagni li attendevano in preda a vive inquietudini. Avevano però impugnate le armi e tutti, Amely compresa ed il piccolo Dik che si era armato del suo piccolo fucile a due colpi, parevano pronti ad una difesa disperata, non ignorando che i pirati della Sonda ben di rado accordano quartiere ai vinti.
– Sono pirati? – chiese Held, muovendo incontro a O’Paddy.
– Sì, signore, e dei più pericolosi – rispose questi, con finta preoccupazione.
– Allora ci daranno battaglia?
– Vengono per saccheggiare il vascello e forse per massacrarci o farci schiavi.
– Sono molti?
– Siamo pochi in paragone a loro, ma avranno da fare se vorranno salire a bordo. Siamo decisi a resistere fino all’estremo.
– Ma abbiamo una donna ed un fanciullo.
– Non ho paura, signore – disse Amely con fierezza. – Mio padre mi ha insegnato a maneggiare il fucile e non esiterò a servirmene.
– Ed io me ne rido di quei ladroni – disse Dik. – Consideratemi come un uomo e vi assicuro che il mio fucile non mancherà, quando quegli uomini giungeranno a tiro.
– Vi credo, ma quei pirati non saranno soli, e respinti, torneranno più tardi con maggiori forze. Fortunatamente il mio malese conosce uno di quegli uomini e noi andremo ad offrire a quei pirati il possesso di questo rottame, a condizione che ci lascino sbarcare senza molestarci.
– Accetteranno? – chiese Held.
– Lo spero – disse O’Paddy.
– E se invece vi uccidono?...
– Penserete voi a vendicarci. Orsù, affrettiamoci e caliamo il gran canotto.
Si portarono sul cassero e fecero scendere in mare la scialuppa, servendosi dei paranchi della grue. O’Paddy ed il malese, entrambi armati di scuri e di fucili, vi presero posto.
– Volete che venga anch’io? – chiese il siciliano. – Vi assicuro che quei musi colorati non mi fanno paura.
– È inutile – disse O’Paddy. – Rimanete a guardia della signorina e del ragazzo. Se dovremo venire alle mani, fate tuonare il cannone ed i fucili.
– Se vedete che vi accolgono male, affrettatevi a poggiare verso di noi – disse Held.
– Non temete.
Quando la videro a trenta passi puntarono i moschetti mandando assordanti clamori. Pag. 71
Diedero mano ai remi e si diressero verso il praho che era ancora lontano duecento passi, non avanzandosi che con estrema prudenza, per paura forse d’una brutta sorpresa.
– Al cannone!... – gridò Held. – Se vengono assaliti, li difenderemo.
Lasciarono il cassero e salirono sul castello di prua ove trovavasi un pezzo da otto che serviva ad un tempo per segnali e per difesa. Il siciliano aveva già portate le munizioni e parecchie cariche di mitraglia. In brevi istanti il pezzo fu caricato, ed Held lo puntò sul praho, tenendosi pronto a spazzare il ponte con un uragano di ferraccio.
Amely e Dik erano saliti intrepidamente sulla murata, l’una armata di carabina e l’altro del suo piccolo fucile, risoluti a scaricare quelle armi contro i pirati.
Il praho, vedendo avanzarsi la scialuppa, si era messo in panna. Il suo equipaggio s’era affollato a prua, armato di moschetti e di parangs e si teneva pronto a respingere qualsiasi attacco. Pareva però più sorpreso che inquieto, per l’avvicinarsi della scialuppa montata da quei due soli uomini.
Quando la videro a trenta passi puntarono i moschetti mandando assordanti clamori, ma il malese balzò in piedi gridando:
– È Sunda-Matane che si prepara a fucilare Aier-Raja?
Allora Held ed i suoi compagni videro, con viva sorpresa, quei feroci pirati abbandonare le armi, mentre un vecchio colla pelle più cupa degli altri e colla capigliatura brizzolata, si sporgeva dalla prua, emettendo delle grida che parevano di gioia.
Poco dopo la scialuppa abbordava il praho a babordo ed il malese e O’Paddy salivano. Li videro gesticolare per alcuni minuti, poi sparire sotto l’attap.
– Che li uccidano? – chiese Amely, con trepidazione.
– Non lo credo – rispose Held. – Vorrei però sapere come quel malese conosce quei furfanti.
– Sarà stato un pirata anche lui – disse il siciliano. – La cosa non mi sorprende, poichè i malesi, chi più, chi meno, tutti hanno corseggiato il mare.
– È vero – rispose Held. – Quella razza di bricconi ha una passione spiccata pei ladroneggi, ma... mi pare che virino di bordo.
– Sì – confermò il soldato. – Cosa vuol dire ciò?... Che vogliano tenere come ostaggi il capitano ed il malese?...
– O che i nostri compagni siano stati uccisi? – chiese Amely, impallidendo.
– Faremo tuonare il cannone – disse Dik.
Il praho virava di bordo, ma non colla prua verso il vascello, ma verso terra, come se si preparasse a riguadagnare la baia.
Held s’appressò al cannone per essere pronto a mitragliare quei furfanti, e lanciò tre tuonanti chiamate:
– O’Paddy!... Aier-Raja!... O’Paddy!...
Il capitano uscì dall’attap e si spinse a poppa.
– Non temete – gridò.
– Dove andate?...
– Ci conducono dal capo dei Bughisi.
– A cosa fare?...
– Per trattare la nostra e la vostra liberazione.
– E dovremo rimanere qui?...
– Vi consiglio a rimanere.
– Ma vogliono tenerci prigionieri?
– No, mi reco dal capo per ottenere un praho e per farci trasportare a Timor.
– E se non vi vediamo più ritornare?
– Allora cercherete di giungere a Semmeridan; ma vi ripeto che non corriamo pericolo alcuno. Addio!...
Il praho aveva sciolte tutte le vele e navigava verso la baia con grande rapidità. In pochi istanti scomparve dietro ad un promontorio che s’allungava sul mare per un lungo tratto, formando una specie di penisola.
– Cosa succederà di loro? – si chiese l’olandese. – Dove li condurranno?... Io non so, ma questa partenza e la conoscenza di quel malese con quei pirati mi suscitano delle strane inquietudini.
– E quali, signor Held? – chiese Amely.
– Non saprei dirtelo, ma non sono tranquillo.
– Dubitereste di O’Paddy?...
– Non ne ho i motivi finora.
– Ha cercato ogni mezzo per salvarci.
– È vero, ma vi sono tanti bricconi nel mondo, ed ho udito a raccontare che tra la pirateria malese vi sono anche degli uomini bianchi. Temo di aver fatto male a raccontare a quell’uomo lo scopo del nostro viaggio.
– Scusate, signor Held – disse il soldato – ma se devo dirvi il vero, quel malese non mi è affatto simpatico, ed anche quell’O’Paddy, sbucato non si sa da dove, sempre in conciliabolo misterioso con quel suo servo color pan cotto, non mi va a sangue. Sarà un buon marinaio, sarà un abile capitano, ma non mi sembra franco.
– Cosa ci consigliereste di fare?...
– Di sbarcare più presto che si può e guadagnare la foresta. Di là potremo sorvegliare i pirati, i quali non mancheranno di ritornare per saccheggiare l'Oregon, e sorvegliare pure O’Paddy ed il suo malese.
– E se O’Paddy ritornasse con un praho e ci invitasse a imbarcarci?...
– Eravate diretti a Timor?...
– Sì.
– Per affari?...
– Per raccogliere un’immensa eredità, una cinquantina di milioni.
– Diamine!... – esclamò il siciliano. – Cinquanta milioni! E quell’O’Paddy lo sa?...
– Glielo dissi ieri.
– Ecco un’imprudenza, quando non si conoscono le persone.
– Ma non li abbiamo in tasca.
– Comprendo, ma... cinquanta milioni... un uomo lo sa e conosce dei pirati... Hum!... Non ci vedo chiaro in questa faccenda, signor Held, e vi consiglio di sbarcare.
– Ma non abbiamo alcuna prova per dubitare dell’onestà di O’Paddy.
– È vero, ma quando si devono incassare cinquanta milioni, le precauzioni non sono mai troppe. Se quei pirati lo sapessero, potrebbero tentare un ricatto e farci tutti prigionieri. Signor Held, lasciamo questo rottame e senza ritardo.
– Ma non abbiamo più la scialuppa.
– Costruiremo una zattera; al lavoro, signore.
S’armarono di scuri e si misero ad abbattere le cabine della coperta ed i pennoni che avevan servito di sostegno delle vele. Amely e Dik li aiutavano trasportando il legname sul cassero, avendo deciso di costruire la zattera presso la poppa, essendovi colà un piccolo bacino difeso dalle scogliere.
Quando parve a loro che il legname abbattuto fosse sufficiente, il marinaio si calò su di una roccia che la bassa marea aveva lasciata scoperta e cominciò a costruire il galleggiante, servendosi di chiodi strappati dalla coperta e di funi tagliate dai paterazzi e dalle sartie. Un’ora fu sufficiente per terminare il lavoro, dovendo quella zattera servire per un corto tragitto e sorreggere così poche persone.
A mezzodì, dopo una parca colazione, Held, Amely e Dik s’imbarcavano portando con loro le armi, le munizioni ed i viveri. Il siciliano, marinaio più destro di tutti, servendosi d’un rampone, spinse il galleggiante fuori dal bacino, cercando di evitare le scogliere.
Il mare era tranquillo al largo, ma fra quelle rocce e quei bassifondi s’accavallavano delle onde prodotte dalla risacca, le quali si frangevano con muggiti prolungati.
Fortunatamente la spiaggia era vicina, non distando che quattro o cinquecento passi. Puntando sui bassifondi coi ramponi, Held ed il soldato spingevano innanzi la zattera, mentre Amely e Dik si occupavano a tenere raccolte le armi e le provviste, le quali minacciavano di rotolare in acqua in causa dei continui trabalzi.
Tutte quelle scogliere e quei bassifondi erano cosparsi di molluschi della specie degli annaffiatoi, così chiamati perchè le conchiglie di quegli abitanti del mare somigliano in certa guisa allo spillo d’un annaffiatoio da giardiniere. Sono composti di una specie di tubo leggermente conico, chiuso alla sua estremità più ampia da un disco bucherellato e con una piccola fessura nel centro.
Si vedevano però anche numerosi granchi e moltissime ostriche di dimensioni straordinarie, poichè talune avevano perfino un diametro di trenta centimetri.
All’una la zattera, dopo d’aver corso parecchie volte il pericolo di sfasciarsi contro tutte quelle scogliere, si arenava dinanzi alla spiaggia, entro un piccolo seno racchiuso fra altissime rupi, sulle quali nidificavano migliaia di uccelli somiglianti alle rondini. Sopra quelle alture si scorgevano numerosi alberi che avevano delle foglie piumate e di dimensioni gigantesche: formavano il margine della grande foresta veduta da lontano.
Held ed il siciliano si caricarono dei viveri e delle munizioni, Amely e Dik delle armi e s’arrampicarono sulle rocce, mettendo in fuga tutti quei numerosi uccelli. Giunti sul ciglione, s’arrestarono ai piedi di un grande albero, il quale lanciava i suoi rami a quaranta metri d’altezza.
Dinanzi a loro si stendeva la foresta, ma così fitta che a prima vista pareva inaccessibile. Si scorgevano, uniti confusamente, coi rami intrecciati gli uni cogli altri, delle superbe arenghe saccarifere, specie di palme colle foglie piumate e assai lunghe, coperte da fibre solidissime somiglianti alle setole e che si adoperano per fabbricare stuoie e corde che resistono molti anni anche in acqua; dei sontar, altre specie di palme delle cui foglie anticamente si servivano i popoli indo-malesi per incidervi sopra le parole; dei banani chiamati dai malesi pisang, le piante più belle della vegetazione tropicale, già cariche di pesanti grappoli di frutta d’uno splendido giallo-oro; di mangostani, alberi alti come i nostri ciliegi e che producono le frutta più squisite che immaginare si possa, che si fondono in bocca come un gelato e che riuniscono gli aromi di mille gusti differenti, e ammassi immensi di cetting (strichnas tientè), arbusti arrampicanti dai quali si ricava un potente veleno che dà la morte in pochi istanti, producendo il tetano.
In mezzo a quelle piante volavano numerosi uccelli: delle colombe coronate, dalle splendide penne a riflessi verde-oro; degli argus, bellissimi fagiani, kakatue nere, pappagalli di varie specie colle penne gialle, rosse, azzurre, verdi e parecchie coppie di calaos o di tucani rinoceronti, bizzarri uccelli, grossi, robusti, colle penne nere sopra e bianche sotto ed il becco enorme in paragone della grandezza del corpo, lungo circa trenta centimetri, grosso assai, e sormontato superiormente da una specie d’elmetto terminante in una punta aguzza.
– Accampiamoci – disse il signor Held. – Dall’alto di queste rupi noi potremo sorvegliare il mare, ed in caso di pericolo, rifugiarci prontamente nella foresta.