I divoratori/Libro primo/V
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V.
Una notte, nella sua casa a Milano, il vecchio architetto Giacomo Tirindelli — lo zio Giacomo di Valeria — mise sbuffando e brontolando le brevi gambe fuori del letto, e andò nella camera di suo figlio Antonio per vedere se c’era.
Non c’era. Già, suo padre se l’aspettava! Ma non per ciò fu meno indignato al cospetto della stanza vuota e del letto intatto.
Accigliato e scrollando il capo andò alla finestra ed aprì le imposte. Milano dormiva. Deserta e silenziosa la via Principe Amedeo si stendeva davanti a lui; ogni alterno fanale spento indicava che la mezzanotte era passata. Un melanconico gatto traversò la via, rendendola più vuota con la sua presenza.
Lo zio Giacomo richiuse la finestra, e si diede a camminare in su e in giù nella stanza del figlio assente. Sulle pareti, sui tavoli, sul caminetto, sugli scaffali, stavano delle fotografie: Nunziata Villari, nella parte di «Teodora» in rigide vesti regali. Nunziata Villari nella «Cleopatra», vestita di soli gioielli. Nunziata Villari nella «Margherita Gauthier», in camicia da notte — o così parve ai torvi sguardi dello zio Giacomo. — La Villari da «Norah», la Villari da «Saffo», la Villari da «Francesca»... Più in là, in disparte, un ritrattino da ragazzetta guardava da una vecchia cornice, e sotto alla figuretta rigida, stava una dedica sbiadita: «Al caro Antonio, la sua cugina Valeria».
Lo zio Giacomo si fermò con un sospiro davanti al ritratto della sua nipote prediletta, ch’egli aveva un giorno sperato di chiamare figlia.
— Stolta creatura, — brontolò, fissando il gaio visino vacuo, — stolta creatura che è andata a sposare quel pover’uomo d’inglese, quando poteva invece sposare quel cretino ingrato di mio figlio!
Qui un altro profilo di Nunziata Villari gli saltò agli occhi, e poi ancora Nunziata Villari tutta capigliatura e sorriso...
Egli ebbe il tempo di imparare a memoria ogni lineamento di quella strana faccia ardente, prima che il portone di casa si aprisse e i rapidi passi di suo figlio echeggiassero sulla scala.
Antonio, che già dalla strada aveva visto il lume in camera sua, entrò con baldo sorriso.
— Ciao, papà! Perchè non sei a letto?
Accolse l’inevitabile contro-domanda con una scrollatina di spalle e un gesto d’ambe le mani un po’ meridionale (un gesto che piaceva tanto a Theodora!).
— Ma babbo mio! io ho ventitrè anni, e tu... no. — E battè con gesto affettuoso e irritante sulla spalla tonda di suo padre.
— «Jeune homme qui veille, vieillard qui dort, sont tous deux près de la mort», — citò suo padre, tetro e severo.
— Eh, babbo mio! — E Antonio rise (di quel suo riso arguto e sottile che Cleopatra trovava irresistibile!). — Se la vita è breve, che sia almeno bella! — E accese una sigaretta.
Giacomo fremeva. Aveva anche freddo ai piedi, e la sua veste da camera gli era stretta. Suo figlio, gaio e soddisfatto di sè, lo esasperava.
— Non ti vergogni? — disse additando drammaticamente le file di fotografie. — Quella vecchia commediante cinquantenne...
— Scusa, — trentottenne! — corresse Antonio, mettendosi a sedere nell'unica poltrona.
— Una marionetta, un'arlecchina, che ogni facchino di piazza può andare a contemplare a piacer suo per cinquanta centesimi! Una donna di cui il marito, piuttosto che starle vicino, è scappato in capo al mondo...
— Scusa, in America, — interpose Antonio.
— ... colla cuoca! — E lo zio Giacomo emise un grugnito d'indignazione.
— Temo infatti che Nunziata faccia una esecrabile cucina, — disse Antonio, inarcando le sopracciglia e sporgendo le labbra per soffiarne il fumo a cerchietti (nella maniera che Phaedra trovava così suggestiva!).
— Insomma, basta così, — disse suo padre. — Sono venuto per dirti che partiamo domani per l'Inghilterra. Régolati.
— Per l'Inghilterra? Domani? Ma cosa dici? — Antonio era scattato in piedi. — Ma tu sei matto, babbo mio! O fai per scherzo?
Come vide che suo padre aveva l'aria poco scherzosa, continuò, agitato:
— Ma cosa ti viene in mente di voler andare in Inghilterra?
Giacomo tentennò l'irta testa arruffata.
— Ho telegrafato avant'ieri; dopo un certo discorso che mi ha tenuto tua cugina Adele...
— Quella viperetta gelosa, — mormorò Antonio.
— ... Sul conto di questa... Signora, — e Giacomo accennò col mento alle inconscie ed arridenti Nunziate Villari. — Ho telegrafato, come dico, a Hertfordshire, dicendo a tua cugina Valeria...
— Ah! Valeria! adesso capisco, — disse Antonio con un risolino sarcastico.
— Precisamente. Ho telegrafato a Valeria che venivamo a trovarla. Ed ella ha risposto che ne era felicissima, e che sua suocera ne era felicissima, e che tutti erano felicissimi. Dunque partiamo. E subito. E staremo in Inghilterra tre mesi, sei mesi, dieci anni, finchè non ti sarà passata questa mattana.
— Sì, sì; tu pensi ancora a Valeria, lo so, — disse Antonio ridendo. — Oh, babbo, babbo! sei un incorreggibile sognatore! Non è mai stato che un sogno quel tuo desiderio di tanti anni fa. Valeria era tutt’occhi per il suo Inglese, allora. Ed ora che è morto sarà tutta lagrime per lui. Vedrai! — Si avvicinò alla corta ed irata figura paterna e gli mise un braccio intorno al collo. — Sta qui, papà, sta qui. Pensa al viaggio, come è incomodo. Resta e goditi la tua buona vita calma.
Ma suo padre non voleva saperne di restare nè di godere. Afferrò il suo candeliere e se ne andò crollando la testa e perdendo per via una pantofola, e facendo sgocciolare la cera per tutto il tappeto nel chinarsi a raccoglierla. Offeso e sdegnato se ne tornò a letto. Oh, per dio Bacco, finalmente leggerebbe in pace il suo «Corriere»!
Ma tuttavia stava in ascolto per sentire se la porta di casa si riapriva ancora.
Si riaprì.
Battevano le due del mattino quando Antonio svoltò per la via Monte Napoleone; e il portinaio del 37 lo fece aspettare dieci minuti prima di aprirgli la porta.
E Marietta lo fece aspettare quindici minuti sul pianerottolo prima di aprirgli l’uscio. E la signora lo fece aspettare quindici eternità prima di comparire, leggiadra e spaventata, drappeggiata in raso bianco, e coi capelli puntati «n’importe comment» — o quasi — sulla graziosa testa.
Antonio le prese le mani baciandole, premendole sui suoi occhi, dicendole che partiva domani! No, non domani! oggi, oggi stesso! tra poche ore, per sempre! per l’Inghilterra! per l’orribile, gelida Inghilterra! E lei, che cosa farebbe? lo tradirebbe? Sì, certo, lo tradirebbe! Perchè era una infame, perchè era perfida, e lui lo sapeva! Ed era meglio morire subito tutt’e due, e farla finita!
Nunziata gettò il piccolo grido della «Lucrezia», terzo atto, e si scostò da lui col brivido del secondo atto della «Marguerite Gauthier». E indietreggiò a scatti come nella «Fedora», e finalmente gli si precipitò sul petto come nella «Francesca». Gli sussurrò all’orecchio cinque parole. Poi lo mandò a casa. Chiamò Marietta che le sciogliesse i capelli, e Marietta le rifece la treccia, e mise via il resto che non occorreva, e le diede la lanolina per la faccia. E la signora si mise a letto come Nunziata Villari d’anni trentotto. Antonio ancora non turbava i suoi sonni.
Ma Antonio rifece la sua strada per le vie notturne, ripetendo come in sogno le cinque magiche parole: «Londra — in maggio — dodici rappresentazioni!» — Ed era marzo!
— Basta! — pensava Antonio, — in qualche modo vivrò durante questi atroci due mesi. Aber fragt mich nur nicht wie, — aggiunse tra sè; perchè sapeva abbastanza il tedesco per poter citar Heine nell’originale. Aveva anche letto la «Jungfrau von Orleans» per poterne parlare con la Villari quando studiava quella parte. La Villari amava discutere le sue parti con lui e si divertiva a provare su di lui gesti ed atteggiamenti che le dovevano poi servire in teatro. Egli non se ne avvedeva, e vibrava a tutte le fantasticherie di lei come vibra un violino che si tiene tra le mani, al suono d’un altro violino. Quando ella imparava la «Maria Stuarda» egli fremeva tutto di eroiche aspirazioni. Egli si sentiva trasformato in Roberto Dudley e sognava una vita eroica e un’epica morte.
Quando Nunziata si preparava ad interpretare «Clorinda», studiandosi di adottare linea e posa di quella celebre avventuriera, Antonio fu d’un tratto scettico e corrotto, e per tre settimane suo padre tremò e soffrì, vedendolo passar le notti fuori di casa, e udendo dire che giocava come un forsennato alla «Patriottica». E fu peggio quando la Villari studiò la «Messalina» assumendone, per esercitarsi, le teorie e le attitudini. Antonio ebbe allora un periodo di estrema demoralizzazione e di completo pervertimento. Ma durante le sei settimane in cui Nunziata cinse la sua mente dei candidi lini della «Samaritana», egli ridiventò spirituale e puro, rinunziò alla Patriottica, al gioco, alle notti scarlatte, e andò ogni mattina alla prima Messa in Duomo.
— Che strano figliolo siete voi! — gli disse la Villari. — Uno di questi giorni farete qualche grande sciocchezza. — Poi soggiunse, materna: — Perchè non lavorate?
— Non lo so, — replicò Antonio. — Forse perchè vivo in un ambiente falso. Non si ha tempo di far nulla. Dopo la trottata della mattina, è ora di colazione; e dopo colazione si legge, si fuma, si esce; poi è l’ora delle visite: la marchesa Dina vi aspetta ogni lunedì, la Navarro ogni martedì, la Della Rocca ogni mercoledì... e così via. Poi è l’ora di pranzo, e l’ora del teatro, e l’ora di andar a letto. Et voilà!
— Peccato! — disse la Villari, benevolmente materna, scordando per il momento di essere Messalina o Francesca o Fedora. — Non avete carattere. Siete buono; siete decorativo; non siete stupido. Ma avete, come si potrebbe dire, il naso fatto di pasta frolla, di pasta frolla cruda, che ognuno può prendere e far girare in qua e in là. Ahimè! Voi soffrirete molto; o farete molto soffrire. Ah sì, certo, farete soffrire... I nasi di pasta frolla, — soggiunse Nunziata gravemente, — sono fonti di pianto.
Lo zio Giacomo non era uno che avesse il naso di pasta frolla. Quindi, per quanto odiasse i viaggi, per quante cose perdesse nei treni e dimenticasse sui battelli, e per quanto la sua presenza fosse pressochè indispensabile nel suo studio dove si ammucchiavano progetti e disegni di ponti ed edifici, tuttavia egli aveva deciso di partire e partirebbe. Spedì sua figlia Clarissa, una personcina briosa e disinvolta, in un collegio a Bruxelles; disse addio alla sorella Carlotta e alla nipote Adele — e affannato e incollerito si arrampicò nel treno di Chiasso, seguito dall’imperturbabile Antonio.
Anzi Antonio pareva rallegrarsi del viaggio a tal punto, che suo padre, appena in treno, si chiedeva rabbiosamente perchè diamine fossero partiti! Che la storia narratagli da Adele riguardo all’infatuazione di Antonio per l’attrice fosse tutta una fandonia? Già le donne esagerano sempre! In ispecie Adele...
Giacomo osservava con ira crescente suo figlio.
Antonio dormiva, mentre lui stava sveglio. Antonio mangiava, mentre lui aveva nausea. Giunti a Folkestone, Giacomo, che non sapeva d’inglese che «rosbif» e «The Times», era frastornato e affranto. Ma Antonio, ilare e baldo, arricciandosi i baffetti, faceva occhi lunghi e languidi alle ragazze inglesi, che con rapido sorriso lo guardavano, e poi passavano in fretta, fingendo di non averlo veduto.