I divoratori/Libro primo/III

III

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III.

Il giovane biondo tornò ogni giorno alla pesca nel torrente, ma non pigliò altro che la sua grossa trota. La ragazza vestita di lutto, coi riccioli e le fossette, non venne più. Le vacanze finirono, ed egli se ne tornò a Londra; ma prima di partire lasciò sulla riva — là dove si erano incontrati — una lettera d’amore per Valeria, puntata a un lembo del crespo nero caduto dal cappello, e fissato con un sasso perchè non volasse via.

Valeria trovò la lettera. Ella era rimasta chiusa in casa una settimana, coll’anima invasa dal pentimento e dal ricordo di Tom. Poi la primavera e la sua giovinezza [p. 15 modifica] si erano dati la mano per attirarla fuori, verso l’ignoto e le chiamanti acque e i prati in fiore. Arrossente ed esitante, con un mazzo di primole alla cintura, ella aveva ritrovato il sentiero che va per i prati al ponte, e dal ponte al bosco di faggi... Ma nessuno la vide, eccetto un magro cavallo solitario in mezzo a un prato, che all’improvviso la rincorse, con la coda in aria e la criniera al vento, facendola rabbrividire di paura.

Giunta nel bosco scorse subito, vicino all’acqua, la garza nera e il biglietto che v’era appuntato. Lo lesse tremando. Egli diceva di chiamarsi Frederick Allen; studiava legge nel Temple e scriveva per i giornali. Le diceva inoltre che essa aveva degli occhi «haunting», e che ahimè! certo non si sarebbero riveduti mai più! Egli domandava se avesse poi ritrovato quel béby di cui il pensiero l’aveva tanto agitata; e dove mai era stato lasciato? e che béby era? E perchè, oh, perchè non s’era ella voltata neppure una volta per fargli un cenno d’addio? Egli la pregava di non adirarsi se egli si permetteva di dirle che l’amava, e che non la dimenticherebbe mai più. E che per pietà ella gli dicesse il suo nome! Soltanto il suo nome! Please! please. Ed egli era per sempre e per sempre il devoto suo Frederick.

Valeria tornò a casa come in sogno. Andò a cercare nel suo dizionario inglese-italiano la parola «haunting». La trovò: «ossessionante»!

Si sentì contenta di avere gli occhi ossessionanti. E lui, che occhi aveva? Non si ricordava più. Azzurri forse. Forse bruni.

In tutti i modi Valeria rammentava il suo viso, giovane e abbronzato; ed aveva pur notato, quando salutandola sul ponte s’era tolto il cappello, la lucentezza bionda della sua corta capigliatura.

Pensò dapprima che sarebbe bene rimandargli la lettera; senz’altro. [p. 16 modifica]

Poi decise di aggiungervi poche parole... oh! parole di rimprovero, s’intende! Infine, un giorno grigio e uggioso, in cui tutti parevano di cattivo umore, e il béby aveva strillato perchè voleva la Wilson e poi perchè non la voleva, e Edith aveva risposto male, e tutto era orrido e odioso, Valeria prese un foglio di carta da lettere e, con molte fitte di rimorso, vi tracciò sopra il suo nome. La carta era listata di nero. D’un tratto Valeria scoppiò in pianto, e cadde in ginocchio davanti al foglietto di carta, e ne baciò l’orlo nero, e pregò Dio e Tom che la perdonassero.

Poi bruciò il foglio, e andò dalla sua piccina, che gridava a squarciagola per tutto e con tutti, e cercava di uccidere una pecora di guttaperca, fino allora teneramente amata.

Tuttavia, nei primi giorni di aprile (era un aprile mite e suggestionante, che pareva susurrasse al cuore come sia dolce ed evanescente la vita) Mr. Frederick Allen, nelle sue «chambers», a Londra, ricevette due lettere invece di una sola.

Hannah, la petulante cameriera che gliele portò in camera, s’indugiò con aria distratta mentre egli le apriva. L’una conteneva uno chèque per sei ghinee mandatogli da un giornale; l’altra un semplice biglietto da visita:


— Valeria Nina Avory! Chi diavolo sarà? — disse Allen, girando il biglietto tra le mani. — Tieni, — disse, gettandolo con gesto trascurato a Hannah. — Questa sarà qualche modista di Regent Street o Piccadilly. Quando vorrai dei fronzoli, potrai andarci.

E, poichè aveva ricevuto le sei ghinee, mentre non se ne aspettava che quattro, sentendosi di buone umore, pizzicò il [p. 17 modifica] mento di Hannah, chiuse il libro di «Roman Law», e andò a passare la giornata, con un amico, sul Tamigi.

Hannah gettò il biglietto di visita nella secchia del carbone, e la cuoca all’indomani lo bruciò.

Ecco tutto.


Aprile portò alla bambina un piccolo dente.

Maggio gliene portò un altro, e le increspò sulla nuca i fini capelli.

Giugno le tolse i bavaglini e le diede un sorriso a fossette, copiato da quello di Valeria.

Luglio le mise sulle labbra una parola o due.

Agosto la piantò dritta ed esultante, con le spalle al muro; e Settembre la mandò coi piedini barcollanti a cadere nelle braccia tese della mamma.

I suoi nomi erano Giovanna Desiderata Felicita.

— Non posso tenere a mente tutti quei nomi, — disse il nonno. — Chiamatelo Tom.

— Ma nonno, è una bambina! — disse Edith.

— Lo so bene. Me l’hai già detto, mi pare, — disse il vecchio un po’ stizzito.

Da che v’era tanto chiasso in casa egli era diventato impaziente ed irritabile.

— Sì, caro nonno, sì, — disse la signora Avory, accarezzando dolcemente la mano del vecchio; — dirai tu il nome che preferisci. Quale è il nome di ragazzina che credi di poter tener a mente?

— Nessun nome. Nessuno affatto, — disse il vecchio.

— Suvvia, caro, suvvia! — disse la signora Avory. — Puoi ben ricordarti «Anna», non ti pare? o «Maria».

— No. Non posso, — disse il nonno.

Allora Edith suggerì il nome «Giulia». E Valeria propose «Camilla». E Florence, che stava mettendo la tavola, disse: [p. 18 modifica]

— Provino a fargli dire «Nellie» o «Katy»?

Ma il vecchio signore si rifiutò ostinatamente a ricordare qualsiasi di questi nomi; e continuò per molto tempo a chiamare la bambina «Tom».

Una sera, a tavola, disse improvvisamente:

— Dov’è Nancy?

La signora Avory ed Edith si guardarono trasalendo, e Valeria alzò gli occhi meravigliati.

— Dov’è Nancy? — ripetè il nonno, con impazienza.

La signora Avory gli pose teneramente una mano sul braccio.

— La povera Nancy è in Paradiso, — disse dolcemente.

— Come? — gridò il vecchio, gettando in terra il tovagliolo, e girando gli occhi spiritati intorno alla tavola.

— Pur troppo, la tua cara figlioletta Nancy è morta molti, molti anni fa, — ripetè la signora Avory.

Il vecchio si rizzò alto e fremente.

— Non è vero! — gridò con voce terribile. — Nancy era qui questa mattina. L’ho vista io. Mangiava la tapioca.

Le sue labbra tremarono e si mise a piangere.

Valeria scattò in piedi e uscì dalla stanza. Un istante dopo rientrò, portando tra le braccia la sua bambina che sgambettava nella lunga camicia da notte, e garriva come una rondinetta.

— Ecco Nancy! — disse Valeria con voce un po’ tremante.

— Ma sì! guarda, nonno, — gridò Edith, battendo le mani, — non piangere, nonno! Ecco Nancy!

E la signora Avory tutta pallida:

— Ma guarda, caro padre, ecco Nancy!

Il vecchio alzò i ceruli occhi e il suo sguardo lievemente appannato, come un vetro celeste su cui il tempo [p. 19 modifica] avesse alitato, incontrò e trattenne lo sguardo luminoso della creaturina novella.

A lungo, a lungo il vecchio interrogò con lo sguardo vacillante quelle limpide profondità. Poi disse lentamente:

— Ecco Nancy.

E béby fu Nancy da quel giorno in poi.