I confini necessari all'Italia/Il problema degli slavi e dei tedeschi

Il problema degli slavi e dei tedeschi

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Il problema degli slavi e dei tedeschi


I territori che saranno compresi entro il nuovo confine sono abitati da più di 2 milioni di abitanti, di cui quasi un milione italiani; circa 200 mila tedeschi (nell’Alto Adige), 400 mila fra sloveni e croati nella Venezia Giulia, e il resto croati della Dalmazia. Di serbi non esistono che circa un 60 mila in Dalmazia, esclusi quelli che abitando nei tre distretti meridionali di Cattaro, Ragusa, Metcovic passeranno quasi certamente alla Serbia.

Con tutto ciò il numero dei non italiani sarà rispettabile e abbastanza grave sopratutto per una nazione come la nostra che finora è stata la più compatta nazionalmente di tutta Europa. Ma ogni periodo storico presenta e risolve nuovi problemi, e se la seconda metà del secolo scorso segnò la vittoria del principio nazionale, il nostro secolo s'è iniziato appunto con il tentativo di trovar una soluzione per i territori dove s’intersecano e si confondono due o tre sfere d’influenza nazionale (etnica, linguistica, economica, politica), per le quali il principio mazziniano [p. 34 modifica]è una pura parola. Tanto più che le minoranze non italiane che l’Italia annetterà sono tutte (meno eccezioni trascurabili) bilingui, parlando esse correntemente e usualmente l’italiano. E l’Italia non può spaventarsi del suo compito, come non se ne spaventa la Francia per l’Alsazia e Lorena, nè la Germania per esse, per lo Slesvig, per la Polonia, nè la Russia, nè gli stati balcanici. Vuol dire che l’Italia dovrà compierlo seguendo una strada e una regola sua.

A me non spetta qui di trattare di ciò. Ma siccome la questione etnica è, fra altro, strettamente connessa a quella dei confini (poiché le nazionalità straniere abiteranno appunto nei punti più delicati della difesa nazionale) credo necessario dire in due parole il mio convincimento a questo proposito, tanto più che già alcuni hanno parlato di «dittatura militare» e di «assimilazione rapidissima».

Dunque: basandomi su tutto ciò che è avvenuto quasi sempre e quasi da per tutto, credo che una certa assimilazione, molto lenta, avverrà anche degli slavi e anche dei tedeschi, sopratutto tra quelli già ora misti nelle località dov’è una maggioranza o una forte minoranza italiana. I gruppi compatti però slavi (nell’interno della Dalmazia, dell’Istria liburnica, di Postumia, della valle dell’Isonzo) e tedeschi (nell’Alto Adige) manterranno magari per secoli la loro nazionalità, anche se in superficie saranno a poco a poco italianizzati. E anche ciò è avvenuto quasi sempre e quasi da per tutto.

In tutti i casi però se noi desideriamo che l’assimilazione avvenga e s’estenda il più possibile noi non dobbiamo far niente di artificiale per promuoverla. La [p. 35 modifica]volontà di snazionalizzazione è tanto bestiale e assurda che non solo non è riuscita mai in nessun posto, almeno nei tempi moderni, ma ha risvegliato di colpo e armato violentemente la necessità dell’irredentismo. Insegnino tutte le nazionalità che si credevano spente e non erano che oppresse nell’Austria, e insegnino la Polonia e l’Alsazia tedesche! Se noi vorremmo far diventare in breve i tedeschi e gli slavi regnicoli italiani, avremo subito in casa un grave irredentismo.

E allora come bisogna procedere? Non austriacamente, ma italianamente. Aver fede in noi e nella nostra capacità civile. Favorire in tutti i modi lo sviluppo economico dei paesi di confine, allacciandoli strettamente a noi coi vincoli dell’interesse e del benessere. Strade, ferrovie, industrie, commercio. Rispettare profondamente la loro nazione come facciamo coi francesi in val d’Aosta. Lasciare intatte le scuole nazionali, anche magari dov’esse sono anche oggi un non senso, trasformare in slavi-italiani gli istituti della Venezia Giulia che oggi sono o tedeschi o bilingui o trilingui. La scuola è sacra: e perciò è anche l’arma politica più tremenda. Soltanto che dovremo, anche per accondiscendere al desiderio certo degli slavi e dei tedeschi, insegnare l’italiano anche nelle loro scuole, molto abbondantemente. E dovremo permettere tutte le manifestazioni culturali slave e tedesche, magari favorendole. Ma impedire fin dal primo giorno, con decisa serenità, ogni moto politico.

Certo: il compito non è facile, ed è necessario che gl’impiegati che dovranno effettuarlo abbiano un tatto e una conoscenza umana non comune. Tra la politica e la coltura i confini sono assai ardui. E un certo latente [p. 36 modifica]irredentismo ci sarà sempre, finché uno slavo e un tedesco abiteranno nel nostro territorio. Ma non bisognerà impensierirsene troppo. I desideri politici dei piccoli gruppi smembrati nazionali contano assai poco. Nè la Francia avrebbe potuto fare la guerra soltanto per l’Alsazia e Lorena, nè l’Italia per Trento e Trieste. Vuol dire che domani dovremo essere più forti militarmente, non per il milione di stranieri che avremo tra noi, ma per difendere il nostro Adriatico. Ci vorrà perciò sopratutto molta calma e molto buon senso. E valersi non del divide et impera austriaco, ma del sentimento regionale vivo in tutti i paesi nostri, favorito da speciali autonomie.

E da ultimo bisogna ancora fare questa considerazione fondamentale: la massima parte dei nostri nuovi cittadini slavi nel Goriziano, nell’Istria, nella Carsia e nella Dalmazia sono contadini. Ora non soltanto i contadini slavi, ma di tutte le nazioni, hanno se mai un sentimento economico e campanilistico, non nazionale; si sommuovono per il pane, non per lo stato; mentre viceversa sono proprio essi, la loro ottusa resistenza che perpetua lingua e costumi nazionali anche quando la borghesia si snazionalizza. Sicchè il fenomeno più importante sarà questo: che mentre la lingua slava continuerà ad essere diffusa e predominante in molta parte delle nuove campagne, mancherà invece l’elemento per una vera agitazione nazionalista slava. Di fatti oggi essa è fatta da quella assai fittizia (meno forse in Dalmazia) borghesia slava che s’è andata formando nelle città italiane (tutte le città sono italiane, perchè cultura e borghesia sono sempre state italiane) per l’urbanesimo favorito dalla politica di Vienna. Ma domani l’urbanesimo dovrà essere prevalentemente [p. 37 modifica]italiano, (veneto-friulano, romagnolo, marchigiano, pugliese sopratutto), e la borghesia slava dovrà dileguarsi a poco a poco, non per costrizione legale, ma perchè i posti governativi e in parte comunali non saranno più soltanto per lei, e i medici e gli avvocati slavi avranno sempre meno da fare, mancando via via i clienti dalla Carinzia e dalla Carniola. I pochi agitatori slavi che resteranno sarà facile sorvegliarli e tenerli in freno.