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redentismo ci sarà sempre, finché uno slavo e un tedesco abiteranno nel nostro territorio. Ma non bisognerà impensierirsene troppo. I desideri politici dei piccoli gruppi smembrati nazionali contano assai poco. Nè la Francia avrebbe potuto fare la guerra soltanto per l’Alsazia e Lorena, nè l’Italia per Trento e Trieste. Vuol dire che domani dovremo essere più forti militarmente, non per il milione di stranieri che avremo tra noi, ma per difendere il nostro Adriatico. Ci vorrà perciò sopratutto molta calma e molto buon senso. E valersi non del divide et impera austriaco, ma del sentimento regionale vivo in tutti i paesi nostri, favorito da speciali autonomie.

E da ultimo bisogna ancora fare questa considerazione fondamentale: la massima parte dei nostri nuovi cittadini slavi nel Goriziano, nell’Istria, nella Carsia e nella Dalmazia sono contadini. Ora non soltanto i contadini slavi, ma di tutte le nazioni, hanno se mai un sentimento economico e campanilistico, non nazionale; si sommuovono per il pane, non per lo stato; mentre viceversa sono proprio essi, la loro ottusa resistenza che perpetua lingua e costumi nazionali anche quando la borghesia si snazionalizza. Sicchè il fenomeno più importante sarà questo: che mentre la lingua slava continuerà ad essere diffusa e predominante in molta parte delle nuove campagne, mancherà invece l’elemento per una vera agitazione nazionalista slava. Di fatti oggi essa è fatta da quella assai fittizia (meno forse in Dalmazia) borghesia slava che s’è andata formando nelle città italiane (tutte le città sono italiane, perchè cultura e borghesia sono sempre state italiane) per l’urbanesimo favorito dalla politica di Vienna. Ma domani l’urbanesimo dovrà essere prevalentemente ita-