I cacciatori di foche della baia di Baffin/8. Fra le nebbie ed i ghiacci

8. Fra le nebbie ed i ghiacci

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CAPITOLO VIII.

Fra le nebbie ed i ghiacci.


P
areva che quella scarica entro la cupa vallata avesse scatenata la bufera temuta da Mac-Chanty. Dalle gole laterali, fra le spaccature delle gigantesche muraglie, le raffiche irrompevano con sibili acuti, o con stridori prolungati, o con ululati cupi e profondi, sollevando la neve non ancora gelata, la quale turbinava in aria come se venisse aspirata da un maëlstrom aereo, mentre dall’alto scendevano, con rapidità incredibile, le pesanti nebbie, come se volessero addensarsi tutte entro quel fiord.

Le acque intanto, come se fossero sollevate da una forza misteriosa, in pochi istanti si erano tramutate in ondate formidabili, le quali correvano a sfasciarsi contro le alte rocce con muggiti spaventevoli, producendo delle contro ondate pericolose per la baleniera.

I marinai, stupiti e spaventati da quell’improvviso scoppio della bufera, si erano arrestati, guardando mastro Tyndhall.

– Mastro, disse Charchot. Cosa sta per succedere?... Io vorrei essere lontano da questo fiord. [p. 188 modifica]

– Sta per scoppiare un vero uragano rispose Tyndhall. Lasciamo per ora il deposito dei balenieri e corriamo alla Shannon, amici miei. Temo assai per la mia barca.

– Ritorniamo?...

– Sì, non vedete come le onde della baia si rompono contro i banchi?... Forza di remi, amici, o la finirà male per tutti noi.

La baleniera virò di bordo e si mise in ritirata attraverso quel tetro e pauroso fiord.

Il vento cresceva di violenza ad ogni istante, ruggendo entro la vallata, spingendo innanzi a sè turbini di neve e disperdendo le bande di lumme, le quali fuggivano in tutte le direzioni fra un baccano assordante e il nebbione scendeva sempre. Ormai l’oscurità era diventata così profonda, che il mastro non riusciva quasi più a scorgere le due alte pareti.

La baleniera, scrollata dai marosi e dalle contro-ondate, procedeva a sbalzelloni, fra nembi di spuma e non riusciva che con grandi fatiche a mantenersi in mezzo al fiord.

I marinai comprendendo che in quel momento si giuocava la sorte della Shannon, facevano sforzi sovrumani per giungere presto fuori del canale.

Mastro Tyndhall però si mostrava sempre calmo e guidava la scialuppa con mano ferma, cercando di evitare le onde che l’assalivano di fianco.

Di tratto in tratto però s’alzava e si curvava innanzi, come se cercasse di distinguere qualche cosa fra i fragori della tempesta. Forse attendeva qualche segnale di pericolo, da parte del marinaio che aveva lasciato a bordo della Shannon.

D’improvviso, fra i fischi del vento ed i muggiti delle onde, si udì al largo, dalla parte del mare, una lontana [p. 189 modifica] detonazione che non si poteva confondere coll’urto di due ghiacci o collo spaccarsi di un banco. Mastro Tyndhall trasalì, poi impallidì.

– Avete udito? chiese Charchot.

– Sì, rispose Tyndhall. Uno sparo.

– È un segnale di soccorso, mastro. Grinnell sarà assai inquieto e prevederà un brutto pericolo.

– Speriamo che le àncore tengano fermo per una mezz’ora. Animo, amici miei, non perdete un colpo di remo.

La baleniera divorava la via, ma le onde ben spesso interrompevano la sua corsa non solo, ma minacciavano perfino di gettarla attraverso l’una o l’altra parete e di sfracellarla.

Non avendo sfogo, quei cavalloni si sormontavano rabbiosamente sotto le crescenti sferzate del vento, si rompevano con impeto irresistibile e si formavano di nuovo sfasciandosi contro le pareti e producendo degli stretti avallamenti dai quali la baleniera penava assai a uscire.

Fortunatamente l’uscita del fiord non doveva essere molto lontana. Già attraverso alla nebbia si distinguevano, ad intervalli, i riflessi biancastri di banchi accumulati contro la costa.

Mastro Tyndhall ascoltava sempre con una certa angoscia che invano cercava di nascondere, ma dopo qual primo sparo non ne erano echeggiati altri.

Probabilmente Grinnell aveva dovuto interrompere i segnali, per dedicarsi tutto alla salvezza del piccolo veliero. Forse in quel momento stava calando tutte le ancore per resistere alla furia del vento e delle onde.

– Coraggio, ragazzi! gridava il mastro. Uno sforzo ancora e usciremo da questo fiord. [p. 190 modifica]

Poi chiedeva con una viva apprensione:

– Udite nulla?...

Già apparivano i primi banchi, quando un altro sparo echeggiò al largo, poi un secondo, quindi un terzo.

– Mille tempeste!... gridò Charchot. Grinnell è in pericolo, mastro.

– Tieni la barra, Charchot disse Tyndhall. Un momento solo!...

Prese due fucili e li scaricò in aria formando una sola detonazione, che gli echi del fiord centuplicarono.

Due spari risposero dalla parte del mare.

– Avanti ora a tutta forza, comandò Tyndhall riprendendo la barra. Grinnell sa che noi stiamo per ritornare e metterà in opera tutto per salvare la mia barca.

Erano allora dinanzi ai banchi. Malgrado gli urti formidabili delle onde interne ed esterne, non si erano ancora staccati, ma da un istante all’altro potevano cedere sotto quei continui assalti e chiudere il canale.

La baleniera si cacciò lestamente nel passaggio, lo attraversò frantumando i ghiacciuoli e uscì in mare.

Non essendo il nebbione ancora calato lungo le coste della Terra di Baffin, si poteva ancora distinguere un grande tratto della baia e rendersi subito conto della situazione e del pericolo che poteva correre la Shannon.

Tutta quella costa presentava uno spettacolo da far paura anche al più audace marinaio. Lunghe ondate, irte di spuma, spinte dal vento che era girato al sud-est, correvano verso la Terra di Baffin con muggiti spaventevoli; seco trascinando i ghiacci che la corrente polare aveva spinti verso il sud.

Giganteschi ice-bergs, palks, streams e grandi banchi oscillavano burrascosamente sulle creste dei cavalloni, minacciando ad ogni istante di perdere l’equilibrio. Si [p. 191 modifica] urtavano a vicenda con mille fragori, con detonazioni paragonabili a scoppi d’artiglieria, sfracellandosi, sminuzzandosi e scagliando lontano dei pezzi enormi.

Pareva talvolta che delle granate o delle mine scoppiassero nel mezzo di quei colossi, tale era la violenza dell’urto che subivano.

In mezzo a quel rimescolìo delle onde e dei ghiacci, mastro Tyndhall scorse la Shannon colle vele terzaruolate correre al largo, ma senza allontanarsi troppo dalla costa.

Aveva abbandonato l’ancoraggio e lottava contro i marosi che cercavano di trascinarla verso i banchi delle spiagge.

– Bravo Grinnell! esclamò Tyndhall. Ecco un marinaio che può andare superbo!... Animo, ragazzi!... Fra dieci minuti saremo a bordo!...

Grinnell aveva già scorta la baleniera e cercava di accostarla, mentre i marinai da canto loro facevan sforzi sovrumani per abbreviargli la via.

Il mare era cattivo, ma la piccola imbarcazione teneva fronte all’incalzare dei marosi, balzando rapidamente di cresta in cresta.

Dieci minuti dopo era a poche braccia dalla Shannon.

– Una gomena, Grinnell! gridò Tyndhall.

– Un momento, mastro, rispose il bravo marinaio.

Legò la ribolla del timone per mantenere per qualche istante il veliero nella posizione primiera, poi lanciò al mastro una fune.

– Su i remi e badate che la baleniera non si sfondi, disse il mastro.

Accostare la Shannon con quelle ondate che non concedevano alcuna stabilità ai due legni, era una manovra tutt’altro che facile, pure i marinai, dopo una lotta di [p. 192 modifica] dieci minuti e dopo di aver corso parecchie volte il pericolo di farsi sfracellare assieme alla baleniera, vi riuscirono.

Appena giunto sulla tolda, mastro Tyndhall stese la mano a Grinnell, dicendo:

– Grazie: sei un valente marinaio e te lo dice il più vecchio lupo di mare della costa groenlandese.

Poi balzò verso poppa e afferrò la ribolla del timone gridando:

– Due mani di terzaruoli alle vele e la prora al nord!... Saldi in gambe e attenti ai ghiacci!...

La Shannon aveva virato di bordo e fuggiva lungo la Terra di Baffin, in direzione dello stretto di Lancaster.

La tempesta scoppiava allora con inaudita violenza, sconvolgendo l’immensa baia.

Il vento ruggiva su tutti i toni e sibilava paurosamente fra le vele della piccola nave, balzando dal sud al sud-est con estrema rapidità. Cacciava dinanzi a sè, in una corsa disordinata, il pesante nebbione, lacerandolo o addensandolo e nembi di nevischio che strappava dalle coste della Terra di Baffin, sollevava le acque in forma di montagne che tosto abbatteva, che polverizzava e investiva i ghiacci imprimendo a loro una corsa vertiginosa.

Il mare non muggiva meno paurosamente. Quelle enormi masse liquide, scagliate in direzione del nord, frangendosi fra di loro, producevano tali fragori da soffocare perfino i comandi che mastro Tyndhall lanciava con voce tuonante.

S’alzavano con impeti irresistibili, come se fossero mosse da una forza sottomarina, da spinte prodotte da qualche convulsione del fondo; correvano all’impazzata [p. 193 modifica] sormontandosi le une e le altre, quasi fossero smaniose di distruggersi reciprocamente, di schiacciarsi, di polverizzarsi; scavavano baratri entro i quali precipitavansi, turbinando, le nebbie ed assieme a loro la povera Shannon, poi tornavano a rimontare, a ricostituirsi e riprendevano la loro corsa colle creste irte d’una spuma candida che aveva talora dei bagliori fosforescenti.

In mezzo a quell’orribile tramestìo d’acqua, i ghiacci polari danzavano una sarabanda scapigliata. Si vedevano correre sulle creste scintillando fra la caligine, scendere negli abissi, rotolare, cadere, rovesciarsi, urtarsi tuonando e sollevando nelle loro brusche cadute altre ondate non meno terribili di quelle sollevate dall’uragano, anzi di più, poichè più improvvise e più impetuose.

La Shannon, piccolo guscio perduto su quel mare tempestoso, semplice atomo fra quelle masse di ghiaccio, che con un solo urto potevano sminuzzarlo, lottava valorosamente contro gli assalti del vento scatenato e delle onde.

Colle sue vele terzaruolate, fuggiva come un uccello marino, squarciando coi suoi alberi il pesante nebbione e tagliando col suo solido sperone i piccoli ghiacci, che incontrava sul suo cammino.

Saliva intrepida le masse liquide, scendeva arditamente negli abissi, ma tornava a risalire fra la spuma delle creste. I marosi la investivano, la travolgevano, la facevano rovesciare ora sul babordo ed ora sul tribordo, la inondavano da poppa a prora, ma non cedeva malgrado la sua estrema piccolezza.

I suoi uomini, aggrappati ai cavi per non venire portati via da quei colpi di mare che spazzavano la coperta senza posa, si mantenevano tranquilli, ma [p. 194 modifica] gettavano degli sguardi inquieti su quel mare spumante, su quei ghiacci che apparivano e sparivano fra la fitta caligine.

Anche mastro Tyndhall non era tranquillo e scrutava ansiosamente la costa di Baffin, che di tratto in tratto scintillava pel riflesso delle sue nevi e dei suoi ghiacci, fra gli squarci del nebbione.

Nascondeva però all’equipaggio le sue apprensioni. Ritto a poppa, colla ribolla del timone stretta fra le robuste mani, col cappuccio gettato all’indietro per essere più libero, irremovibile come un colosso di granito fra gli assalti dei marosi, comandava la manovra con voce tuonante, ma tranquilla.

– Pronti ai buttafuori!... Imbroglia la trinchettina!... Ammaina il fiocco! Lascia la scolta della maestra!... Attenti a quell’ice-berg!... Saldi in gambe!... Niente paura, ragazzi!...

E quei diversi comandi li lanciava sempre con voce possente, coprendo i fischi del vento, i muggiti delle onde e gli urti sempre più tremendi dei ghiacci.

La Shannon fuggiva sempre, seguendo la costa della Terra di Baffin a meno di un miglio di distanza. Tyndhall non ignorava che i ghiacci ordinariamente si tengono un po’ discosti dalla terra e perciò stringeva sotto la costa e poi voleva, in caso disperato, lanciare la sua piccola nave contro le spiagge per cercare un rifugio.

Non l’osava ancora, non conoscendo quelle coste che assai imperfettamente, e per paura di andare a urtare contro qualche banco o contro qualche catena di scogliere, ma era risoluto a tentarlo, se la Shannon correva il pericolo di venire ingoiata dai flutti.

Intanto l’uragano aumentava sempre, il nebbione diventava più fitto, i ghiacci più numerosi e l’oscurità [p. 195 modifica] più profonda. Ormai gli uomini di poppa a malapena riuscivano a distinguere quelli che si trovavano a prora. Solamente i grandi ghiacci, gli ice-bergs, ed i palks si discernevano fra la caligine per la loro bianchezza abbagliante, ma non sempre a tempo per evitarli, e la Shannon correva il pericolo di andare a spaccarsi contro qualcuno di quei giganti polari.

Già tre volte aveva evitato degli incontri mercè una rapida manovra appoggiata da un buon colpo di barra, quando verso le sei del pomeriggio, nel momento in cui la nebbia diventava un po’ meno densa, una montagna di ghiaccio immensa apparve bruscamente dinanzi al veliero, sbarrando la via.

Solamente gli uomini di prora l’avevano scorta ed avevano potuto gettare un grido d’allarme:

– Padron Tyndhall!... Andiamo a infrangerci!...