I Salmi di David (Diodati)/SALMO CVII
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SALMO CVII.
1 Alto, gridi famosi
Bandisca ognun del ciel al Re sovrano,
Ch’è di bontà la fonte,
E rivi copiosi
Spander ne gode eternamente umano.
Con coronata fronte,
Faccian pur or sue meraviglie conte
Que’ miseri mortali,
Ch’egli scampò da perigliosi mali.
2 Color, che sotto a’ suoi
Segni ridusse, da l’apriche piagge
De l’estremo Occidente,
Ovver da’ lidi Eoi,
O da le parti d’Aquilon selvagge,
O da l’Austro cocente:
Ove l’orme traean gravose e lente,
Per traviati calli
D’ermi vagando e solitarie valli.
3 Non ritrovando traccia
Nè di città, nè d’abitato ostello:
Di sete arsicci e fame,
Spasimati la faccia,
E ’l cor ansanti di tormento fello.
S’a Dio dier voci grame,
Egli tosto esaudì l’ansie lor brame,
E pronto aiuto porse,
E ’n ricetto sicur dritto gli scorse.
4 Dunque lieti e contenti
Cantin del gran Signor l’alma clemenza,
Nel suo divin cospetto.
Ed a fumane genti
De le prove di sua chiara potenza
Spieghino il bel concetto.
Ch’ei d’umor ristorò l’agro difetto
De l’assetate vene,
E la fiera appagò fame di bene.
5 Quei che ’n funeste celle
Di carcer atro si giacean ristretti
In ceppi ed in vincigli:
Perchè voglie ribelle
Porser, ritrosi a’ suo’ divini detti,
E con alteri cigli,
Del Sovran isdegnar i buon consigli:
Ond’ei lor con dolori
Fiaccò le membra e macerò li cori.
6 Se recisa ogni speme
D’altronde indarno sospirato aiuto,
Alzaro al ciel i gridi,
In lor angosce estreme;
Presto fu dal Signor scampo venuto:
E con pietosi e fidi
Modi, gli trasse dagli oscuri nidi,
E’ ferri ruppe e sciolse,
Ed a morte i prigion dira ritolse.
7 Dunque lieti e contenti
Cantin del gran Signor l’alma clemenza,
Nel suo divin cospetto.
Ed a l’umane genti
De le prove di sua chiara potenza
Spieghin il bel concetto.
Che le ferree spezzò sbarre di netto,
E de’ chiostri di morte
Di sodo bronzo fracassò le porte.
8 Color ch’insano ardire
Sospinse a trapassar del giusto il segno,
Correndo, senza freno,
Dietro a l’empio desire:
Onde puniti di flagello degno
Addogliati giacièno:
E per febbri e languor venuta meno
Di vivande ogni voglia,
D’acerba morte fur fin a la soglia.
9 Se ’n loro grevi affanni,
A la mercè divina ebber ricorso,
Con intente preghiere:
A lor mortali danni
Egli ratto mandò dal ciel soccorso,
Su le snelle e leggiere
Ale del suo parlar d’alto potere:
E ne le stanche ed egre
Membra egli infuse nuove forze integre.
10 Dunque lieti e contenti
Cantin del gran Signor l’alma clemenza,
Nel suo divin cospetto.
Ed a l’umane genti
De le prove di sua chiara potenza
Spieghin il bel concetto:
Gioiosi offrendo con divoto affetto,
Di laudi l’ostie care,
E risonando ognor l’opre sue rare.
11 Que’ che ’n debil vasello
Solcan del vasto mar l’onde spumose:
Ed al guadagno intesi,
Spesso clima novello
Scorron mercando robe preziose,
In remoti paesi:
Le meraviglie essi veggon palesi
Del gran rettor del mondo,
E l’alto oprar ne l’Oceàn profondo.
12 Al suo tremendo impero
Poggia, soffiando tempestoso vento:
E smosso fin al cielo
Or gli erge fiotto altero,
Or negli abissi affonda, e di spavento
Gli spirti ammorta il gelo,
E ’l senno appanna d’un opaco velo:
E le trepide piante
Fa traballar, qual d’ebbro vacillante.
13 Ma s’angosciosa voce
Al Signor dirizzar, fra tanti orrori,
Ei di morte presente
Gli salvò da la foce,
Del mar calmando il cruccio ed i bollori:
E la gonfia corrente,
Con somma gioia lor, fermò repente:
Ed a bramato porto
Fu ’l legno fral da soave aura scorto.
14 Dunque lieti e contenti
Cantin del gran Signor l’alma clemenza,
Nel suo divin cospetto.
Ed a l’umane genti
De le prove di sua chiara potenza
Spieghino il bel concetto.
Del popol santo nel gran cerchio eletto,
Rendangli eccelsi onori,
E del Senato negli augusti cori.
15 Esso, perenni fiumi
Assorti in ghiaie sterili converte:
E rampollanti vene
In folte d’aspri dumi,
Sceme di fresco umor, lande diserte.
E le sugose amene
Terre fa tralignar in salse arene:
Perchè ’n sede beata
Fu degli abitator la gante ingrata.
16 Esso aridi terreni
Di fecondo liquor impregna, e ’n guazzi
Muta le secche antiche:
E fra dovizie e beni,
Di novelle cittadi in be’ palazzi,
(Opre di lor fatiche)
Fa quete dimorar turbe mendiche:
E goder campi e viti,
Poste in alpestri già luoghi romiti.
17 Quivi, con larga mano,
Di nuove grazie ognor gli accresce e bea,
E fa fruttar gli armenti,
Ed in monti ed in piano:
Nè gli diserta alcuna peste rea.
Poi son scemati e spenti,
Per povertà, sterilitade e stenti,
Ed altre piaghe molte,
S’hanno, superbi, a Dio le spalle volte.
18 Ei, di vergogna e scorno
Color ingombra, cui sangue gentile,
O dignità fastosa,
Arma di fiero corno:
E fa, che ’n fuga ed in esiglio vile
Traggon vita penosa.
Ma, sollevando gente bisognosa,
Qual gregge per le ville
La fa multiplicar a mille a mille.
19 Mentre con scaltre e pure
Luci rimiran queste cose i giusti,
Salgon in gioia e festa.
Ma volvendo ansie cure,
L’iniquo stuol del cor ne’ chiostri angusti,
Tura la bocca mesta.
I saggi a ciò terran la mente desta,
Ed a ginocchia chine,
L’immense ammireran grazie divine.