Muta le secche antiche:
E fra dovizie e beni,
Di novelle cittadi in be’ palazzi,
(Opre di lor fatiche)
Fa quete dimorar turbe mendiche:
E goder campi e viti,
Poste in alpestri già luoghi romiti. 17 Quivi, con larga mano,
Di nuove grazie ognor gli accresce e bea,
E fa fruttar gli armenti,
Ed in monti ed in piano:
Nè gli diserta alcuna peste rea.
Poi son scemati e spenti,
Per povertà, sterilitade e stenti,
Ed altre piaghe molte,
S’hanno, superbi, a Dio le spalle volte. 18 Ei, di vergogna e scorno
Color ingombra, cui sangue gentile,
O dignità fastosa,
Arma di fiero corno:
E fa, che ’n fuga ed in esiglio vile
Traggon vita penosa.
Ma, sollevando gente bisognosa,
Qual gregge per le ville
La fa multiplicar a mille a mille. 19 Mentre con scaltre e pure
Luci rimiran queste cose i giusti,
Salgon in gioia e festa.
Ma volvendo ansie cure,
L’iniquo stuol del cor ne’ chiostri angusti,
Tura la bocca mesta.
I saggi a ciò terran la mente desta,
Ed a ginocchia chine,
L’immense ammireran grazie divine.