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salmo cvii. 213

     Muta le secche antiche:
     E fra dovizie e beni,
     Di novelle cittadi in be’ palazzi,
     (Opre di lor fatiche)
     Fa quete dimorar turbe mendiche:
     E goder campi e viti,
     Poste in alpestri già luoghi romiti.
17          Quivi, con larga mano,
     Di nuove grazie ognor gli accresce e bea,
     E fa fruttar gli armenti,
     Ed in monti ed in piano:
     Nè gli diserta alcuna peste rea.
     Poi son scemati e spenti,
     Per povertà, sterilitade e stenti,
     Ed altre piaghe molte,
     S’hanno, superbi, a Dio le spalle volte.
18          Ei, di vergogna e scorno
     Color ingombra, cui sangue gentile,
     O dignità fastosa,
     Arma di fiero corno:
     E fa, che ’n fuga ed in esiglio vile
     Traggon vita penosa.
     Ma, sollevando gente bisognosa,
     Qual gregge per le ville
     La fa multiplicar a mille a mille.
19          Mentre con scaltre e pure
     Luci rimiran queste cose i giusti,
     Salgon in gioia e festa.
     Ma volvendo ansie cure,
     L’iniquo stuol del cor ne’ chiostri angusti,
     Tura la bocca mesta.
     I saggi a ciò terran la mente desta,
     Ed a ginocchia chine,
     L’immense ammireran grazie divine.