I Salmi di David (Diodati)/SALMO CIX
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SALMO CIX.
1 Signor, in cui tuttor mi pregio e vanto,
Suggetto sol d’ogni mia laude e canto,
L’orecchie non turarmi:
Ma per risposta darmi
Schiudi la bocca omai.
Perch’a’ mie’ danni e guai
L’empio e ’l fallace apron lor gole fiere,
Con falsi modi ed arti lusinghiere.
2 M’hanno accerchiato e con rabbiose foci,
Contra me sfogan lor rancori atroci:
E mossermi tenzone,
Senza merto o cagione.
Per l’amor mio leale,
Rendermi odio mortale;
Per grazia, offesa; e mal, del bene invece:
Ma ’l mio riparo fu la sola prece.
3 Metti il lor fello capo traditore
Sotto il giogo crudel d’empio signore:
Da Satan stimolato
Gli sie il diritto lato.
Sie in criminal accusa,
Dannato senza scusa:
E senta, ad ogni sua finta richiesta,
Più grave ognor la colpa su la testa.
4 E sieno i giorni suoi fugaci e brevi,
Di degnitade il grado altri gli levi,
Restin orfani e soli,
I suo’ tristi figliuoli.
Lasci per pronta morte,
Vedova la consorte.
Vadan tapini mendicando i figli,
Fuor di lor casolari in lunghi esigli.
5 Lo spietato usuraio i beni suoi
Colga allacciati in trappole e lacciuoi.
Predin turbe nemiche
Le sue care fatiche.
N’alcuno prenda cura
D’alleggiar sua sciagura.
Nè sie chi gli occhi mai volga pietosi
A suo’ pupilli grami e dolorosi.
6 In estrema ruina caggia e pera,
Del seme suo la discendenza intera.
Sie, ne l’età futura,
Spenta lor fama impura.
Nel ciel sien rammentati
I paterni peccati.
E niun tempo mai copra o cancelli,
De l’empia madre gli atti sozzi e felli.
7 Il Signor gli abbia sempre nel cospetto,
E d’essi estingua il nome maledetto.
Perch’ei mise in oblío
L’esser benigno e pio:
Ed have perseguito
Il povero smarrito.
E l’afflitto di cor, a Dio gemente,
Pensò di far morire crudelmente.
8 Poi che tanto gli piacque il maledire,
Fa sopra lui maledizion venire.
Sie ’l benedir lontano,
Ch’usar non seppe insano.
Maledizion lo colga,
E qual manto l’involga.
E come acqua gli coli a l’imo ventre,
Anzi come olio fin ne l’ossa gli entre.
9 Quella gli sie di vestimento in guisa,
E mai da lui non sie tolta e divisa:
Come di stretto cinto,
Siene tuttor avvinto.
Agli avversari miei,
De’ loro strazi rei,
E del mal c’hanno contra me proferto,
Il Signor renderà quel giusto merto.
10 Ma tu fammi, Signor, l’opre sentire
Di tua mercè, per far chiaro apparire
De la tua gloria il lampo.
Dammi opportuno scampo:
Che’ tuo’ favori santi
Han di bontade i vanti.
Perch’in ver son bisognoso e afflitto,
E d’agre doglie porto il cor trafitto.
11 Come dichina l’ombra su la sera,
Così la vita mia fugge leggiera:
Qual locusta vagante,
Muovo tuttor le piante.
Pe’ gran digiuni fiacche
Ho le ginocchia e stracche.
La carne mia, del dolce succhio asciutta,
Miseramente è dimagrata e strutta.
12 Anche son loro in beffa e vitupero,
E contra me scoton lor capo altero.
Ma tu, Signor Dio mio,
Siimi d’aiuto pio.
La tua benignitade
A salvarmi non bade.
Sappian, confusi, che la mia salute
È l’opra singolar di tua virtute.
13 Lor fiero stuol m’oltraggia e maledice:
Dà tu favor e grazia beatrice.
Su lor superba fronte
Spandi vergogne ed onte:
E del tuo servo allegra
L’alma dolente ed egra,
Confusion i mie’ nemici adombri,
E qual mantello gli avviluppi e ’ngombri.
14 Del Signor senza fin gli eccelsi pregi
Vo’ nel cerchio cantar de’ prenzi e regi:
E ’n mezzo a schiera folta,
Per adorarlo accolta:
Ch’al poverello stanco
Ei cinge ’l destro fianco:
Perch’ad uopo gli sie soccorso porto,
Contra chi ’l danna ne la vita a torto.