I Nibelunghi (1889)/Avventura Diciannovesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Diciannovesima
Avventura Diciottesima Avventura Ventesima

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Avventura Diciannovesima

In che modo il tesoro dei Nibelunghi fu trasportato a Worms


     Poi che in tal guisa vedova si fea
Donna Kriemhilde, con le genti sue
Conte Eckewardo appo lei si rimase
In quella terra. Suoi servigi a lei
5Ogni giorno prestava, egli la sua
Donna regale a piangere il suo sire
Aitava sovente. A Worms, accanto
Al monastero, le fu eretto e cinto
Ampio e grande un ostello, ingente e ricco,
10Là ’v’ella stette ad abitar co’ suoi

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Consorti, senza gioia. E volentieri
Alla chiesa ella andava, e ciò ella fea
Di lieta voglia assai. Là ’ve sepolto
Fu il suo diletto, con turbato core
15Ogni tempo ne andava, e raro assai
Ella questo lasciò. Pregava allora
Iddio buono che l’anima accogliesse
Del caro estinto, e pianto fu l’eroe
Con fedel core assai. Ute e i consorti
20Lei confortarno a tutte l’ore sempre,
Ma quel cor di ferita sì profonda
Era piagato, che recarle aita
Nulla potea, per quanto le recasse
Altri sue cure. Altissimo desìo
25Ell’avea sempre del diletto amico,
Quale donna giammai pel suo diletto
Sposo non ebbe. La virtù di lei
Manifesta vedersi in ciò potea,
Ch’ella così, fino alla morte sua,
30Fin che vita durò, Sifrido pianse. —
Poscia costei, la donna di Sifrido
Ardimentoso, la vendetta sua

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Con gran forza pigliò. — Ma (ciò gli è vero)
Ella intanto tre anni si sedea,
35Mezz’anno ancor, dell’uom suo per la morte
In acerbo dolor, nè un motto solo
A Gunthero ella disse; Hàgene ancora,
Nemico suo, non vide essa in quel tempo.
     Hàgene di Tronèga allor dicea:
40Forsechè tanto far concesso è a voi
Che aver possiate la sorella vostra
Ancora amica? In questa terra, allora,
Di Nibelungo verrìa l’oro, e molto
Lucro fareste voi, quando a noi fosse
45La regina propizia. — E di cotesto
Noi farem prova, disse re Gunthero.
Accanto a lei si stanno i miei fratelli,
E pregheremli noi che tanto adoprino
Per ch’ella amica a noi si faccia, e tanto
50Per noi si ottenga che di giusta voglia
Ella veda cotesto. — Io non confido,
Hàgene disse, che ciò avvenga mai.
     Fe’ cenno che venisse allora in corte
Gere Margravio e Ortwino. E come tanto

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55Così si fea, Gernòt fu addotto e quello
Giovinetto Gislhero, e amicamente
Ei supplicâr donna Kriemhilde. Allora
Disse Gernòt fra quelli di Borgogna:
     Donna, la morte di Sifrido assai
60Troppo a lungo piangete. A voi desìa
Il prence addimostrar ch’ei non l’uccise;
Altri frattanto ad ogni tempo voi
Piangere intende di gran doglia acerba.
     Nessuno, ella dicea, questo gli addossa.
65D’Hàgen la destra lo colpì.1 Quand’ei
Seppe da me dove potea qualcuno
Lui di spada ferir, come potea
Io creder questo, che persona in terra
L’avesse in odio mai? — Deh! l’avess’io
70Evitato, che mai la sua persona
(La regina soggiunse) io non tradissi!
Or io potrei, misera donna, il pianto

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Abbandonar? Ma d’anima benigna
Vêr chi ciò mi facea, non sarò mai!
     75Gislhero incominciò, l’uom sì avvenente,
A supplicar, per ch’ella disse: Il prence,
Io sì, saluterò. — Com’ella disse,
Dinanzi a lei co’ suoi miglior congiunti
Fu visto il re. Ma non osò dinanzi
80Hàgene andare a lei. Come sapea
La colpa sua, dolor le avrìa cotesto
Recato inver. Poi ch’ella volse allora
Lasciar suo cruccio contro a re Gunthero,
Miglior consiglio ciò sarìa che lei
85Hàgen baciasse; e quando angoscia tanta
Non le venisse d’Hàgen per la frode,
Andarne egli potea senza sgomento
Là, di Kriemhide nel cospetto. Mai
Conciliazion per lagrime cotante
90Non si fe’ tra congiunti. Anche le fea
Grave doglia il suo danno; eppur, con tutti,
Tolto un sol d’essi, ella fe’ pace. Niuno,
Se Hàgen nol fea, potea Sifrido uccidere.
     Lunga d’assai non fu stagione, e allora

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95Tanto ei fean, che di là, da quella terra
De’ Nibelunghi, riscattò e condusse
Donna Kriemhilde in fino al Reno il suo
Tesoro ingente. Egli era il nuzïale
Dono2 di lei e il giusto suo possesso.
     100E Gislhero e Gernòt per esso andavano,
E ad uomini ottocento indisse allora
Donna Kriemhilde ch’ei dovean, celato
Là ’ve si stava, togliere il tesoro,
Qual custodia co’ suoi miglior consorti
105Alberico gagliardo. Allor che quelli
Pel tesoro fûr visti in su dal Reno
Avvicinarsi, a que’ consorti suoi
Saggio disse Alberico: Or, del tesoro
Nulla confidiam noi di averci ancora,
110Da che il richiede qual suo nuzïale
Dono la nostra nobil donna. Eppure
Ciò non sarìa giammai, disse Alberico,
Ove perduto malamente noi

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Non avessimo, insieme al pro’ Sifrido,
315La sua buona Tarnkappe; egli solea,
Di Kriemhilde leggiadra il fido sposo,
Recarla ad ogni tempo. Ora incoglieano
Tristi mali a Sifrido.3 Il prode un giorno
La Tarnkappe ci tolse, e questa terra
320Tutta dovette a lui servir. — Ne andava
Il tesorier così là ’ve rinvenne
Le chiavi del tesor. Stettero innanzi
Alla montagna di Kriemhilde gli uomini,
Anche una parte de’ congiunti suoi,
325E al mar fu carreggiato, al navicello,
Il tesoro così. Traeanlo a monte
Del Reno, sovra l’acque.4 — Ora v’è d’uopo
Udir prodigi a raccontar per esso,
Chè dodici carrette alto colmate,
330In quattro notti e in quattro dì, dal monte
Trasportarlo dovean. Tre volte al giorno

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D’esse ognuna tornava; e di null’altro
Era il tesor fuor che d’auro e di gemme.
Che se alcuno acquistato avesse il mondo
335Così per esso, d’un sol marco il pregio
Scemar non ne potea; nè disïato
Hàgen l’avea senza ragione. In esso
Più disïata cosa si giacea,
Una verghetta d’or. Chi a riconoscerla
340Giugnea, sul mondo inter, sovra ciascuno
Degli uomini quaggiù, potea signore
Addivenir. — Ma con Gernòt andavano
Molti congiunti d’Alberico assieme.
     Come quelli toccâr l’ampio tesoro
345Di re Gunthero nella terra e d’esso
Ebbe possesso la regina intero,
Colme d’esso ne andâr camere e torri,
Nè si udì mai narrar, più di cotesto,
Prodigio grande. Ma se mille volte
350Stato fosse il tesoro anche maggiore,
E stato fosse principe Sifrido
Sano e forte al suo fianco, ivi appo lui
Stata sarìa con vuote ambe le mani

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Donna Kriemliilde.5 Più fedele sposa
355Deh che non ebbe mai prence guerriero!
     Poi che il tesoro ebbe in sua mano, addusse
Molti in la terra cavalieri ignoti.
Tanto donava di costei la mano,
Che mai non vide alcun più assai di questa
360Munificenza grande. Ella d’assai
Esercitava sue virtudi, e tanto
Affermar si potea della regina.
A poveri ed a ricchi ella in tal guisa
A far suoi doni incominciò, che questo
365Hàgen iva dicendo: Ov’ella ancora
Viva alcun tempo, tanti a’ suoi servigi
Uomini condurrà, che a noi venirne
Dovrà gran doglia. — Principe Gunthero
Così rispose: È sua quella dovizia
370E la persona. Or, di qual guisa mai

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Stornar potrei quant’ella fa? Con molto
Stento, davvero! ebb’io ch’ella mi fosse
Ancor di tanto amica, e non è d’uopo
Rattristarci però, s’ella spartisce
375L’argento suo con l’or. — Ma l’uomo accorto,
Hàgene disse al re, sì gran tesoro
Lasciar non debbe in potestà di donna,
Ella, co’ doni suoi, fino a tal giorno
Ci menerà, che di Borgogna i prodi
380Assai di ciò si pentiranno. — Disse
Re Gunthero: Io giurai un giuramento
Per ch’io mai non le rechi alcuna doglia
Ne’ di venturi, e ciò vogl’io d’assai
Osservar di mia fede. Ella è pur sempre
385La mia sorella. — Oh! ma di ciò colpevole
Me, me lasciate, Hàgene disse, e solo!
     Così ne andâr di alcuni6 fra costoro

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Non osservati i giuramenti. Tolta
Alla vedova donna incontanente
390Fu l’ingente dovizia; Hàgen di tutte
Le chiavi si fe’ sire, e n’ebbe sdegno,
Come ciò seppe veramente, quello
Fratel di lei, Gernòt. Hàgen, dicea
Prence Gislhero intanto, alla mia suora
395Dolor fe’ grande, e ciò stornar vogl’io.
Che s’ei non fosse mio congiunto, oh! allora
Di lui ne andrìa la vita! — Ora, la donna
Del pro’ Sifrido rinnovò il suo pianto.
     Dicea sire Gernòt: Pria che dogliosi
400Andarne sempre per quest’oro, noi
Ingiungere dobbiam che tutto al Reno
Ei sia gittata, onde in eterno alcuno
Mai nol possegga. — Con gran doglia allora
A Gislhero dinanzi, al fratel suo,
405Kriemhilde stette e disse: Ora, o fratello
Diletto a me, di me dàtti pensiero!
Esser dêi tu di mia persona e ancora
Di mia dovizia difensor. — Rispose
Quegli alla donna: Come sarem noi

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410Qui di ritorno, si farà cotesto,
Chè intanto abbiam di cavalcar desìo.7
     Prence Gunthero coi congiunti suoi,
Quanti là si trovâr fra gli altri tutti
I più prestanti, abbandonò la terra,
415Tolto Hàgene soltanto. Ei restar volle
Per l’odio che a Kriemhilde anche portava,
E ciò egli fe’ ben volentieri. Innanzi
Che di ritorno fosse il re possente,
Hàgene, intanto, quello per sè tolse
420Ricco tesoro e tutto presso a Loche
Nel Reno l’affondò. Credea goderne
Un giorno poi, nè ciò potè giammai
Avverarsi per lui. Ma fean ritorno
I prenci intanto con uomini seco,
425Molti d’assai, e ratto incominciava
Il suo gran danno a piangere Kriemhilde
Con sue donne ed ancelle. Era cotesto
Grave dolor per lei; ma Giselhero

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Con tutta fede era là pronto. Insieme
430Elli dicean: Male egli ha fatto! — E quei8
L’ira dei prenci ad evitar si pose
Fin che lor grazia racquistò. Lasciârlo
Incolume così. Ma più nemica
Esser giammai non gli potè Kriemhilde.
     435Innanzi che Hàgen di Tronèga in questa
Guisa il tesor celasse, egli e Gunthero
Con forti giuramenti avean fermato
Questo sì, che starìa quello nascosto
Fin che un d’essi vivea. Così, spartirlo
440Ei fra lor non potean, non darlo ad altri.
     Ma di nuovo dolor l’alma gravata
Fu di Kriemhilde, per l’acerbo fato
Dell’uom di lei, per che le avean rapita
La sua dovizia, ancor. Pace non ebbe
445Il suo lamento mai nel viver suo,
Fino a l’estremo de’ suoi dì. Gli è il vero
Ch’ella tredici anni ancor si visse,
Dopo la morte di Sifrido, in molti

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E molti affanni, che scordar la morte
450Mai non potè di quel gagliardo. A lui
Fedel mai sempre si serbò, e cotesto
Sen va concorde in affermar la gente.




Note

  1. Gli del verso antecedente si riferisce a Gunthero; lo a Sifrido. Così nel testo, e ha maggior forza.
  2. Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert (Tacit. Germ. 18).
  3. La maledizione che pesa sul tesoro. Vedi l’Introduzione al Poema.
  4. Rimontavano il Reno.
  5. Avrebbe preferito la povertà con lui al tesoro senza di lui. Il Bartsch interpreta differentemente. Il verso che segue mi dà ragione. Anche Laveleye intende così.
  6. Di alcuni (nel testo: sumelîcher) è ironico, per dir di tutti, compreso lo stesso Gunthero che violò il giuramento. Il Laveleye non ha inteso bene.
  7. Non si sa il perchè; ma Hagene approfitta dell’assenza degli altri per celare il tesoro.
  8. Hagene.