I Mille/Capitolo XLVIII

Capitolo XLVIII. Battaglia del Volturno

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Capitolo XLVIII. Battaglia del Volturno
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CAPITOLO XLVIII.

BATTAGLIA DEL VOLTURNO.

Quel che giurâr ottennero
     Han combattuto, han vinto
     Sotto il tallon del forte
     Giace lo sgherro estinto.
      (Berchet).


L’alba del 1° ottobre illuminava là nei piani della vecchia capitale della Campania, una truce mischia! Una battaglia fratricida! — È vero: dalla parte dei Borbonici, eran molti mercenari, bavaresi, svizzeri, e molti di que’ stranieri che da secoli sono assuefatti a considerare questa nostra Italia, come una villeggiatura od un lupanare. E cotesta ciurmaglia, sotto la guida e la benedizione del prete, ha sempre di preferenza sgozzato gl’Italiani, dal prete educati a piegare il ginocchio a tutti i malviventi della terra. Ma pur troppo la maggior parte dei combattenti alle falde del Tifate1 erano figli di questa terra infelice, spinti a macellarsi reciprocamente: gli uni condotti da un giovane re, figlio del delitto; [p. 280 modifica] gli altri propugnavano la causa santa del loro paese.

Da Annibale, vincitore delle superbe legioni di Roma, ai giorni nostri, le campagne Capuane non avevan certo veduto più fiero conflitto, ed il bifolco passando l’aratro in quelle ubertosissime zolle, urterà per molti secoli ancora nei teschi dalla rabbia umana seminati.

Tornato da Palermo, presi stanza a Caserta, e visitando ogni giorno Monte Sant’Angelo, da dove scorgevasi bene il campo dei nemici, a levante della città di Capua, e nei dintorni, dai loro movimenti sulla sponda destra del Volturno, che non potevan sfuggire al mio osservatorio del monte suddetto, e dalle loro disposizioni, io congetturai, essere i borbonici in preparativi d’una battaglia aggressiva. — Da parte nostra si fecero alcune opere di difesa a Maddaloni, a S. Angelo, e massime a S. Maria, alla sinistra nostra, e la più esposta per trovarsi in pianura, e senza ostacoli naturali.

La nostra linea di battaglia era difettosa; essa era troppo estesa da Maddaloni a S. Maria. — Il centro nemico che dovevasi considerare la sua massa più forte, era in Capua, da dove poteva sboccare a qualunque ora della notte, e sorprendere a circa tre miglia di distanza la nostra sinistra.

Sant’Angelo, centro della nostra linea, è posizione forte per natura, ma nella quale sarebbe stato necessario poter eseguire molte opere di [p. 281 modifica] difesa; molta gente vi voleva per difenderne tutti gli accessi, e poi è dominata essa stessa dall’altissimo Tifate che la padroneggia, quando è quest’ultimo in mano del nemico, e che la isola dalle sue comunicazioni e sostegni indietro.

Maddaloni, posizione importantissima, e che dovevasi tenere con tutta la divisione Bixio, poiché passando il nemico nell’alto Volturno, e prendendo la via di Maddaloni per Napoli, sarebbe stato in poche ore nella capitale, lasciando l’esercito meridionale a destra sul Volturno Capuano.

Le riserve tenevansi in Caserta e non eran numerose certamente, dovendo occupare una linea più estesa.

Eravamo per di più obbligati di tenere alcuni corpi di concatenazione al fronte, per non permettere al nemico, più pratico assai di noi del paese, in cui avea un numero grande di fedeli, d’inoltrarsi tra le nostre ali.

Santa Maria, la più difettosa delle nostre posizioni, era stata occupata in ossequio di requisiti della popolazione, che avendo alcune velleità liberali alla ritirata del Borbone, ora tremava alla sola idea di rivedere i suoi antichi padroni.

Occupata S. Maria, bisognava occupare i siti a destra e sinistra che ne avrebbero facilitato l’ingresso, se in mano del nemico; dimodoché, ripeto, la nostra linea era difettosa, e consiglio ai miei giovani commilitoni, di non imitare la mia condiscendenza, quando si tratta d’una battaglia che può decidere delle sorti della nazione. [p. 282 modifica]

Il difetto delle nostre posizioni e della linea nostra non mi lasciavan tranquillo, siccome i sintomi d’un’imminente battaglia a cui preparavasi l’esercito nemico più numeroso, più disciplinato e meglio fornito d’ogni cosa, del nostro.

Circa alle 3 antimeridiane del 1° ottobre, io saliva in via ferrata a Caserta, seguito da parte del mio quartier generale, e giungeva a S. Maria, prima dell’alba; montavo in carrozza per recarmi a S. Angelo, ed in quel momento, udivasi la fucilata verso la nostra sinistra. — Il generale Mielbitz, che comandava le forze ivi riunite, venne a me, e mi disse: «siamo attaccati verso S.Tammaro, e vado a vedere ciò che v’è di nuovo» . Io ordinai al cocchiere di marciare con tutta velocità. — Il rumore delle fucilate ingrossava, e si estese, a poco a poco, su tutto il fronte sino a S. Angelo. Al primo albore, io giungeva sulla strada alla sinistra delle nostre forze del centro, già impegnate, e giungendo fui accolto da una grandine di palle nemiche. — Il mio cocchiere fu ucciso, e la carrozza crivellata; e con me, i miei aiutanti furono obbligati a discendere, e sguainar la sciabola. — Ma mi trovavo in mezzo ai Genovesi di Mosto, ed ai Lombardi di Simonetta. — Non fu quindi necessario di difenderci noi stessi; quei prodi militi, vedendoci in pericolo, caricarono i borbonici con tanto impeto, che li respinsero un buon pezzo distanti, e ci facilitarono la via verso S. Angelo.

L’addentrarsi del nemico nella nostra linea ed [p. 283 modifica] alle spalle, movimento d’altronde ben eseguito, e con molta sagacia, e di notte, provava essere egli ben pratico del paese. — Tra le strade che dal Tifate e dal monte S. Angelo, mettono verso Capua, ve ne sono alcune incassate nel terreno, che posa su tufo vulcanico, alla profondità di più metri.

Tali strade furono probabilmente praticate a’ tempi antichi, come comunicazioni tattiche di un campo di battaglia; e le acque piovane, scendendo velocemente dai monti circostanti, hanno senza dubbio influito a scavarne maggiormente il fondo.

Il fatto sta che in qualunque di quelle strade incavate, ponno transitarvi al coperto forze considerevoli, anche con artiglieria e cavalleria.

I generali borbonici, nel loro meditatissimo piano di battaglia, aveano accortamente approfittato di tali accidentalità del terreno, e v’inviarono di notte alcuni battaglioni con ordine di attaccarci alle spalle, mentre la battaglia s’impegnava al fronte.

Uscito dalla mischia, in cui casualmente m’ero trovato per un momento, m’incamminai coi miei aiutanti verso S. Angelo, credendo essere il nemico solo alla sinistra nostra, ma m’ingannavo, ed una furiosa fucilata alla nostra destra, partita dalle falde dei monti, al nostro indirizzo, mi persuase esservi nemici anche da quella parte. Era la situazione imbrogliata. I miei aiutanti ed io, a piedi, poiché i nostri cavalli eran rimasti con [p. 284 modifica] ordine di mandarli dopo di noi a S. Angelo; dunque, difficile mandar ordini; — tutti i corpi impegnati contro forze superiori del nemico; e nessuna riserva alla mano.

Qui ci valse il disordine inseparabile dei corpi volontari. Avviandomi verso S. Angelo, m’imbatteva sulla via con dei militi nostri staccati, che raggranellati a misura che comparivano, se ne formò un discreto corpo, e s’inviò all’attacco dei borbonici, padroni delle alture alla retroguardia nostra. Poi una compagnia poco numerosa di bravi Milanesi, che marciava verso il campo della pugna, fu immediatamente mandata verso il Tifate, per prendere a sua volta il nemico alle spalle.

Poco dopo giunse su quell’eminenza un distaccamento del generale Sacchi, che trovavasi a levante di S. Angelo, e per quella parte ci trovammo finalmente alquanto assicurati.

Dopo gli avvenimenti narrati, mi fu possibile salire sul monte S. Angelo, per potervi distinguere lo stato del campo di battaglia, e m’accorsi esser veramente un impegno serio.

Il nemico preparato da più giorni ad una battaglia decisiva, avea riunito sotto Capua quanta forza egli possedeva in tutte le parti del regno, al settentrione del Volturno. — Le due piazze forti di Gaeta e Capua, non solo diedero un buon contingente di truppe, ma lo fornirono di quanto materiale da guerra esso poteva abbisognare; dimodochè la forza nemica, che uscì da Capua contro il nostro centro e la nostra sinistra, era veramente formidabile. [p. 285 modifica]

Da una parte e dall’altra la battaglia fervea disperatamente; era un flusso e riflusso di attacchi e di riscosse, una mischia generale su tutta la linea.

Non potendo noi guarnire tutto lo spazio tra S. Maria e S. Angelo, s’era lasciata una lacuna tra le due posizioni, di cui il nemico profittò facendola occupare da fortissimo corpo bavarese.

Codesto corpo, ch’io dall’alto poteva esattamente distinguere, era imponente. In colonna serrata per grandi divisioni, marciava verso la nostra linea a passo ordinario. E chi diavolo potevo io inviare all’incontro di quel formidabile corpo? Il prode Generale Medici avea il suo da fare nel centro ove comandava, a sostenersi contro le forti colonne che lo assalivano, e per fortuna egli contava tra i suoi subordinati il Colonnello Simonetta, uno dei più brillanti ufficiali dell’esercito meridionale. Di più, il veterano di cento battaglie, l’eroe dei due mondi, il Generale Avezzana, era stato inviato con un corpo di volontari in sostegno del nostro centro, e fu quindi di gran giovamento in quella parte.

La nostra sinistra in S. Maria, comandata dai bravo generale Mielbitz, respinse il nemico, ed egli riportò gloriosa ferita. Comunque, le comunicazioni tra la sinistra ed il centro furono intercettate dai borbonici, che in gran numero occuparono la strada maestra che conduce da un punto all’altro.

Il più accanito dei combattimenti durava a [p. 286 modifica] S. Angelo. Là vi era una vera marea di vincenti e di respinti. — Il nemico stimava l’importanza della posizione, chiave del campo di battaglia, e fece degli sforzi inauditi per impadronirsene. I soldati borbonici giunsero sui nostri pezzi varie volte, e s’impadronirono di due, che non poterono però conservare.

In tale accanita pugna io osservai il difetto «di far fuoco avanzando» prediletto sistema dei nostri nemici, a cui fu fatale in tutti gl’incontri dai volontari sostenuti; questi, all’incontro, coi soliti catenacci e colle loro cariche a fondo, senza fare un tiro, neutralizzarono la superiorità delle carabine nemiche, e vinsero sempre.

Mi si obbietterà: tale nostro sistema esser nocivo colle nuove armi di precisione, ed io dico con convincimento, essere più necessario ancora, col perfezionamento delle armi. — non si deve caricare il nemico nelle sue posizioni, o bisogna caricarlo celeremente sino alla mischia, colla coscienza di sfondarlo, senza di che si perderà molta gente, il morale dei restanti soldati sarà scosso, e si avrà il doloroso spettacolo di vederli tornare fuggendo e disfatti.

La pugna durò un pezzo al piede del monte S. Angelo, obbiettivo importantissimo, e varie volte i nostri valorosi capi dovettero ricondurre al fuoco i nostri militi, sopraffatti da masse imponenti e tenacemente decise.

Verso le ore 1 pom., non so per qual motivo, mancarono le munizioni, ed una desolante voce [p. 287 modifica] degli usciti dal campo di battaglia, me ne fece consapevole.

Se il nemico fosse stato informato di tale circostanza, stavamo freschi.

La situazione era delicata. Il nemico ingrossando sempre, oltre l’attacco di fronte verso Capua, avea tentato di assalire il nostro fianco destro passando il Volturno, e fummo obbligati di far testa dovunque.

Verso le 2 pomeridiane, supponendo vicine le riserve che aveva chiesto da Caserta al generale Sirtori, capo di stato maggiore, io avvisai il generale Medici della mia intenzione di raggiungerle per rinforzare la linea nostra. Non era però facile di eseguire il mio proposito, essendo la strada di comunicazione occupata dal nemico.

Comunque, mi decisi di fare un lungo giro, evitare il nemico, e felicemente giunsi in S. Maria dopo mezz’ora, e giunse contemporaneamente il primo convoglio per via ferrata, delle aspettate riserve.

A misura che arrivavano si facevan collocare in colonna d’attacco nella strada che conduce da S. Maria a S. Angelo; disposte nell’ordine del loro arrivo, per sezioni, il di cui fronte era eguale circa alla larghezza della via.

Anche qui accennerò alla efficacia delle riserve nei fatti di guerra d’ogni entità, ma massime nelle battaglie campali.

Le riserve, più numerose che possibile, e [p. 288 modifica] possibilmente tenute al coperto dai proiettili nemici e dalla vista degli stessi, sono, quando ben disposte ed adoperate in tempo, in mano d’un capo intelligente, quel mezzo potente con cui egli decide della battaglia, sapendole lanciare a proposito.




Note

  1. Monte che domina le pianure Capuane.